TERRATERRA
di MARINELLA CORREGGIA
tratto
da il manifesto
Nel
piccolo stato indiano del Kerala un oscuro consiglio locale sta
tenendo testa a un colosso multinazionale. Lo scontro è ormai
classico: da un lato i diritti fondamentali di comunità locali
(spesso povere) sulle risorse vitali dell'area, dall'altro gli interessi
di giganti che producono ma creano un certo numero di posti di lavoro
(per poveri), il tutto con la connivenza delle autorità regionali
o statali, e con un ruolo talvolta progressista e talvolta conservatore
da parte dei tribunali. Stavolta, il tribunale dello stato ha agito
per bene: ordinando a un impianto di imbottigliamento della Coca
Cola di fermare l'estrazione di acqua dalla falda acquifera locale,
dando un mese di tempo all'azienda un mese di tempo per fermare
le operazioni estrattive nell'impianto di Plachimada, distretto
di Palakkad, e trovare fonti alternative. I dirigenti della Hindustan
Coca-Cola Beverages Private Limited, branca indiana del colosso
di Atlanta, ricorreranno in appello. L'azienda aveva chiesto tempo
fa il rinnovo della licenza per la sua fabbrica di imbottigliamento
a Plachimada, in Kerala appunto. Era stato lo stesso panchayat (il
consiglio locale, organismo eletto) di Perumatty nel gennaio 2000
a dare la licenza alla Hindustan Coca-Cola per la fabbrica di Plachimada,
il cui compito consisteva nell'importare da Atlanta la miscela segreta,
mescolarla con l'acqua locale e imbottigliare il tutto. Erano un
po' di soldini per la comunità: annualmente il panchayat
riceveva l'equivalente di 11.000 come tassa sull'immobile, poi circa
800 euro-equivalenti a titolo di licenza per produrre e infine circa
4.000 euroequivalenti sotto forma di tassa professionale. Soprattutto,
c'era la questione dei posti di lavoro: 150 permanenti e 250 a termine.
Il permesso era stato regolarmente rinnovato, e l'ultima licenza
scadeva il 31 marzo 2003.
Ma
i vantaggi erano evidentemente poca cosa a fronte della perdita
di acqua. Così, gli abitanti dei villaggi circostanti, colpiti
da crisi idrica - la fabbrica assorbiva 1,5 milioni di litri al
giorno - si sono organizzati e sono riusciti, con l'appoggio di
gruppi ambientalisti e di alcuni partiti, a rendere pubblica la
loro protesta in tutta l'India. Tanto che è partita proprio
da Plachimada, nel gennaio scorso, la padhyatra (marcia) di un'alleanza
indiana di lotte popolari - fra cui la Narmada Bachao Andolan -
che in due mesi di cammino si è posta l'obiettivo di interagire
con le popolazioni e le autorità locali e statali in diverse
parti dell'India.
Pochi
mesi dopo, il 7 aprile di quest'anno, di fronte alle proteste popolari
il panchayat ha preso la decisione di cancellare la licenza, con
la motivazione che la fabbrica aveva portato al quasi esaurimento,
e all'inquinamento, delle falde acquifere dell'area circostante.
La Hindustan Cola si è allora rivolta alla Kerala High Court
(tribunale) mettendo in discussione l'autorità del panchayat
in materia; ma il tribunale ha stabilito che quest'ultima spieghi
la propria posizione all'incontro del panchayat, il 17 novembre.
Quel giorno, come riferisce il reportage della rivista indiana Down
to Earth, il presidio di protesta davanti alla fabbrica era ormai
arrivato a 550 giorni. Tre chilometri più in là, davanti
alla sede del panchayat, invece, da circa 180 giorni erano i dipendenti
di Coca Cola a campeggiare, chiedendo il rinnovo della licenza di
imbottigliamento. Il 17 novembre i tredici membri del panchayat
hanno sottoposto al manager una serie di domande, lasciate senza
risposta. Poi la recente intimazione di chiusura da parte del tribunale.
Problema:
Cherkkalam Abdulla, ministro dello stato del Kerala, poco prima
della nuova sentenza ha ribadito che «il punto di vista degli
abitanti di Palakkad non riflette quello dell'intero stato. Abbiamo
bisogno di industrie e di lavoro» (nnon importa per produrre
che cosa, e a quale prezzo).Il tribunale ha invece sentenziato che
l'acqua di falda è un bene collettivo e lo stato ha il compito
di proteggerla dallo sfruttamento eccessivo, pena la violazione
dei diritti fondamentali garantiti dall'articolo 21 della Costituzione.
Chi vincerà in appello?
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