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Noam Chomsky
La colonizzazione del Medio Oriente:
le sue origini e il suo profilo




Terrore e punizione


La Dichiarazione dei principi inizialmente suscitò grandi speranze, perfino euforia, tra i palestinesi. Questo è comprensibile dopo anni di sofferenza e di lotta culminati nell'Intifada, che venne repressa con straordinaria crudeltà. Ma non è mai una buona idea farsi sedurre dalla retorica dell'esaltazione e dalla speranza disperata invece di attenersi ai fatti concernenti il potere e, nel caso specifico, al testo letterale dei documenti formulato dai vincitori. Com'era inevitabile, la dura realtà ha progressivamente spazzato via gli entusiasmi iniziali. Una conseguenza è stata l'insorgere del terrorismo, che ha modificato il tradizionale schema nel quale le vittime erano in maggioranza arabe. I fatti sono difficili da stabilire, dal momento che l'uccisione dei palestinesi, o altre atrocità e violenze nei loro confronti, ricevono poca attenzione, e, di certo, non ricevono l'imponente copertura e l'appassionata denuncia della "folle strage" (New York Times) che si hanno quando le vittime sono ebrei israeliani. Scegliendo praticamente a caso, i redattori del Times e di altre riviste, non hanno espresso alcuna "ripugnanza e sdegno", né hanno visto alcun bisogno di riportare almeno i fatti, quando le squadre della morte fondate nel 1989 sono tornate a colpire, uccidendo solo nella prima settimana del 1995 sette persone, quattro nel villaggio di Beit Liqya; un'altra venne salvata dal coraggioso intervento dell'attivista per i diritti umani palestinese Hanan Ahrawi, ex membro del gruppo di negoziato dell'Olp. Una rara notizia nella stampa statunitense riporta che negli anni successivi alla firma degli accordi "sono morti 187 palestinesi principalmente per mano di una Forza di difesa israeliana (Fdi) sempre più tesa, gravata dal peso della responsabilità di proteggere i coloni ebrei", a fronte di 93 israeliani; a maggio del 1995 il numero era salito a 124 israeliani e 204 palestinesi, "un numero di vittime inferiore agli anni precedenti". Il gruppo fondamentalista islamico Hamas, considerato il principale agente del terrorismo antiebraico, ha proposto negoziati per allontanare i civili dal centro della guerra e delle violenza", riporta la stampa israeliana, ma il primo ministro Rabin ha respinto l'offerta sulla base del fatto che "Hamas è il nemico della pace e il solo modo di trattare con loro è una guerra di sterminio".

Anche le atrocità israeliane in Libano passano regolarmente sotto silenzio negli Stati Uniti. Più di 100 libanesi sono stati uccisi dall'esercito israeliano o dai suoi mercenari dell'esercito del Libano del sud nella prima metà del 1995, riporta l'Economist di Londra, a fronte dei sei soldati israeliani caduti in Libano. Le forze israeliane usano armi terribili, compresi granate antipersona che si frantumano in schegge di metallo (talvolta granate a azione ritardata in modo da portare al massimo livello il terrore), che hanno ucciso due bambini nel luglio del 1995, altri quattro nella stessa città alcuni mesi prima e altri sette a Nabatiye, dove "nessun giornalista straniero si è casualmente trovato" a descrivere le atrocità, come ha riferito Robert Fisk. Di solito si hanno delle menzioni occasionali nel contesto di articoli che denunciano le azioni terroristiche di rappresaglia degli Hezbollah nei confronti degli israeliani. A prescindere dall'identità delle vittime, la reazione delle autorità militari è invariabilmente la stessa: punire i palestinesi. L'esempio più drammatico si è avuto a Hebron dopo il massacro di 29 palestinesi nella moschea di Ibrahim nel febbraio del 1994 da parte del colono di Hebron Baruch Goldstein, un immigrato americano, al pari della gran parte della frangia estrema, di temperamento neonazista, come i commentatori israeliani regolarmente osservano. Dopo il massacro, "l'occupazione israeliana raddoppiò l'oppressione" dei palestinesi, ha riportato un anno dopo Ori Nir. Nuove misure di sicurezza "per proteggere i coloni ebrei dalla vendetta" divennero permanenti, con le strade principali chiuse e il mercato, un tempo centro regionale e base dell'economia di Hebron, distrutto. Il mercato è stato chiuso perché si trova nei pressi dell'insediamento di 50 famiglie ebraiche in questa città di 120.000 palestinesi, e "i coloni erano soliti rovesciare i chioschi in scorribande, finché le autorità militari israeliane si stufarono di trovarsi in mezzo a tumulti e si limitarono a chiudere il mercato", riporta il corrispondente Gideon Levy: "Ora i negozi sono chiusi e l'ingresso nella strada è consentito solo agli ebrei", compresi quelli che "vanno al mercato con cani feroci per intimidire i palestinesi", scagliano pietre contro di loro mentre marciano attraverso le zone palestinesi "armati e pronti ad entrare in azione" durante le settimanali scorribande del sabato sera, o chiariscono chi è che comanda in altri modi, con l'acquiescenza delle forze di sicurezza.

Gli autobus degli arabi sono banditi dalla città, continua Nit, mentre quelli usati dalla esigua minoranza dei coloni ebrei si muovono liberamente. Per gli arabi, la "folle realtà" posta dalla forza militare "subordina le loro vite agli interessi dei coloni". La vita per loro è divenuta "un incubo" con la distruzione dell'economia e la costante violenza da parte dei coloni che tengono incatenati dei cani per sbarrare loro il passaggio, dipingono sulle loro case stelle di David slogan come "Fuori gli arabi", "Morte agli arabi", "Lunga vita a Baruch Goldstein" e perpetrano umiliazioni arbitrarie o anche di peggio mentre le forze di sicurezza girano lo sguardo dall'altra parte. Si fanno vedere, aggiunge il corrispondente Ran Kislev, ma solo quando gli arabi “cercano di difendere la loro proprietà” a Hebron o nei villaggi circostanti. Con la normale conseguenza “che numerosi arabi vengono feriti e ancor di più imprigionati”.

La punizione forse più severa è il coprifuoco che segue regolarmente a ogni tumulto, a prescindere da chi ne sia responsabile. Dopo il massacro di Goldstein nella moschea (la Grotta dei patriarchi), il confino degli arabi per lunghi periodi tramite virtuali (spesso reali) arresti domiciliari divenne una routine, attuata talvolta in un modo che rivela la sgradevole realtà più efficacemente delle regolari atrocità. Durante le vacanze della Pasqua ebraica nel 1995, per esempio, un coprifuoco ininterrotto venne imposto ai 120.000 palestinesi di Hebron affinché i pochi coloni e i 35.000 visitatori ebrei giunti a Hebron con pullman noleggiati potessero fare picnic e spostarsi liberamente per la città, danzando per le strade, intonando pubbliche preghiere per abbattere “il governo della sinistra”, ponendo la prima pietra di un nuovo edificio residenziale, e indulgendo in altri piacevoli occupazioni sotto lo sguardo attento di uno straordinario dispiegamento di forze militari. “La celebrazione è stata conclusa”, riporta Yacov Ben Efrat, “da coloni che hanno imperversato per la città vecchia, distruggendo proprietà e infrangendo finestrini delle macchine [...] in una città magicamente ripulita [...] dai palestinesi”, cogliendo l'occasione “per insultare i palestinesi imprigionati nelle loro case e per lanciare loro dei sassi se osavano sbirciare dalla finestra gli ebrei che festeggiavano nella loro città” (Israel Shahak). “Bambini, genitori e anziani vengono di fatto imprigionati per giorni nelle loro case, che nella maggior parte dei casi sono gravemente sovraffollate”, riporta Levy, e non possono far altro che accendere i propri apparecchi televisivi per “osservare una colona che annuncia gioiosamente, "c'è un coprifuoco, grazie a Dio "”, e ascoltare le “allegre danze dei coloni”, le “processioni festive”, alcune alla “Grotta dei patriarchi aperta solo agli ebrei”. Nel frattempo “il commercio, le professioni, gli studi, la famiglia, l'amore – tutto si interrompe bruscamente”, e il “sistema medico è rimasto paralizzato” di modo che “molte persone malate a Hebron non hanno potuto raggiungere gli ospedali durante il coprifuoco e donne che stavano partorendo non sono riuscite a giungere in tempo alle cliniche”.

I coprifuoco protratti nel tempo impongono grandi sofferenze, talvolta letteralmente la fame, a una popolazione che per sopravvivere è stata costretta a dipendere da un lavoro servile in terra d Israele, svolto in condizioni terribili che sono state condannate per anni dalla stampa israeliana con pittoresche descrizioni. Il solo studio accademico comparativo giunge alla conclusione che “la situazione di arabi non cittadini in Israele è peggiore rispetto a quella di non lavoratori stranieri in altri paesi”, dei lavoratori emigrati negli Stati Uniti, dei “lavoratori ospiti” in Europa, ecc. Ma questi erano i bei vecchi tempi. Ora i palestinesi sono progressivamente sostituiti da lavoratori provenienti da Thailandia, Filippine, Romania e altre nazioni dove le persone versano nella miseria. Il ministero del lavoro ha riportato oltre 70.000 lavoratori stranieri registrati dal marzo del 1995, mentre solo 18.000 permessi di ingresso sono stati garantiti a palestinesi dei territori, in confronto ai 70.000 di un anno prima. Alcuni giornalisti riferiscono che, accanto a decine di migliaia di emigranti illegali, essi subiscono “orari di lavoro inumani e detrazioni della paga con vari pretesti”, con “uomini venduti come schiavi da un padrone all'altro” e “donne che subiscono gravi molestie sessuali e hanno paura di fiatare”, sapendo che la minima protesta può condurre all'espulsione.

Queste “persone silenziose e lavoratrici in molti casi vivono in condizioni subumane”, scrive il redattore di Ha aretz, “e sono spesso soggette all'oppressione da parte dei loro datori di lavoro”. Vengono tenuti isolati e senza diritti, vita familiare o sicurezza. La loro condizione “sarebbe la più stretta approssimazione alla schiavitù” se alla base non vi fosse un “contratto consensuale” reso possibile dalle condizioni create dal “capitalismo reale” in buona parte del mondo. La soluzione “Thai” preannunzia ulteriori disastri per i palestinesi, egli ammonisce, con pericolose conseguenze anche per Israele.

I coprifuoco e le chiusure “hanno devastato l'economia palestinese distruggendo 100.000 famiglie nella sola Gaza”, riporta Nadav Ha'etzni. Il “trauma” può essere accostato solo all'espropriazione e espulsione in massa dei palestinesi nel 1948. Dato che la manodopera importata in stato di semi schiavitù preclude alla forza lavoro palestinese l'unico impiego che le era stato concesso, “gli accordi di Oslo hanno creato un Medio Oriente veramente nuovo”, egli scrive.


La colonizzazione del Medio Oriente: le sue origini ed il suo profilo


tratto da Noam Chomsky - "Il potere; Natura umana e ordine sociale" - Editori Riuniti 1997


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