Tratto
da una e-mail della nostra mailing list
[ alcune foto sono ingrandibili ]
[
leggi il nostro comunicato di adesione
]
>>Questa
vuole essere una cronaca, soggettiva e parziale, dei due giorni
passati in Svizzera cercando di fermare quel maledetto WEF, giocando
a nascondino con le guardie, passando frontiere e scontrandosi
con gli sbirri.
A
Lugano, venerdi' 26 quando siamo arrivati, la situazione era gia'
abbastanza calda, sia per le telecamere che le guardie avevano
piazzato il giorno prima davanti l'ingresso del csoa Molino, sia
per le sempre piu' inquiete notizie che arrivavano dalla frontiera.
Al
Molino, al momento dell'assemblea pomeridiana, eravamo gia' un
centinaio di persone entrate per lo piu' in Svizzera alla spicciola
(treni di notte, in macchina dal giorno prima, autolinee private).
L'ufficio di segreteria del csoa sforna notizie una dietro l'altra,
soprattutto riguardo gli arrestati del giorno prima (16 compagni)
e le frontiere chiuse. Si decide di andare a Lugano a sfilare
per le vie del centro per controinformare i cittadini sia riguardo
il WEF sia riguardo le decisioni del governo svizzero di militarizzare
lo stato e impedire la circolazione attraverso le sue dogane.
Ma in realta' ancora non si capisce tanto la difficolta' di oltrepassare
le linee di confine, soprattutto per quelli come noi che le hanno
passate abbastanza facilmente i giorni prima.
Ma le notizie che giungono diventano via via piu' preoccupanti
(bloccate numerose auto private, i pulmann da Roma e da Milano,
bloccata e rispedita in Italia la gente sui treni).
I pretesti per rispedire i compagni (ma non solo!) indietro sono
di volta in volta piu' ridicoli e malcelano buffamente la militarizzazione
e la chiusura totale dei confini da parte delle autorita' elvetiche.
Per difendere un fottuto convegno illegittimo di ricchi, la Svizzera
si e' chiusa a riccio preferendo pagare un alto prezzo in termini
di democrazia e libera circolazione, piuttosto che consentire
una manifestazione, oltre che garantire il diritto di muoversi
da uno stato all'altro.
La sera la rabbia cresce, pensando a quanta gente non e' riuscita
a raggiungerci (dopo veniamo a conoscenza che non solo c'e' chi
e' stato respinto, ma che addirittura 9 compagni e compagne sono
stati/e ARRESTATI/E!!!).
Il
mattino arriva presto e alle 6:00 siamo gia' in piedi pronti a
salire su quattro pulman che ci dovrebbero portare a Davos.
Si aspetta, lungo l'autostrada, e si incrociano le dita nella
speranza di evitare posti di blocco. Ci si affida alla scaramanzia
e al caso ben consapevoli di attraversare uno stato blindato.
Infatti il primo blocco ci si para davanti a meno di meta' percorso.
La tensione e' alla stelle e le guardie, con anche un unita' cinofila,
passano alla rassegna del bagagliaio dei pulman alla ricerca di
oggetti contudenti e cazzate varie. Nonostante tutto, riusciamo
a passare, non trovando nessun motivo per bloccarci. Ma non bastando
questo, ci accodano una volante che ci "scortera'" fino
alla fine del viaggio.
Il resto del percorso e' un saliscendi sia per i monti sia tra
la tensione e l'attesa monotona. I pulmann cercano di evitare
i blocchi autostradali passando per strade cantonali. Ai nostri
pulman se ne aggiungono altri tre che arrivano da altri cantoni.
Quando stiamo per arrivare (ovvero quando giungiamo a Landquart)
ce ne accorgiamo. Un elicottero volteggia sulle nostre teste,
il traffico e' paralizzato dallo spiegamento delle forze dell'ordine,
i cellulari non ricevono piu'.
Scendiamo
dai pulman e ci avviciniamo alla strada chiusa dalle guardie.
Ci sono una trentina di celerini (la strada e' stretta ed e' su
un ponticello), subito dietro un blindato con idrante e dietro
ancora un semovibile dell'esercito. Saremo quasi un migliaio tra
noi, i francesi e i tedeschi. Respiriamo un po' di quell'aria
fredda e ci guardiamo tutti attorno consapevoli che non si passera'.
Il governo cantonale sta mostrandosi veramente duro. Gia' una
schiera di celerini la dice lunga sulla volonta' di farci passare,
figuriamoci un mezzo semicorazzato!
Girano voci e le parole si fanno frenetiche fra ordini e contrordini
tra chi urla "calmi!" e chi scandisce slogan in inglese.
Ci stiamo ancora compattando e stiamo ancora decidendo che cazzo
fare quando partono le prime rafficche di pallottole di gomma
e lacrimogeni.
Non hanno neanche aspettano una minima provoc-azione nostra, attaccano
a freddo.
Rimaniamo un po' stupiti, noi italiani, dal tipo di lacrimogeni
che sparano che da uno si dividono fino a 12 (qualcosa di simile!).
Questo significa che ne basta uno per coprire una area vastissima,
e loro ne sparano decine. Presto la spiana affianco all'autostrada
si trasmorma in un campo di battaglia con noi che cerchiamo non
dico di sfondare ma almeno di difenderci dai numerosi candellotti
che arrivano. Pietre alla mano si tenta piu' volte di aprirsi
un varco ma le guardie sono inamovibili e piu' che corrazzate.
Poi loro passano lungo il fiume (dalla parte opposta a noi) e
continuano a spararci da sempre piu' vicino.
Un gruppo di compagni si avvicina fino a una decina di metri dal
cordone delle guardie ma un lancio di bombolette "pepper-spray"
respinge pure quest'ultima sortita.
Non resta che allontanarsi ed andare ad occupare l'autostrada
nord-sud.
Giunti
sull'autostrada, occupiamo entrambe le carreggiate tra lo sguardo
allibito di chi stava in macchina. Srotolati gli striscioni rimaniamo
li', facendo
passare le macchine col contagocce. Qualche autista bastardo prova
a forzare e prosegue il viaggio senza parebrezza e con qualche
ammaccattura in piu', ma per lo piu' la gente resta sbalordita
ma composta a leggere i numerosi striscioni in tutte le lingue.
Il
blocco dura varie ore finche' dalla stazione, in lontananza, vediamo
alzarsi il fumo dei lacrimogeni e ci ritorna addosso il loro odore
acre. Sono i compagni di Zurigo (sei carozze piene zeppe) che
cercano anche loro di sfondare. Nulla di fatto e li ricostringono
a ripartire, ma loro tirano il freno e scendeno verso di noi.
Nonostante tutto e' un tripudio, si urla, si grida, slogan in
tutte le lingue, pare un po' di conoscersi tutti da tanto tempo.
Verso
le 17:00 ritornano i nostri pulman e si decide di andare tutti
a Zurigo (anche se alcuni tornano direttamente a Lugano). In realta'
la decisione non viene presa cosi' facilmente, si fanno assemblee
su ogni pulman. Si discute perche' si sa bene che la situazione
a Zurigo potebbe essere troppo tesa e facilmente si potrebbe cadere
in provocazioni degli sbirri. Inoltre c'e' la sensazione diffusa
dell'assenza di una continuita' tra Davos e Zurigo: in poche parole,
il nostro scopo e' impedire ai ricchi di fare come cazzo gli pare,
e allora cosa c'entra andare in un altra citta'?
Ma del resto qualcuno deve pur pagare un prezzo politico per le
frontiere chiuse, per Davos irraggiungibile, per i compagni arrestati.
Quindi si va.
Mentre
andiamo una telefonata ci avverte che a Zurigo gia' sono iniziati
gli scontri e la polizia sta gia' caricando.
La tensione sale alle stelle, siamo tutti nervosissimi e inkazzati.
Appena arrivati scendiamo dai pulman e, coperti i volti, ci mettiamo
dietro a un camion che spara techno contro il WEF. Siamo tantissimi,
tutti avvellenati fino all'osso decisi a non mandare giu' nessuna
provocazione. C'e' in tutti la consapevolezza di essere li', alla
faccia dei divieti, degli arresti, delle non autorizzazioni, delle
barriere abbassate alle dogane. C'e' la rabbia per tutti e tutte
quelli/e che non sono con noi, che l'idiozia di un capitalismo,
che fa passare merci ma non persone, ha tenuto lontano, respinto,
arrrestato.
Arriviamo
alla stazione (cioe' neanche 200 metri dalla partenza) e troviamo
4 sbirri stile Robocop con i fucili carichi di pallottole di gomma
puntati verso noi che cominciano a sparare. Qualcuno risponde,
vola qualche pietra. Ma tutto finisce presto perche' alla spalle
delle guardie spuntano una marea di compagni... sono quelli scesi
dal treno, appena ritornati da Landquart.
Si riprende ad andare verso il centro, con il carro e la techno
davanti. Ma proprio di fronte a noi, nel bel mezzo della piazza,
spuntano svariati celerini con un blindato (enorme) con gli idranti.
La polizia, ancor una volta, senza attendere nulla e senza aspettare
che sfiliamo per le strade, spara getti d'acqua potentissimi fino
a 100 metri e fa partire decine di lacrimogeni (sempre di quel
tipo a frammentazione). Nessuno ripiega, decine di compagni si
buttano avanti sotto i getti d'acqua e assaltano le guardie, che
continuano ad usare tutte le tecnologie possibili a disposizione.
La battaglia infuria e arriva altra celere da un ponte alle spalle
del carro. Si formano altri gruppi che tengono lontane, con una
fitta sassaiola le guardie.
Ma i lacrimogeni cominciano ad essere eccessivi e l'aria comincia
a farsi irrespirabile.
Si torna indietro alla stazione dove una trentina di sbirri dietro
4 auto sparano a ripetizione (senza una minima sosta!!!) centinaia
di proiettili di gomma. Sembra di stare sul fronte in trincea
costretti a passare lungo un fosso al fianco della strada per
evitare di essere colpiti. Aggiriamo le guardie e finiamo presso
il primo binario dove ci sono centinaia di sassi idonei a rispondere
ai loro colpi. Qualcuno raccoglie le pietre, qualcuno le ammucchia,
qualcuno le tira: ininterrottamente. Circa venti minuti di assalto
costringono le guardie a farsi sempre piu' piccole dietro le loro
auto ormai demolite. Qualcun'altro devasta un TAV, riducendo in
polvere i finestrini.
Alla fine giungono i rinforzi della polizia e un'ondata inarrestabile
di lacrimogeni ci sparpaglia. I conati di vomito salgono fino
in gola, molti compagni sono feriti ed esausti.
Si arretra sempre di piu' sotto la pressione degli idranti finche'
non si ha il tempo di ribaltare alcune luccicanti Mercedes per
farne delle barricate e bruciarle.
Le fiamme salgono fino in cielo e ci coprono dalle guardie. Questo
ci consente di creare barricate una dietro l'altra per rallentare
gli sbirri. Si usa tutto: macchine, immondizia, legna, frigoriferi(!),
cassonetti. Quando la polizia si avvicina si lanciano pietre e
si brucia tutto prima di arretrare. Questo consente di avere tempi
piu' lunghi per prendersela con banche e McDonald's e tornare
a ballare la techno AntiWef.
Poi
piu' o meno la situazione si scioglie, ognuno torna alle proprie
case, ai propri posti di partenza, stanchi, distrutti, ma soddisfatti.
Poteva andare meglio, anzi avremmo voluto molto di piu', soprattutto
lo avremmo voluto a Davos, a fermare i ricchi a fargliela pagare
per il loro mondo brutto fatto di miserie e devastazioni. E soprattutto
avremmo voluto il nostro diritto ad esistere, a muoverci, a manifestare,
a costruire un mondo migliore.
Chi ce lo impedisce, paga sempre le conseguenze.
Un
ringraziamento particolare al csoa Molino per le fatiche, la pazienza
e la disponibilita' dimostrate in questi giorni.
Un abbraccio a tutti/e i/le compagni/e arrestati/e: liberta'!
(A)lcuni
che c'erano