La
cronaca...
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Raccontare
i giorni che abbiamo passato a Genova è un’impresa difficilissima,
una sfida che siamo quasi sicuri di perdere. Sarebbe infatti
difficile raccontare quello che abbiamo visto, fatto, vissuto
senza cadere in una sequenza infinita di frasi retoriche.
Una cosa però la possiamo affermare: Genova ci ha unito ancora
di piu’, regalandoci un maremoto di emozioni che come crew
abbiamo saputo assorbire insieme. Sempre attivi, unit* ed
in comunicazione, costantemente convinti di sabotare frammenti
della nostra vita partecipando ad un delirio di massa in cui
anche noi ci siamo ritagliati la nostra marginale parte di
comparsa.
Parte della crew ha raggiunto Genova il 16 mattina. Via ai
campeggi, monta la tenda, chiama gli altri Kids rimasti a
casa e descrivigli una città militarizzata.
Qualche e-mail e un paio di telefonate non rendo l’idea di
quello che era lo scenario genovese, ma questo non ci interessa…fa
sempre bene raccontare e saper ascoltare.
19 luglio
Il 19 pomeriggio prima del corteo dei migranti raggiungiamo
chi era salito il 16. Cominciamo a capire quello che fino
a quel momento avevamo visto solo sui giornali o ascoltato
dalle telefonate dai/lle compagn* arrivati a Genova prima
di noi. Il quartiere Quarto (dove abbiamo campeggiato) non
era particolarmente militarizzato, ma nei giorni precedenti
alcune fastidiose perquisizioni avevano rotto la tranquillita’
apparente che regnava nella periferia a Sud di Genova. Ci
prepariamo per trascorrere la notte. Montiamo le tende creando
un piccolo accampamento proprio sotto alcuni alberi disposti
a cerchio in fondo al parco che ospitava l’immenso campeggio.
Si fa tardi, il corteo dei migranti sta per cominciare, ma
noi rimaniamo ancora un po’ e ci facciamo descrivere come
un manipolo di pazzi furiosi ha praticamente sequestrato un’intera
citta’ per far svolgere, ad otto tiranni un’illegittimo vertice
mondiale. Si forma un cerchio di persone attorno al nostro
piccolo accampamento. Si parlano dialetti diversi, si ride,
si gioca mentre ci si prepara per il corteo. Prendiamo il
bus navetta. Proprio davanti al nostro campeggio c’è la fermata
dei bus speciali che collegheranno per tutta le giornate del
vertice il quartiere Quarto al centro della città. Si sale
tutti insieme, compatti, sereni e anche un po' curiosi di
vedere le barriere alte 4/5 metri che separano la zona rossa
dal resto del mondo. Arriviamo a brignole e ci rendiamo conto
che il corteo è già cominciato prima ancora di arrivare al
concentramento. Migliaia di persone affluiscono da ogni strada
per raggiungere la piazza dove si partirà per dar vita all’immenso
corteo dei migranti. Musica, suoni, colori. Tutta la gioia
di un movimento contro la squallida tristezza delle istituzioni.
Il corteo scorre pacifico per le vie di Genova. Sembra quasi
una gita turistica dove gli attivisti osservano attentamente
le misure di repressione che dovranno affrontare i giorni
successivi quando si proverà a sabotare i lavori del vertice.
Ci fermiamo a bere qualcosa al Bar. Comodamente seduti tra
i tavolini ci rinfreschiamo prima di ripartire e partecipare
attivamente al corteo. Il barista ci dice che non può darci
bottiglie, le guardie gli hanno vietato di vendere acqua,
birra e qualsiasi altra cosa contenuta in recipienti che potrebbero
essere usati come armi improprie. Scoppiamo a ridere e ci
facciamo dare qualche bicchiere di birra e di thè freddo.
Poi ripartiamo e osserviamo attentamente tutti i plotoni di
marionette in divisa che presidiano alcune vie del centro.
Notiamo che hanno le maschere antigas legate attorno al collo
e che il loro equipaggiamento antisommossa è più inquietante
del solito. Al corteo incontriamo mille persone. Ci fermiamo
decine di volte a salutare amici ed amiche giunti da tutta
Italia
…sapevamo di incontrarli, ma i baci e gli abbracci sono quelli
delle grandi occasioni. Qualcuno di noi comincia a scattare
foto con la digitale. Vengono immortalati alcuni spezzoni
del corteo, ma anche l’inquietante cittadella che ospita quasi
tutte le forze dell’ordine chiamate a Genova per salvaguardare
il G8. E’ un corteo lunghissimo e faticoso . Piu’ volte siamo
costretti a sederci per riprendere fiato. Ci perdiamo di vista
spesso durante il percorso, ma alla fine, prima di tornare,
il nostro gruppo riparte compatto per il campeggio.
La manifestazione è finita.
Eravamo tantissimi, molti di piu’ di quello che si aspettavano
le forze dell’ordine. Si parla già di oltre 50.000
persone. Si ritorna al campeggio sotto una fitta pioggia che
ci farà compagnia fino a tarda notte. Siamo stanchi, bagnati
e consapevoli che il giorno che ci aspetta non sarà così tranquillo.
20 luglio
Venerdi ci svegliamo tutti molto presto. Alle 8:30 siamo gia’
in piedi e vaghiamo tra le tende incontrando quelli/e che
ci hanno raggiunto da Roma e dalle altre citta’ durante la
notte. Siamo stanchi ma ci accorgiamo di essere veramente
tantissim*. Comincia l’assemblea di campeggio. Noi preferiamo
farci quattro chiacchiere informali insieme, mentre solo uno
di noi va ad ascoltare cosa c’è in programma per la giornata.
Sono le 10:30, l’atmosfera cambia e tutto il campeggio e’
in fibrillazione. Ci si prepara ad invadera la zona rossa.
L’intenzione infatti e’ quella di concentrarci in una piazza,
aspettare le 14:00 (orario in cui i lavoratori in sciopero
avrebbero raggiunto il presidio) e poi cercare di forzare
i blocchi.
Tutto chiaro…ci si attrezza!
Caschi, maschere antigas, protezioni d’ogni genere. Il campeggio
diventa un immenso formicaio dove tutti sanno cosa fare. Arriviamo
nella piazza del concentramento dopo aver preso il solito
bus speciale. Siamo attrezzati, determinati, decisi a distruggere
le barriere che ci dividono dal potere. Sapevamo che il presidio
si sarebbe mosso solo alle 14:00 e quindi molto tranquillamente
ci troviamo un posto all’ombra per riposarci ed osservare
la situazione. Pensavamo di rimanere lì a crogiolarci per
due o tre ore ed invece la situazione cambia improvvisamente.
Comincia a girare la voce che la polizia ci vuole chiudere
nella piazza, in lontananza vediamo blindati con reti messe
di traverso. 200 o 300 attivisti cominciano a disselciare
i marciapiedi, e le strade di tutta la piazza. Si ricavano
arnesi, sassi, bottiglie, bulloni e spranghe. Comprendiamo
subito che il presidio si muoverà prima delle 14:00 e che
la situazione non è affatto, a questo punto, tranquilla. Ad
osservare la scena c'e' infatti un nutrito cordone di sbirri
in tenuta antisommossa. Sarebbero stati dei folli a caricare
1000/2000 persone così determinate, ma il pericolo di un improvviso
arrivo di rinforzi ci fa spostare dietro alcuni cassonetti
ragionevolmente rovesciati in mezzo alla strada per arginare
eventuali attacchi polizieschi. Dopo due minuti si arriva
allo scontro. Non c’è neanche il tempo di pensare. Comincia
tutto in un attimo.
Gli scontri
Decine di compagni e compagne alzano le barricate mentre altri
assaltano banche e tutte le sedi delle multinazionali che
il corteo improvvisato trova sul suo percorso. In mezzo alla
strada ci finisce ogni cosa che riesce ad ostacolare l’avanzata
degli sbirri. Attimi di guerriglia urbana si alternano a laboriose
fasi di costruzione (barricate) e distruzione (vetrine). Gli
sbirri provano ad attaccare il corteo che arretra verso il
lungomare. I blindati e i plotoni della celere avanzano, ma
ogni volta che guadagnano terreno una valanga di sassi, bulloni
e molotov li seppellisce. C’è chi invita gli altri a non sfasciare
vetrine e a cercare di ricompattare il corteo. C’è qualche
polemica fra anime diverse, ma non si arriva mai allo scazzo.
Il fumo nero prodotto dalle auto in fiamme oscura ormai molte
vie della zona. Il corteo si è spaccato in tanti gruppetti
e in ogni via c’è uno scontro. Lo spezzone più grande arriva
a piazzale Kennedy, gli altri sono dispersi in tutta la zona
e si scontrano con le guardie. Saltano ancora vetrine mentre
sale il timore di un assalto delle forze dell’ordine contro
le persone che si sono rifuggiate nel grande spiazzo concesso
agli attivisti del GSF. Dopo qualche manciata di minuti un
nutrito plotone di celerini si avvicina a piazzale kennedy
e i manifestanti si chiudono nell’area riservata ai concerti
barricando le entrate. Per qualche secondo non succede nulla,
poi gli sbirri si avvicinano e cominciano a lanciare lacrimogeni
sui 2000 manifestanti asserragliati dietro i cancelli dell’area
concerti. I celerini non sono tanti, ma a 700 metri c’è la
cittadella delle forze dell’ordine e il timore di un’irruzione
in grande stile spinge tutt* a cercare una via d’uscita. Tutto
lo spiazzo sembra una trappola: dietro c’è il mare pericolosamente
agitato e infestato di barche e barchette pilotate da uomini
in divisa, davanti ci sono le barricate e i celerini che non
intendono lasciare nessun varco. I manifestanti si ricompattano,
trovano una striscia di costa dove è possibile uscire senza
avvicinarsi al plotone dei celerini, fermo davanti ai cancelli
principali.
Intanto giungono notizie dagli altri gruppi sparsi per la
città. Nel quartiere sopra il lungo mare, quello vicino
al Media Center, sappiamo che ci sono circa 300/400 compagn*
braccati dalle guardie che cercano un modo di ricompattarsi
allo spezzone di p.zzale Kennedy. Ma la polizia, e la guardia
di finanza gli tagliano continuamente la strada ingaggiando
a ripetizione tafferugli e battaglie. Nello scontro/fuga non
vengono comunque dimenticate banche e vetrine di multi. Piovono
molotov sul portone di un commissariato, due guardie rispondono
sparando dal 5° piano in mezzo alla folla, per un miracolo
nessuno viene preso. Solo dopo un'ora e mezza a questi ritmi,
i/le compagn* raggiungono il grosso del corteo correndo felicissimi
anche se ancora inseguiti.
Da loro si viene a sapere che ancora un altro gruppo si e'
staccato e sta attaccando a Marassi puntando al carcere. Ma
le notizie sono frammentate e incerte, si sa solo che da quelle
parti bruciano, come ovunque, decine di macchine, e per vederlo
basta alzare gli occhi al cielo.
L’elicottero intanto sorvola la zona e da indicazioni dall’alto.
Tutti gli spezzoni dispersi del corteo si ricompattano quindi
insieme e cercano di raggiungere alla spicciolata zone più
tranquille. La tensione è altissima e costeggiando il mare
si vedono grappoli di imbarcazioni che controllano la situazione.
Sono passate due ore e cominciano ad arrivare nuove notizie
da tutti gli altri cortei. Cariche ovunque, scontri, feriti
e vetrine in frantumi decorano ormai molte vie di Genova.
Sul lungomare la situazione sembra piu’ tranquilla. Parte
qualche sasso ad una caserma dei carabinieri ma in pratica
non succede nulla per 30 minuti. Il corteo spontaneo ha ormai
raggiunto la periferia di Genova. Implicitamente l’obbiettivo
diventa arrivare al campeggio del network e fare il punto
della situazione. Tutto tranquillo quindi, ma cominciano le
provocazioni delle guardie. Due camionette tentano di spaccare
il corteo lanciando lacrimogeni, pallottole di gomma e pepper
spray. La risposta e' ovvia: i due blindati vengono assaltati
e danneggiati, poi i carabinieri sparano in aria e si ritirano
leccandosi le ferite. Quella provocazione scatena la rabbia
del corteo che riprende a praticare l’azione diretta colpendo
banche e supermercati. Di nuovo barricate, secchioni in mezzo
alla strada e sassi sulle vetrine. In realtà per alcuni minuti
non c’è l’ombra di una guardia, ma quando il corteo giunge
in una stretta stradina in discesa arriva da lontano la carica
di alcuni blindati lanciati a forte velocita’ contro i manifestanti.
C’è confusione, qualcuno viene colpito alla schiena da lacrimogeni
lanciati ad altezza d’uomo, altri rimangono isolati. Il corteo
non ha nemmeno il tempo di difendersi e controcaricare. Si
corre, si rovesciano cassonetti, si cerca di capire quanti
sono stati isolati dalla carica. Qualcuno dopo aver respirato
piu’ volte il fumo dei lacrimogeni (sicuramente potenziati)
si sente male e viene sostenuto dai suoi compagni. Poi incredibilmente
il corteo, dopo svariate ore di scontri, fughe ed indietreggiamenti,
si unisce a tutti gli altri cortei che si erano mossi dai
vari campeggi per invadere la zona rossa. Dalla fine della
strada, in cima ad una collina, lo spettacolo è assolutamente
surreale. Un nuvolone compatto di lacrimogeni avvolge la testa
del corteo. Da 3/4 chilometri di distanza si vedono chiaramente
le cariche selvagge che stanno colpendo il corteo dei disobbedienti
partito dal Carlini. E’ chiaro che da quel momento i vari
spezzoni partiti dai campeggi per raggiungere i rispettivi
obbiettivi si sono casualmente trovati uniti. C’è qualche
problema di convivenza ma il colpo d’occhio visto dall’alto
e’ incredibile. Migliaia e migliaia di persone rimangono assolutamente
compatte nonostante lacrimogeni, idranti, pallottole di gomma
e cariche brutali.
Ormai e’ tardo pomeriggio e i fumi dei lacrimogeni si mischiano
con quelli delle auto in fiamme. Il grosso dei manifestanti
comincia a raggiungere in grandi gruppi i rispettivi campeggi.
Non c’è ancora il tempo e la lucidita’ per capire cosa e’
successo a Genova durante tutta la giornata. La rabbia però
deve ancora scoppiare in tutta la sua esasperante drammaticità.
Ai campeggi si diffonde la notizia che le guardie hanno sparato
ed ucciso un compagno.
Nessuno vuole crederci c’è incredulita’ e sgomento.
Non si vuole dar peso ai Telegiornali che già danno la notizia.
Quando Radio GAP e indymedia confermano cio’ che tutti temevano
nessuno ha la forza di sfogarsi. Non si parla, si sussurra.
Non si grida si piange, si sta in silenzio covando tutto il
rancore e l’odio contro quegli assassini di merda che hanno
portato via la vita ad uno di noi. Non si conosce ancora il
nome del ragazzo ucciso quando nei campeggi cominciano le
assemblee. Quando ti portano via un compagno, per sempre,
c’è poco da dire. Tutti sono consapevoli che il giorno dopo
ognuno esprimera’ a modo suo la risposta da dare agli infami
che hanno ammazzato un ragazzo di 23 anni per difendere 8
porci assassini. Nonostante aver assassinato Carlo Giuliani,
nonostante aver calpestato il suo cadavere con un blindato,
le forze dell’ordine hanno ancora la capacita’ morale di sfrecciare
davanti ai campeggi esultando per aver svolto il loro mestiere
d’assassini. Alzano il braccio destro, inneggiano al duce
e qualcuno gli regala qualche sassata sui vetri mettendoli
in fuga.
Finisce così la giornata piu’ lunga che luglio 2001 ha prodotto
per il movimento.
21 luglio
Alle 7.30 del mattino il sole non riesce ancora a riscaldare
nessuno. Qualcuno trema, anche se il calendario dice che siamo
arrivati al 21 luglio. Sara’ solo un’illusione perche gia’
dalle ore successive si comincera’ a far sentire un caldo
torrido che soffochera’ tutt* durante l’intera giornata. Ai
campeggi nessuno ha voglia di parlare.
Tutti osservano le foto che i giornali pubblicano in prima
pagina raccontando la giornata di guerra che ha sconvolto
Genova.
Naturalmente c’è il volto di Carlo sfregiato brutalmente da
due pallottole sparate da un carabiniere a bordo di un blindato.
Sono immagini crude, assolutamente efficaci nel trasmettere
tutto il macabro operato delle forze dell’ordine. Uomini in
divisa presidiano spavaldi ed indifferenti il cadavere di
Carlo impedendo a chiunque di avvicinarsi. I cani da guardia,
per un osso e qualche briciola di pane, obbediscono sempre
al loro padrone. Loro sono lì, davanti a quel cadavere, felici
di fare il loro dovere.
Il 21 luglio Genova e’ letteralmente invasa da almeno 300.000
manifestanti. La piazza dove dovrà partire il corteo rimarrà
solo sulla carta il luogo del concentramento dei manifestanti.
Il corteo infatti comincia diversi chilometri prima, quando
alla spicciolata tutti i gruppi, i collettivi, le associazioni,
i centri sociali, i sindacati di base e le singole individualita’
si muovono istintivamente formando un immenso fiume di folla.
Fa caldissimo e lungo tutto il percorso si vedono i segni
della giornata precedente: vetrine in frantumi ovunque, cassonetti
bruciati, qualche sasso in mezzo alla strada. Qualcuno comincia
a scrivere il nome di Carlo sui muri, si esprime graficamente
tutto l’odio contro i suoi assassini. Per la strada nessuna
divisa, niente plotoni pronti a caricare, nessun blindato.
In cielo però 4 elicotteri sorvolano provocatoriamente il
corteo, mentre una marea di gente gli urla slogan pieni di
rancore e rabbia. Lungo la via che porta al mare i manifestanti
giocano con gli abitanti della zona. Dalle finestre grandi
sorrisi e frasi d’incitamento precedono una refrigerante secchiata
d’acqua. Ogni volta che dai balconi signori e vecchiette rinfrescano
generosamente il corteo rumorosi applausi di ringraziamento
interrompono per qualche secondo la rabbia che il corteo cercava
di esprimere. Per quasi due chilometri ogni palazzo cerca
di rompere la cappa di calore che soffoca il lungo serpentone.
Poi qualcosa cambia. Cominciano ad arrivare notizie di strani
movimenti alla testa del corteo. Si stringono i cordoni, ma
la situazione sembra assolutamente tranquilla. C’è chi si
ferma per riposare e bere qualcosa, chi continua a camminare
e a urlare slogan. Ai lati del corteo qualcuno tira sassi
ad una caserma dei carabinieri. Qualche vetro in frantumi,
due lacrimogeni tra la folla prontamente rimandati al mittente.
La tensione comunque si mantiene bassa.Tutto tranquillo. Dopo
qualche minuto, mentre il corteo continua ad avanzare lungo
la costa, si intravedono a 4/5 chilometri di distanza i fumi
grigi dei lacrimogeni. In testa al corteo ci sono gli scontri
e naturalmente comincia a salire la tensione ovunque. Ora
cominciano stranamente a ricomparire i plotoni di celere.
Uno si muove improvvisamente e viene respinto senza troppi
problemi. Arrivano i rinforzi e le guardie sul lato destro
diventano veramente tante. Dall’altra parte della strada c’è
il mare, davanti invece gli scontri si fanno violentissimi.
Il corteo è immobile, fermo, silenzioso. Gli scontri sono
molto distanti, ma l’intenzione e’ quella di non staccarsi
dallo spezzone di testa. Nessuno deve rimanere isolato e il
corteo rimane compatto. A questo punto però i tentativi di
frantumare in più parti l’immenso fiume di gente diventa l’obbiettivo
principale degli sbirri. Viene respinta la carica al lato
del corteo, ma dall’alto, dagli elicotteri e dai tetti, diversi
candelotti piovono sulla testa delle persone. C’è troppa gente
ed è pericolossissimo scappare senza criterio. Si rischia
di rimanere tutti schiacciati. Fortunatamente qualcuno fa
cordone e riduce il panico. L’aria è irrespirabile, l’odere
dei lacrimogeni acre e nauseabondo. La pelle brucia, gli occhi
lacrimano e si gonfiano. Tutti capiscono che è meglio tornare
indietro. Il corteo prosegue defluendo in massa verso quarto.
Chi vuole continuare l’azione diretta non ha piu’ vetrine
da sfasciare, chi cerca un riparo non lo trova, chi vuole
andare avanti riceve lacrimogeni e viene caricato. I gruppetti
che imboccano le viette laterali vengono inseguiti, caricati
e chi rimane isolato viene pestato senza motivo.
Un sostanzioso gruppo di attivisti, piu' o meno 500, vengono
spinti dopo una violentissima carica verso l'interno della
città (Albaro). Le guardie non mollano e a ripetizione
sparano lacrimogeni mai vesti e sentiti, molte persone si
accasciano a vomitare. Vengono date in fiamme macchine di
grossa cilindrata per rallentare l'inseguimento delle guardie
fra le viuzze. Per oltre un'ora il gruppone viene inseguito
e caricato, fino al suo definitivo smembramento a piazza Martinez
dopo l'ennesima violentissima carica. Tutt* i/le fermati/e
dopo ogni carica vengono selvaggiamente massacrat*. Alcuni
della nostra crew sono rimasti incastrati dopo una carica
in un cortile, asserragliati e circondati dalla polizia per
un ora, mentre attorno le guardie sfiguravano a manganellate
i compagni dispersi. Solo dopo aver scavalcato inferriate
su inferriate sono riusciti a eludere l'assedio degli sbirri.
Intanto il grosso del corteo cammina rapido verso una meta
inesistente. Gli elicotteri continuano a sprecare carburante
cercando di provocare un corteo che non si lascia infastidire.
Vengono ancora lanciati lacrimogeni dall’alto poi, arrivati
in periferia, tutti cercano di ritornare ai rispettivi campeggi.
Anche il 21 luglio gli sbirri hanno fatto il loro dovere.
Ancora feriti, arresti e dispersi. Si scopre che poco prima
del corteo, al campeggio del network per i diritti globali,
le guardie hanno fatto un’irruzione portando via una ventina
di compagni e compagne. Altri compagni sono feriti o sono
stati arrestati. Si smontano le tende, si riempiono gli zaini
di panni sporchi e bottiglie d’acqua.
Si torna a casa.
Non c’è tempo per le valutazioni politiche. Brignole è piena
di gente quando alle 21:30 tutti e tutte si muovono per prendere
i rispettivi treni speciali. Torniamo a casa.
Ricominciamo piu’ forti di prima consapevoli che il G8 e’
stato delegittimato e sfigurato. Mentre siamo sulla via del
ritorno i padroni del mondo lodano il governo italiano che
ha consentito lo svolgimento del vertice. Nonostante i proclami
sereni e distesi, i global leaders sanno benissimo che il
loro vertice è stato pagato ad un prezzo altissimo. Il prossimo
lo faranno in Canada sulle montagne rocciose per evitare contestazioni
e ogni dimostrazione di dissenso. Questa è la loro democrazia.
Una democrazia condita con il carcere e la repressione, con
il sangue e la morte. Ma mentre loro continueranno a assolversi
da soli, giustificando tutti i crimini di cui sono responsabili
in noi cresce, sempre piu’ forte, la consapevolezza che 5
miliardi di sfruttati non si fermano con due pallottole.
Noi non gli daremo mai tregua!
Mw4k Genova Riot Crew
Se sei interessato puoi leggere il comunicato
con il quale abbiamo aderito alle mobilitazioni antiG8 di
Genova.