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ANTI-LAGER
ACTION TOUR
CONTRO LE ESPULSIONI E L’EMARGINAZIONE
INFO
SUI LUOGHI/TAPPE DEL TOUR
BRAMSCHE-HESEPE
A
Bramsche-Hesepe nei pressi di Osnabrueck,
non lontano dal confine olandese, è
stata creata con il cosiddetto centro regionale
di accoglienza (LASt) una nuova perfida
forma di lager. Nell’ex caserma di
Niedersachsen, che nel dopoguerra fu alloggio
per gli sfollati che volevano attraversare
la frontiera per tornare in Germania, e
poi per gli ebrei emigrati dall’ex
Unione sovietica, è stata creata
nel novembre 2001 un’istituzione per
l’espatrio. Dai 200 posti in questo
centro per l’espulsione si è
passati a 550 nel 2004. In teoria nel complesso
era possibile addirittura realizzare un’estensione
per ospitare fino a 1200 persone. Le massicce
proteste dello scorso anno contro le pessime
condizioni di vita all’interno del
centro portarono al divieto di ospitare
all’interno della struttura minorenni
non accompagnati. Tuttavia, nel marzo di
questo anno è stata costruita una
scuola-lager per i bambini del centro, le
cosiddette “classi di sostegno”,
così ora anche i circa 50 bambini
non hanno più alcuna possibilità
di contatto col mondo esterno. In questo
modo il meccanismo d’isolamento è
perfetto. Sul territorio si trovano anche
l’OIM [vedi
nostro dossier ndt] e
le autorità straniere, ma non c’è
alcuna consulenza legale, né assistenza
medica o psicologica. Mentre il personale
all’interno del lager è stato
ridotto di un terzo, la polizia di Bramsche
ha ricevuto con l’aumento dei posti
nel centro due nuovi posti in organico.
LAGER
DI DETENZIONE, CENTRI PER L’ESPULSIONE
Dall’inizio
del 1998 esistono i primi lager speciali
per le espulsioni in Germania (progetto
X, “centri per l’espatrio”).
Con essi i ministeri degli Interni crearono
una versione dei lager ulteriore a quella
del sistema dei lager nazionale già
esistente. Nonostante l’espulsione
o il cosiddetto “espatrio volontario”
siano l’obiettivo ufficiale, di fatto
si tratta di lager nell’illegalità,
in cui si esercitano pressione e coercizione
sui rifugiati, in tal modo da far preferire
alla metà di essi la via dell’espatrio
fuori dall'iter legale. Questo agli occhi
delle autorità è un successo,
perché si evitano così facendo
ulteriori clandestin* e lavoratori/trici
illegali.
I/Le richiedenti asilo cui sia stata negata
la richiesta, ma la cui espulsione non sia
possibile ad esempio per mancanza di documenti
di riconoscimento, verranno spediti in un
centro di permanenza temporanea.
“Ordinanza di soggiorno coatto come
condizione d’accettazione” è
il gergo delle autorità, ma equivale
ad una detenzione forzata. I rifugiati in
questione, anche quelli che da molti anni
vivono in Germania, dovranno lasciare la
loro abitazione, la loro città, il
loro contesto sociale, eventualmente abbandonare
il lavoro, e i figli la propria scuola,
e spostarsi anche di molti chilometri al
centro per l’espulsione. Ai detenuti
in questo centro viene requisito il denaro,
vengono continuamente sorvegliati, le loro
stanze perquisite, e oggetti che “non
hanno il diritto” di possedere vengono
loro sequestrati. Devono regolarmente rispondere
all’appello, vengono periodicamente
interrogati, logorati e messi sotto pressione,
mirata a far decidere loro di lasciare la
Germania. Tutto questo significa un livello
di stress permanente per gli interessati;
difficili da sopportare sono la pressione
psicologica e la massiccia limitazione della
gestione della propria vita. L’allestimento
dei cosiddetti centri di permanenza nei
diversi stati federali è stato accompagnato
dalla resistenza sia all’esterno che
all’interno dei recinti di quelle carceri.
In Baviera il governo dopo proteste permanenti
che culminarono con i giorni d’azione
a Furth l’anno scorso non poté
più imporre alcun “centro per
l’espulsione”. Nel frattempo negli
stati di Baviera e Niedersachsen sono state
istituite nuove varianti di centri di detenzione,
che ufficialmente non vengono indicate in
questo modo. A Bramsche (Niedersachsen)
alcune persone da poco arrivate in Germania
e per cui sono in atto le procedure di richiesta
d’asilo, sono state rinchiuse all’interno
di un centro, poiché si credeva che
non sarebbero riuscite ad ottenere il permesso
d’asilo.
NEUSS
A
Neuss (Nordrhein-Westfalen) si trova dal
1993 l’unico centro di permanenza temporanea
per donne dello stato federale. Il carcere
si trova al centro della città vecchia,
in una tranquilla via abitata, ed è
mimetizzato da una facciata non appariscente.
Vi sono detenute per il momento tra le 60
e le 80 donne, tra cui vi sono sempre donne
incinta e minorenni. Le donne vengono arbitrariamente
sistemate in celle da due o da sei. Si mangia
nelle celle da 9 metri quadrati. Anche lavandino
e sanitari si trovano in cella, separati
solo da una tenda. L’assistenza sanitaria
è insufficiente. Non c’è
un servizio psicologico, né un’assistente
sociale che sia disponibile a tempo pieno,
né consulenza legale. L’unico
motivo per la detenzione delle donne è
il loro ingresso nella repubblica federale
di Germania.
CENTRI
DI PERMANENZA TEMPORANEA
Sono
la forma più estrema di lager per
rifugiati in Germania. Stare in un cpt vuol
dire: fino a 18 mesi rinchiuso tra alte
mura e filo spinato, sorvegliato da agenti
armati. Celle, tempi da rispettare, ora
d’aria, tempi di visita limitati, possibilità
di telefonare limitate, a seconda dell’arbitrio
del personale e dello “stato di diritto”.
L’attesa dell’espulsione o la
scelta autonoma dell’”espatrio
volontario” non lasciano altra possibilità.
Una debole speranza per sviluppi positivi
rimane solo per quelli che hanno un’assistenza
legale. Continuamente si attuano nei cpt
scioperi della fame individuali o collettivi,
non pochi sono i suicidi tentati o riusciti.
[…]
HANNOVER
Hannover,
aeroporto per le espulsioni: anche da qui
i rifugiati vengono deportati con la forza.
Ogni anno gli espulsi dalla Germania per
mano della polizia di confine sono 50 mila.
Spesso accadono anche casi mortali, come
lo scorso 29 maggio 1999, quando il profugo
sudanese Aamir Ageeb venne soffocato dagli
agenti della polizia di confine, durante
la sua deportazione da Francoforte sul Meno
a Khartoum.
Ad Hannover-Langenhagen, molto vicino all’aeroporto,
la regione del Niedersachsen gestisce dal
2000 un “carcere centrale per i rifugiati”.
Lì sono internate 250 persone. Nello
stesso anno dell’apertura del carcere,
l’8 dicembre 2000 vi si impiccò
il diciassettenne tamil Arumugasamy Subramaniam,
che doveva essere deportato in Sri Lanka.
In futuro verranno trasferiti ad Hannover
anche rifugiati provenienti da Brema, poiché
alcun* dottori/esse si sono rifiutat* di
essere complici delle deportazioni. Il governo
del Niedersachsen si è assunto la
responsabilità del “progetto
X”, il primo modello tedesco di “centro
per le espulsioni”. Anche l’attuale
governo CDU (partito democristiano, ndt)
sostiene un sistema chiuso di lager per
rifugiati ed è per l’ostacolare
ogni contatto con altre persone potenzialmente
di solidarietà.
HALBERSTADT
Nel
centro di prima accoglienza (ZASt) della
regione di Sachsen-Anhalt, vari blocchi
di edifici a 5 piani con circa 1200 posti,
erano alloggiati fino al maggio di quest’anno
circa 1000 rifugiati. Da lì venivano,
o meglio vengono, ridistribuiti su tutto
il territorio statale. Il centro di raccolta
istituito in edifici che erano ex-caserme
dell’armata rossa si trova a 7 km fuori
dalla città in aperta campagna (ca.
1 ora a piedi) ed è controllato tramite
videosorveglianza, servizio di guardie e
recinzioni. La ghettizzazione è più
che voluta. In zona si trovano anche succursali
di uffici quali i servizi sociali, ufficio
d’igiene, ufficio federale per l’identificazione
di rifugiati stranieri (BAFl), autorità
estere e polizia.
Circa
100 persone si trovano nel cosiddetto centro
di confine al quarto piano nel primo edificio;
sono quelli con la “tessera blu”:
dopo aver passato anni vagando di centro
in centro per tutto il distretto, vengono
rimandati coercitivamente nel centro in
cui cominciò la loro odissea nello
stato di Sachsen-Anhalt. Questa volta però
il soggiorno all’interno del centro
è a tempo indeterminato.
Dopo
una fase di sperimentazione di due anni
il “centro di confine” venne riconosciuto
dal governo come una struttura valida, e
divenne istituzione fissa.
Accanto
alle misure repressive già attuate,
come la privazione del denaro contante e
dei rifornimenti di cibo, riduzione delle
prestazioni sanitarie, maltrattamenti e
continui interrogatori, ora il ministero
dell’Interno stabilisce nuove disposizioni.
Il centro verrà ampliato di 250 posti.
Accanto al blocco degli uomini e delle coppie
senza figli saranno inserite in un edificio
separato anche le donne. I rifugiati alla
prima accoglienza devono essere divisi da
quelli con la tessera blu. Inoltre
il ministero cerca di attirare con proposte
che “alleggeriscono” la repressione
(ad es. sospensione del soggiorno coatto,
pagamento di una piccola paga settimanale
ed il permesso ad un’attività
lavorativa), per ottenere “collaborazione”
da parte dei rifugiati, affinché
ottengano il passaporto e contribuiscano
così ad accelerare la propria espulsione.
PARCHIM,TRAMM-ZAPEL
Nel
complesso di “alloggi comunitari”
di Tramm-Zapel a Parchim (regione di Mecklenburg-Vorpommen)
sono sistemati circa 200 richiedenti asilo
in attesa di un provvedimento per l’espulsione,
tra cui anche famiglie. I bambini che sono
nati qui conoscono il paese solo tramite
il lager. Installato in tre blocchi di appartamenti
che prima erano caserme, si trova al centro
della foresta circondato da recinzioni e
filo spinato, videosorvegliato, controllato
all’ingresso da servizio d’ordine
e cani.
Qui ogni passo degli/lle internat* viene
registrato; si tratta di un sistema di controllo
ben distribuito. Per ciascun blocco di case
ci sono solo due cucine, il luogo più
vicino dove poter fare la spesa si trova
a 9 km di distanza da fare a piedi; per
l’autobus i soldi non bastano mai.
All’interno del lager le proteste si
susseguono: contro l’isolamento, i
controlli, l’assistenza medica negata,
la possibilità di spesa sempre ridotta
causa consegna di buoni contrassegnati.
Nel periodo nazionalsocialista qui venivano
detenuti e uccisi gli oppositori politici,
ai tempi della DDR venne temporaneamente
usato come lager d’internamento.
Di
notte si fanno murales sui muri di fronte
agli uffici delle autorità estere:
una porta aperta che mostra, al suo interno,
ancora sbarre. Intitolati con slogan come
“diritti ai rifugiati” i disegni
mostrano l’assenza di speranza e la
sensazione di prigionia di chi sta qui dentro.
La polizia indaga su ignoti. Gli/le abitanti
protestano ancora contro la sistemazione
che è stata data loro, in mezzo alla
foresta, e parlano ironicamente de “la
prigione dellla giungla”. Le loro proposte:
un trasferimento nella piccola città
di Parchim, come primo passo. Una ridistribuzione
l’avevano ottenuta gli/le internat*
nell’ex alloggio a Peeschen. Nonostante
un decreto del 2001 del ministero degli
interni stabilisce che tutt* gli/le richiedenti
asilo siano da alloggiare nelle vicinanze
di centri culturali, questo spostamento
non sarebbe mai stato deciso senza che gli/le
detenut* facessero pressione in questo senso.
Gli/le detenut* di Peeschen hanno lasciato
un esempio, come quando usando la loro forza
intrappolarono gli/le impiegati/e degli
uffici delle autorità estere con
un blocco stradale.
BERLINO
CPT BERLIN-GRUENAU
Gruenau
è un quartiere di Koepenick. Qui
sono alloggiati circa 210 persone, in attesa
di espatrio. Da poco più di un anno
i/le detenut* protestano in maniera più
forte contro le pessime condizioni di vita
del carcere; all’inizio dell’anno
scorso ci fu uno dei più partecipati
scioperi della fame collettivi nella storia
dei centri di detenzione in Germania.
EISENHUETTENSTADT
Ad
Eisenhuettenstadt, 120 km ad est da Berlino,
si trovano l’Istituzione centrale di
prima accoglienza (ZABH) e il centro per
l’espulsione della regione di Brandeburgo,
entrambi sul territorio di una ex-caserma.
Entrambi si trovano ad appena 30 km dal
confine polacco, che fino al maggio di quest’anno
era una frontiera esterna della fortezza
Europa. Il luogo gode di una triste fama:
nel centro si trova da sempre uno spazio,
la cosiddetta “cella calmante”
in cui vengono rinchiuse persone per molte
ore, legate. L’uso di questo trattamento
così umiliante venne denunciato,
tuttavia nonostante il rapporto del Comitato
europeo per la prevenzione della tortura
(CPT) dall’anno 2000 non è cambiato
nulla. Solo gli anelli di ferro fissati
sul pavimento, usati per immobilizzare la
persona, sono stati sostituiti con un “sistema
di cinghie” su un letto. L’anno
scorso un uomo rimase legato per 42 ore
nell’arco di 3 gironi, sempre videosorvegliato.
Alle persone all’interno del carcere
non è garantita l’assistenza
sanitaria: il personale medico è
costituito da un’infermiera; un dottore
viene solo 2 volte la settimana e prescrive
solo antidolorifici e calmanti. Ai/lle rifugiat*
è stato comunicato che anche in caso
di gravi malattie non potranno essere ricoverati
in ospedale, perché dovrebbero pagare
la permanenza. Nel 2002 un gruppo di lavoro
dell’associazione di legali tedesca
per i diritti degli stranieri e richiedenti
asilo chiese al ministero degli interni
l’autorizzazione ad avviare un regolare
servizio di consulenza legale. Il ministero
rifiutò la richiesta, poiché
a suo giudizio non ve n’era alcun bisogno.
La
durata massima della detenzione all’interno
del centro per ora è di 1 anno e
mezzo. […]
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