LA
COCA-COLA E UNA MORTE SOSPETTA
Testata: IL MANIFESTO
Autore: Marina Forti
Data: 7 Febbraio 2006
Versione originale: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/07-Febbraio-2006/art85.html
Il signor V.
Kamsan era il presidente del gram sabha (consiglio di
villaggio) di Gangaikondan, nello stato meridionale indiano del
Tamil Nadu, proprio sulla punta meridionale dell'India. Lo scorso 23
agosto ha presieduto una tempestosa riunione in cui il consiglio ha
votato una risoluzione contro uno stabilimento dove imbottigliare
bibite con il marchio Coca-Cola. Il 30 agosto il signor Kamsan è
morto, all'ospedale di Tirunelveli, il capoluogo di distretto. Ora
la sua scomparsa è oggetto di un'inchiesta, aperta dall'Alta Corte
di Chennai (la città una volta nota come Madras). Mentre lo
stabilimento continua a suscitare opposizioni a Gangaikondan. Il
progetto è della South India Bottling Company, che opera in
franchising per conto della Hindustan Coca-Cola (la filiale indiana
della multinazionale che ha sede a Atlanta, negli Usa). La ditta ha
avuto la concessione per il suo stabilimento nella «zona
industriale» a una ventina di chilometri dal villaggio di
Gangaikondan, su terreno dell'ente per la promozione industriale
dello stato del Tamil Nadu. Ma per imbottigliare le sue bibite, la
compagnia attingerà circa 500mila litri d'acqua al giorno dal fiume
Thamirabani: ed è questo che ha suscitato l'opposizione della
comunità locale, espressa dai rappresentanti politici della zona,
gli eletti nel consiglio di villaggio, e numerosi attivisti sociali.
Temono che attingere acqua in quelle quantità industriali sarà un
danno per l'agricoltura nei distretti di Tirunelveli e Tuticorin,
che soffrono già di una cronica scarsezza d'acqua. Temono anche gli
scarichi del futuro stabilimento - gli abitanti di Gangaikondan
attingono da quel fiume l'acqua per tutte le necessità domestiche
quotidiane, lavare, cucinare, bere.
Dunque il gram sabha di Gangaikondan il 23 agosto aveva
dichiarato tutta la sua opposizione: «Poiché lo stabilimento
provocherà rischi ambientali e sanitari oltre a innescare un'acuta
scarsità di acqua potabile, il governo deve revocare
l'autorizzazione concessa alla compagnia», diceva la risoluzione
approvata. Poi però sono avvenuti alcuni fatti strani - secondo
quanto ricostruisce la moglie del signor Kamsan, signora
Santhanamary, nell'esposto presentato all'Alta Corte di Chennai, che
su questa base il 30 gennaio ha deciso di aprire un'indagine
giudiziaria (lo riferisce il notiziario on-line Environmental
News Service, 2 febbraio). Dunque: 12 ore dopo la riunione del
consiglio di villaggio, Kamsan consegna un comunicato al quotidiano The
Hindu, uno dei maggiori quotidiani nazionali in lingua inglese.
Il comunicato dice tutto il contrario di quanto approvato dal
consiglio. Quando i cronisti gli chiedono perché, lui dichiara: «Sono
sotto un'immensa pressione da parte del pubblico, della polizia e di
alcune altre parti». La stessa sera - continua la moglie - si
presentano a casa sua dei rappresentanti della ditta in franchising
Coca-Cola, e ordinano a Kamsan di seguirli a Tirunelveli, il
capoluogo. Lo riaccompagneranno a casa il 28 agosto, quattro giorni
dopo: sta malissimo, racconta alla moglie di essere stato trattenuto
in un hotel, costretto a ingurgitare alcool nonostante la sua
itterizia, e imbottito di «raccomandazioni» a lasciar perdere la
risoluzione del villaggio e la sua opposizione allo stabilimento.
Kamsan entra in ospedale e là muore il 30 agosto. Molti hanno
trovato assai sospetta la successione degli eventi. Di questo si
occuperanno ora i magistrati.
Le proteste nel frattempo sono continuate. Alla fine di gennaio una
nuova riunione del gram sabha di Gangaikondan ha approvato
una nuova risoluzione di protesta, dopo un dibattito accesissimo: di
nuovo, chiede al governo di revocare la licenza allo stabilimento «perché
inquinerà l'ambiente, le acque di falda e il terreno». La
Coca-Cola «parla molto delle sue buone relazioni con le comunità,
di trasparenza e responsabiità, ma la realtà è che è coinvolta
in dubbi tentativi di intimidire le comunità locali», dice T.
Fatimson della «Campagna per il diritto alla sicurezza alimentare»,
uno dei gruppi che si oppongono allo stabilimento di Gangaikondan.
Il conflitto resta aperto.
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