Tra gli argomenti
degli antiabortisti, uno vuole che l'aborto violi una legge naturale
antichissima. Al contrario, per secoli e secoli l'aborto ai primi
stadi della gravidanza fu legalmente tollerato, e in molte società,
sia in Europa che più tardi in America, fu adottato come uno dei
soli metodi sicuri di controllo delle nascite. Persino la chiesa
cattolica ammise, con opportuna elasticità, il principio secondo
il quale il feto viene vivificato dall'anima razionale, così che
l'aborto fu considerato un delitto solamente dopo 40 giorni dal
concepimento per il maschio, e dopo 80 giorni per la femmina (come
si facesse a determinare il sesso del nascituro non era specificato).
La legge inglese, che risale al XIII secolo e che fu poi estesa
agli Stati Uniti, dimostra una notevole tolleranza dell'aborto
finchè il feto non era considerato vitale, cioè fino alla comparsa
dei primi movimenti, generalmente avvertiti dalla madre al quinto
mese. La maggior parte delle leggi che fanno dell'aborto un crimine
non furono introdotte prima dell'Ottocento. Nel 1869 papa Pio
IX dichiarò che l'aborto è sempre un omicidio, e in America entro
il 1870 la nuova legislazione mise fuori legge qualsiasi forma
di aborto salvo quello "necessario a salvare la vita della madre."
Le ragioni per cui l'aborto diventò improvvisamente un "delitto"
sono varie. La prima è del tutto rispettabile: l'aborto era allora
una operazione pericolosa, i metodi primitivi, gli antisettici
scarsi, il tasso di mortalità elevato; e quindi la legislazione
sull'aborto fu in parte dovuta all'ondata umanitaria della metà
del XIX secolo e alla sua intenzione di proteggere la donna. In
secondo luogo, proprio in quegli anni l'assistenza ginecologica
passava dalle mani delle levatrici, che sicuramente offrivano,
tra le loro prestazioni, anche l'aborto, a quelle dei medici maschi,
che non sempre riconoscevano alla donna il diritto di interrompere
la gravidanza. In terzo luogo, le nuove cognizioni di biologia
del concepimento e della gravidanza rivelarono che il feto è vivo
anche prima che se ne percepiscano i movimenti, costringendo a
riconsiderare la soluzione dell'aborto "prima che il feto sia
vivo." In quarto luogo, contemporaneamente al diffondersi tra
le donne delle cognizioni sul fenomeno del concepimento, alcuni
governi e alcune confessioni religiose propugnarono la necessità
della crescita della popolazione per tener testa alla espansione
dell'industria e della colonizzazione di nuovi territori, e le
leggi contro l'aborto collocarono la donna sullo stesso piano
delle altre macchine dell'economia in sviluppo.
Infine, ed è forse l'argomento più insidioso, un movimento fortemente
moralistico, ossessionato dal dovere di bandire il sesso come
"divertimento," diede vita a una campagna contro l'aborto e contro
il controllo delle nascite. Il sesso era riservato al matrimonio
e il matrimonio alla procreazione: fuori del matrimonio il sesso
era immorale, e anche dentro il matrimonio, se troppo piacevole,
non era esente da immoralità e veniva punito dalle gravidanze
non desiderate.
Queste leggi
ottocentesche, se non riuscirono a reprimere la vigorosa sessualità
naturale della donna, riuscirono però, dato che la donna, come
la storia insegna, legalmente o no ha sempre abortito, a costringerla
sempre più sovente a procurarsi l'aborto per vie illegali. Nella
nostra storia collettiva di donne, il trauma dell'aborto illegale
è una componente che ci riempie di orrore e di rabbia. Tra le
donne che per disperazione dovevano procurarsi da sè l'aborto
o sottoporsi di nascosto a operazioni pericolose, il tasso di
complicazioni, di sterilità e persino di morte era altissimo;
si arricchivano, invece, le "mammane" clandestine che facevano
pagare prezzi elevati per interventi non medici compiuti in assenza
di condizioni igieniche, e vergognosa era la discriminazione contro
le donne povere che dovevano correre il rischio dell'aborto clandestino
mentre le loro simili più ricche si potevano pagare un medico
comprensivo. E quelle che non potevano interrompere la maternità
non desiderata si trovavano troppo spesso a vivere, con i loro
bambini, una vita tormentata da mille difficoltà.
Intorno al
1965, negli Stati Uniti, un gruppo di donne e di uomini, spinti
dall'esasperazione e dalla retta coscienza, cominciarono ad organizzarsi
per tentare di riformare la legislazione sull'aborto. Ci trovammo
contro coloro che vedevano nell'aborto la soppressione della vita
o la minaccia a sacri principi come "il sesso per il matrimonio"
e "il matrimonio per i figli," i medici che non volevano rinunciare
ai loro privilegi, i profittatoci che gesti vano il lucroso racket
dell'aborto clandestino. Il primo successo fu la liberalizzazione
delle leggi sull'aborto in alcuni Stati (tra cui il Colorado e
la California), che consentì alle donne, in certi casi specifici,
di far domanda di aborto, lasciando la decisione ai medici e agli
ospedali. La burocrazia medica e gli alti costi si allearono alla
sostanziale opposizione della società all'aborto nel consentire
soltanto a pochissime, per lo più benestanti, di beneficiare della
riforma. Nel 1969, quando alcuni stati avevano liberalizzato in
qualche misura la legislazione, il 75% delle donne morte per aborto
(per lo più clandestino) erano di colore, mentre il 90% degli
aborti legali era stato praticato a pazienti private. La discriminazione
atroce continuava.
Nel 1970,
infine, lo stato di New York passò non una semplice riforma ma
una "quasi abrogazione" della legislazione sull'aborto, che lo
consentiva a tutte le donne incinte da meno di 24 settimane purchè
fosse compiuto da un medico in ambiente sanitario. Entro il 1972
passarono, negli Stati dell'Alaska, delle Hawaii e di Washington,
statuti che si avvicinavano alla concessione dell'aborto su richiesta
della donna, mentre in molti altri Stati i gruppi collegati al
movimento femminista e ai movimenti per i diritti civili e per
la pianificazione della famiglia si erano impegnati in vertenze
giudiziarie che sfidavano le leggi restrittive. Per due anni le
donne che potevano permetterselo affollarono i pochi Stati dove
l'aborto era legale: nel 1972 nella sola città di New York furono
registrati 223.000 aborti, dei quali il 61,8% compiuto su donne
provenienti da altri Stati. L'esperienza di New York ci insegnò
che alcuni elementi della comunità medica erano disponibili a
venire incontro all'esigenza dell'aborto. La sicurezza e l'efficienza
dell'assistenza migliorò di anno in anno; senonchè, per ogni donna
che riusciva a venire a New York, molte altre restavano confinate,
senza mezzi e senza libertà di movimento, in comunità dove la
parola aborto era ancora irripetibile, e come prima erano costrette
alle orribili pratiche dell'aborto clandestino. Dopo aver preso
atto che l'aborto si era dimostrato sicuro e che esisteva una
forte richiesta di assistenza legalizzata a New York, i testimoni
di numerosissime azioni giudiziarie davanti alla Corte suprema
degli Stati Uniti chiesero l'abrogazione di tutta la legislazione
federale limitante l'accesso all'aborto.
La decisione della Corte suprema venne nel gennaio del 1973, e
riconobbe che il "diritto all'indipendenza della coscienza [...
] fondato sul concetto di libertà personale formulato dal 14'
emendamento [...] è abbastanza vasto da comprendere la scelta,
da parte della donna, di portare o no a termine la propria gravidanza."
In particolare la Corte dichiarava che durante i primi tre mesi
di gravidanza la scelta dell'aborto può essere compiuta soltanto
dalla donna e dal suo medico. Verso la fine dei tre mesi, la competenza
dello stato nella regolamentazione dell'aborto si riduce alla
formulazione di regole che sanciscono dove si può praticare l'aborto
e chi può farlo. "Soltanto quando il feto ha raggiunto l'età sufficiente
a sopravvivere alla nascita (da 24 a 28 settimane di gravidanza)
lo stato può proibire l'aborto [... ] a meno che sia necessario
a salvare la vita o la salute della madre."
Oggi negli Stati Uniti
A questo
punto è chiaro che la decisione della Corte suprema è stata solo
un primo passo verso l'acquisizione del diritto all'aborto assistito
per ogni donna. Certo la situazione è decisamente migliorata:
quasi tutte le donne che scelgono l'aborto entro i primi tre mesi
di gravidanza (fino a 12 settimane) lo ottengono senza doversi
troppo allontanare da casa (ma per la donna che si trova nel secondo
trimestre, da 12 a 24 settimane, è sovente molto difficile farsi
assistere); e per i casi al di sotto delle 12 settimane sono stati
aperti vari ambulatori alcuni dei quali, come i centri di pianificazione
della famiglia, non a scopo di lucro, mentre troppi altri sono
finalizzati al profitto e quasi nessuno è finalizzato alla donna.
Alcuni ospedali a gestione femminile, in California, stanno elaborando
un modello di assistenza sanitaria senza scopi di lucro e finalizzata
alla donna, dal quale ogni altro centro sanitario del paese dovrà
imparare.
Se la legalizzazione dell'aborto è stata soltanto un primo passo,
che cosa resta da fare? Innanzitutto dobbiamo batterci contro
il forte movimento antiabortista che minaccia di invertire il
processo giuridico già compiuto; in secondo luogo, sorvegliare
costantemente la qualità e la disponibilità dell'assistenza all'aborto,
che subisce alti e bassi fortissimi. Tratteremo separatamente
questi due argomenti.
I dati statistici confermano che l'aborto legalizzato volontario
migliora la salute fisica e psichica della donna. Se ne ricava
infatti che durante i primi quattro anni di applicazione della
nuova legge della città di New York: