LA
CAMPAGNA DI BOICOTTAGGIO DELLA COCA-COLA IN INDIA
In
India ogni impianto di Coca o di Pepsi "beve" tra uno e due milioni di litri d'acqua al giorno, e nel nostro paese di questi impianti ce ne sono 90, con un prelievo idrico quotidiano tra i 90 e i 180 milioni di litri. Con tali quantità di acqua si potrebbero soddisfare le esigenze idriche di milioni di persone. Per produrre un solo litro di bevande come la Coca e la Pepsi, invece, vengono inquinati circa dieci litri di acqua potabile. Nei reflui di questi impianti il Pollution control board del Kerala ha rilevato alte concentrazioni di cadmio e piombo. È scientificamente dimostrato che esposizioni al cadmio protratte nel tempo possono causare disfunzioni renali, danni alle ossa, al fegato e al sangue. Il piombo invece danneggia il sistema nervoso centrale, i reni, il sangue e il sistema cardiovascolare. Le donne di un piccolo borgo del Kerala sono riuscite a far chiudere un impianto della Coca Cola. «Quando bevi Coca Cola, stai bevendo il sangue delle persone» ha dichiarato Mylamma, fondatrice del movimento anti Coca Cola a Plachimada.
L'impianto di Plachimada rappresenta un caso ormai storico ed emblematico. Era stato progettato nel marzo del 2000 con l'obiettivo di produrre ogni giorno 1.224.000 bottiglie di Coca Cola e ottenne la licenza per installare una pompa. Ma iniziò, anche, a estrarre illegalmente milioni di litri di acqua potabile. Secondo la gente del luogo, l'impianto pompava almeno un milione e mezzo di litri al giorno. Il livello della falda iniziò ad abbassarsi vertiginosamente, passando da 150 a 500 metri di profondità. I contadini e gli abitanti dei villaggi denunciarono il fatto che non riuscivano più a mettere da parte l'acqua necessaria perché continuavano a spuntare nuovi pozzi, con gravi impatti sul raccolto agricolo. Quando le accuse furono confermate dal fatto che l'azienda non era in grado di fornire un rapporto dettagliato richiesto dalle autorità locali, fu mandata un'ingiunzione a comparire in tribunale e la licenza fu revocata. A quel punto la Coca Cola provò, senza riuscirci, a corrompere il presidente del Panchayat, A. Krishnan, offrendogli 300 milioni di rupie.
Ma la Coca Cola non si limitava a rubare l'acqua alla comunità locale: quella che non prendeva, la inquinava. L'azienda infatti ha depositato del materiale di scarto nei pressi dell'impianto che, durante la stagione delle piogge, si è disperso nei campi, nei canali e nei pozzi. Dopo che ben 260 pozzi messi a disposizione dalla pubblica autorità come sorgenti di acqua potabile per la popolazione si erano esauriti, la Coca Cola li ha utilizzati come deposito per le sue acque di scarto di lavorazione. Nel 2003, l'ufficiale medico distrettuale ha informato la popolazione di Plachimada del fatto che la loro acqua non era più potabile. Le donne, che già avevano notato che l'acqua della zona non era più sana, dovevano quindi camminare per miglia per raggiungere fonti di acqua potabile.
Insomma, la Coca Cola aveva creato una penuria di acqua in una zona tradizionalmente ricca di risorse idriche, scaricando acque reflue che contenevano alte concentrazioni di piombo, cromo e cadmio. Esiste solo un'unica è chiarissima regola per quanto riguarda la questione dell'utilizzo delle risorse idriche: il fondamentale diritto umano all'acqua potabile, pulita e sicura non può essere violato. Mentre la Coca Cola e la Pepsi lo stanno violando.
(Vandana Shiva)
La campagna di boicottaggio indiana è on-line su www.indiaresource.org
La REBOC - Rete Boicottaggio Coca-Cola, che promuove il
boicottaggio della Coca-Cola per la repressione anti-sindacale
in Colombia, si dichiara solidale con la campagna indiana e si
impegna a diffondere le informazioni provenienti dall'India.
Le due campagne si sono ufficialmente saldate al Forum Sociale
di Porto Alegre, che ha proclamato il 22 Luglio Giornata
Mondiale di Boicottaggio della Coca-Cola, in solidarietà con la
campagna colombiana e con quella indiana.
MATERIALI IN ITALIANO
- Brochure in PDF - italiano
- inglese
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Panchayat contro Cocacola [Il
Manifesto]
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