Nell'era
del capitalismo postfordista nuove forme di lavoro attraggono sempre
più nuovi soggetti multiformi capaci di dare dinamicità
alla produzione e sovvertire i vecchi schemi su cui poggiava la
sicurezza e la conflittualità di una classe subalterna, ormai
indefinita ed irriconoscibile.
Non piu' fabbrica ed operai, monotonia e staticità.
Oggi, all'interno del macrocosmo "lavoro" si fa strada un nuovo
soggetto precario, flessibile e non garantito. Un soggetto che in
realtà si manifesta come un'entità multiforme o, meglio
ancora, come pluralità di soggetti. Un insieme di esistenze
e soggettività a cui viene imposto un livello di formazione
in grado di evolversi ed aggiornarsi in continuazione.
Questo
soggetto sopravvive vendendo i suoi saperi, rinunciando al suo spazio/tempo
vitale garantendo al sistema produttivo la massima efficenza e la
dovuta riconoscenza.
Ma
come definire e capire meglio il "precario" e la sua particolare
dimensione?
Prima
di tutto non possiamo pensare al precario come ad un soggetto unico,
con una sola identità e con capacità conflittuali
specifiche che, ad esempio, erano innate nei geni della vecchia
classe operaia. La figura del precario fa parte di un universo assai
eterogeneo e come tale patisce l'incapacità di far convergere
interessi collettivi all'interno dei percorsi imprevedibili del
conflitto sociale. Certo, tutte le soggettività che popolano
l'immenso mondo del precariato hanno delle caratteristiche comuni
ed in ogni caso molte di queste esperienze nascono (quasi) simultaneamente
per completare quel processo di ristrutturazione che dopo la crisi
del fordismo ha stravolto i sistemi di produzione e le esigenze
dei mercati globali.
Definire,
o comunque formalizzare, qualcosa con queste caratteristiche non
è cosa facile e probabbilmente non sarebbe neanche cosi'
utile al fine di sviluppare altri ragionamenti sulla questione.
Ci troviamo quindi a dover cominciare riflessioni rispetto a tutti
quei lavoratori flessibili, regolati da contratti temporanei o costretti
a patire il peso del lavoro nero consapevoli che ad ognuna di queste
identità spetta un ruolo ben definito all'interno dell'eterogeneo
e diffuso universo del precariato.Ogni
entità però ha un ruolo estremamente importante all'interno
dell'attuale contesto economico.
La
postmodernizzazione ha segnato il passaggio da un livello di produzione
che privileggiava la quantità di beni durevoli da immettere
sul mercato ad una fase dove la qualità dei servizi, l'interazione
e le tecnologie d'informazione dominano la quotidianità e
guidano l'economia.
L'era postmoderna dunque sancisce di fatto la fine del predominio
dell'industria sull'economia. Cio' comporta naturalmente tutta una
serie di cambiamenti a livello sociale che sarebbe oggettivamente
difficile analizzare in questo contesto.
Tuttavia
e' interessante notare come in questi ultimi anni sia cominciata
una naturale migrazione dal settore secondario a quello del terziario
e del terziario avanzato. Tale migrazione, conseguenza più
evidente di riforme e processi evolutivi dell'economia globale,
ha perciò creato una miriade di soggetti che sopravvivono
e si muovono dentro gli scenari dell'informatizzazione e dei servizi.
Con questo non si vuole affermare che nell'era postmoderna l'industria
e i soggetti che attorno ad essa gravitano rischino l'estinzione.
L'industria ( insieme al settore primario) e' infatti destinata
ad usufruire delle stesse evoluzioni tecnologiche che hanno sviluppato
in maniera iperbolica il contesto dei servizi, perdendo però
la sua centralità e dando vita a lavoratori con nuove caratteristiche
ed alti livelli di formazione.
I
settori piu' "anziani" del sistema produttivo non hanno bisogno
di procedere passo dopo passo verso l'evoluzione e l'ottimizzazione
dei loro mezzi. E' infatti evidente che oggi la tecnologia rappresenta
una scorciatoia per tutti e saperla utilizzare al meglio è
una delle caratteristiche principali richieste a coloro che restano
o si affacciano per la prima volta nel mondo del lavoro.
Cio' comporta un livello di formazione diverso rispetto a quello
richiesto qualche anno fa. In primo luogo perche' l'approccio col
lavoro è radicalmente cambiato; in secondo perche' il passaggio
verso un'economia dell'informazione implica necessariamente un cambiamento
nella qualità del lavoro.Questo
cambiamento imposto ai nuovi lavoratori è necessario per
diverse ragioni sia nell'ambito dell'industria, sia nell'ambito
dei servizi.
Il
fordismo oggi è solo un ricordo e risulterebbe anacronistico
pensare di immettere sul mercato prodotti standardizzati lontani
dalla qualità sempre piu' alta richiesta dal consumo di massa.
E' quindi la domanda, il mercato, ad influenzare la produzione e
non viceversa.
Mettendo
da parte per un momento il settore economico dell'industria ed analizzando
nello specifico quello dei servizi il paradigma diventa assai piu'
comlesso ma ancora piu' palese.
In
questo settore infatti non si producono beni materiali e la maggior
parte del lavoro si sviluppa attorno all'informazione, ai saperi
e agli affetti. Il lavoro quindi diventa lavoro immateriale incapace
di produrre beni materiali e durevoli, ma in grado di creare ed
evolvere servizi e conoscenze.
Naturalmente l'evoluzione tecnologica è fattore essenziale
per la sopravvivenza di questi soggetti. Si usufruisce infatti di
alta tecnologia non solo nel contesto lavorativo, ma anche dentro
le dimensioni della socialita', della formazione, della comunicazione.
Siamo
quindi arrivati ad identificare una delle faccie del lavoro immateriale:
quella del lavoratore con un alfabetizzazione informatica al di
sopra della media (rispetto al passato) e con una formazione professionale
capace di evolversi al passo con l'evoluzione tecnologica.
Abbiamo
detto però che il precario ha mille volti e mille identità
e se il lavoratore immateriale è sicuramente uno dei suoi
sottoinsiemi, l' hi-tech ed il computer identificano solo un aspetto
del lavoro immateriale.
L'altro
aspetto, o meglio, l'altra faccia del lavoro immateriale è
il lavoro affettivo capace di prendere forma grazie all'interagire,
al comunicare, al saper trasmettere informazioni. Questo aspetto
del lavoro rappresenta una delle caratteristiche piu' rivoluzionarie
proprie dell'identità dei nuovi soggetti. Tale caratteristica
è allo stesso tempo limite e forza.
E' infatti evidente che il lavoro affettivo regala la possibilita'
di valorizzare ed esaltare la propria creatività aprendo
dimensioni dove le emozioni e la comunicazione diventano piu' produttive
della catena di montaggio.
Allo
stesso tempo però creatività, emozione e comunicazione
vengono soffocate da un contesto assolutamente formale che snatura
molto spesso l'identità soggettiva del lavoratore.
Il
lavoro affettivo si sviluppa attraverso il contatto col pubblico,
con l'utenza, con chi usufruisce quindi della molteplicità
dei servizi che il lavoratore offre. In questo contesto il lavoratore
dovrà essere estremamente dinamico e si dovrà rapportare
a situazioni diverse cambiando ogni volta il suo modo di fare. Proprio
per questo, a chi compra l'affettività del lavoratore non
interessa un'identità statica, riconoscibile ed individuale,
ma un'intelligenza in movimento, intercambiabile ed utile in ogni
situazione.
Il
settore dei servizi è dunque quello più accogliente
per le molteplici forme del lavoro immateriale (affettivo, informatico
e culturale), ma, come accennavamo prima rispetto alla questione
delle tecnologie, anche gli altri settori sono in evoluzione ed
hanno tutto l'interesse a considerare le relazioni umane e la comunicazione
in maniera diversa rispetto a qualche anno fa.
La
produzione industriale ad esempio è stata quasi totalmente
informatizzata ed ha quindi bisogno di una serie di servizi e "lavoratori
hi-tech" per ottimizzare tutto il sistema produttivo legato alle
nuove tecnologie. Tutto questo crea una miscela incredibile fra
lavoro materiale e immateriale, fra beni prodotti e servizi garantiti.
Un
mix tale che puo' regalare spunti di riflessione incredibili a tutti
coloro che avranno la pazienza e la capacita' di indagare dentro
questi aspetti della postmodernizzazione.
Il
lavoro immateriale irrompe dunque dentro la nostra vita e ne' condiziona
i comportamenti. Scava dentro le esistenze e produce nuove alienazioni,
frustrazioni, sudditanze.
Nuove
identità vengono alla luce e ancora prima di essere riconosciute
cambiano forma, regalando flessibilità alla produzione, ai
mercati, ai percorsi imprevedibili del precariato sociale. Si vende
la propria flessibilità dunque. Si vende la propria dinamicità
insieme alle capacità tecniche di adeguarsi ai cambiamenti.
Ma
se questa flessibilità si trasformasse in autonomia e se
questi soggetti così diversi, iperattivi e comunicativi convogliassero
tutte le energie per sprigionare le esistenze dalla schiavitù
del lavoro, allora cio' che adesso è produttivo e vantaggioso
per pochi diventerà il passaggio collettivo per liberare
tutt*.
|