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Controllo dell'immigrazione di genere e delle minoranze razzializzate: Sovrappopolazione, immigrazione e sostenibilità ambientale

di Chris Crass [anarchico attivista per la giustizia sociale, San Francisco]
traduzione di Border=0 da www.infoshop.org/texts/immigration.html

Le elezioni del Sierra Club: discutendo d’immigrazione nel movimento ambientalista nell’aprile 1998, i membri del Sierra Club rifiutarono un progetto di contenimento dell’immigrazione come mezzo di protezione ambientale. Il Sierra Club è uno dei primi, più grandi e più influenti gruppi ambientalisti negli Stati Uniti. Attraverso precedenti dibattiti all’interno del Club sull’immigrazione e in risposta al supporto di gran parte dei membri del gruppo, la commissione di direttori del Sierra Club decise nel febbraio 1996 di “non prendere posizione in tema di immigrazione rispetto alle politiche che regolano l’immigrazione negli Stati Uniti”, e di rimanere “impegnati sul piano ambientale e per la protezione di tutti all’interno dei nostri confini, senza discriminazioni basate sullo stato di migranti”. In contrasto con la posizione presa dalla commissione, un gruppo di membri del club a favore di un contenimento dell’immigrazione riportò l’attenzione sull’argomento, e nelle elezioni del gruppo nell’aprile 1998 venne chiesto ai 550 mila membri del club di votare in proposito.

I votanti avevano due possibilità. La posizione A proponeva che il Club rivedesse la sua decisione di non prendere posizione rispetto al problema, e che intraprendesse “una politica riguardante la popolazione degli USA che continui a sostenere la fine della crescita della popolazione statunitense nel minor tempo possibile tramite riduzione della crescita naturale (numero di nascite meno numero di morti), ma ora anche tramite riduzione della rete d’immigrazione (immigrazioni meno emigrazioni)”. La posizione B sosteneva la decisone della commissione di non prendere posizione in proposito, e proponeva: “il Sierra Club può approciarsi alle cause alla base dei problemi della popolazione globale considerando la situazione esistente in maniera complessiva; il Sierra Club incrementerà gli sforzi effettivi per difendere i diritti di tutte le famiglie alle cure sanitarie materiali e sulla riproduzione, il miglioramento della condizione femminile e l’uguaglianza delle donne; inoltre il Sierra Club continuerà a trattare le cause alla base della migrazione incoraggiando la sostenibilità, la sicurezza economica, la salute e la nutrizione, i diritti umani ed il consumo responsabile e in rispetto dell’ambiente.” In questa elezione profondamente controversa, circa 84 mila membri votarono (una quota molto più alta del solito 60/70 mila), e dei circa 78000 che si espressero sulla questione immigrazione, il 60,1% votò la posizione B.

La campagna nata dall’elezione nel Club generò molto interesse da parte dei media, dibattiti intensi e una tempesta di controversie il cui fulcro era l’argomento immigrazione. In un articolo del New York Times il giornalista John H. Cushman Jr. scrisse: “le campagne sono spesso combattute, ma quest’anno il problema immigrazione ha sollevato questioni particolarmente delicate sulla giustizia sociale, sull’uguaglianza razziale e la strategia politica, fino al profondo disagio di molti elettori del gruppo, generalmente considerati liberali.”

Il direttore esecutivo del Sierra Club Carl Pope disse in merito alla posizione A: “E’ offensiva per le persone di colore… Le persone nelle comunità di immigrati la percepiscono come l’affermazione che essi sono una forma di inquinamento.” Il sostenitore della posizione A Alan Kuper, uno dei leader del Sierra per la stabilizzazione della popolazione statunitense che promuove il ritorno al livello d’immigrazione prima del 1965, disse invece alla Associated Press “io identifico il problema della crescita della popolazione come fondamentale per il movimento ambientalista… E’ una questione che riguarda ogni cosa che facciamo”. Qualcuno disse che questa elezione era una battaglia tra l’anima del Sierra Club ed il resto del movimento ambientalista.

Durante la campagna le forze sostenitrici delle due posizioni si mobilitarono. Tra i sostenitori della posizione A c’erano alcuni tra i più attivi gruppi anti-immigrazione della nazione, ad esempio la FAIR - Federation of American Immigration Reform (federazione per la riforma americana sull’immigrazione), il NPG – Negative Population Growth (crescita negativa della popolazione), il PEB – Population-Environment Balance (equilibrio popolazione-ambiente), e la CCIR - California Coalition for Immigration Reform (coalizione della California per la riforma sull’immigrazione). Tra i sostenitori della posizione B un alto numero di organizzatori del Club attuali e del passato, molte delle sezioni locali del Club e gruppi ambientalisti e per la giustizia sociale già parte della coalizione; infine la Campagna per l’Ambiente e l’Immigrazione organizzata dal PEG – Political Ecology Group (gruppo ecologia politica) di San Francisco.

Il dibattito sull’immigrazione scaturito all’interno del Sierra Club ha evidenziato le crescenti tensioni nel movimento ambientalista, e serve come traccia per comprendere le questioni più ampie che alimentano queste tensioni. L’attivista per la giustizia sociale Emanuel Sferios scrisse in Z Magazine dopo i risultati delle elezioni: ”Nonostante questa vittoria [la sconfitta della posizione A] comunque, la controversia che si è creata a proposito della questione immigrazione all’interno dell’organizzazione ambientalista più vecchia e più grande del paese dimostra l’efficacia con cui la destra ha saputo sfruttare le paure della gente in merito alla “crisi della popolazione”. Sferios continua: “questo rivela anche quanto sia caduto in basso nel corso degli anni il livello della discussione condotta dai media sulle cause del degrado ambientale”.

L’IMMIGRAZIONE, LA “BOMBA POPOLAZIONE” E LA SFIDA RADICALE

Il dibattito del Sierra Club sull’immigrazione è al suo livello più semplice una questione di controllo della crescita demografica. La crescita della popolazione è stata identificata da molti attivisti anti-immigrazione come “una delle maggiori” o come “la” maggiore causa di degrado ambientale e di crollo. I sostenitori del controllo demografico affermano che un numero maggiore di persone sulla terra comporta un maggiore sfruttamento delle risorse ed un impatto sempre più dannoso degli umani sull’ecosistema.

“A meno che la dimensione della popolazione non verrà ridotta, e il prima possibile, il corso attuale delle cose nella nazione alla fine minaccerà non solo la qualità della vita ma, nel peggiore dei casi, il sistema stesso che mantiene la vita” così scrivono Leon Bouvier e Lindsay Grant nel loro libro Sierra Club “Quanti Americani”. Classi sovraffollate, strade intasate, disoccupazione, scontri tra culture, sempre maggiori limitazioni al consumo di acqua, degrado ambientale: tutto ciò deriva per certi versi da un’unica causa comune, cioè la sovrappopolazione.”

Per questo il controllo demografico è il nucleo del processo di sviluppo ecologico sostenibile. Le teorie del controllo demografico hanno guadagnato un vasto supporto da parte del movimento ambientalista e dell’opinione pubblica nel corso dei trent’anni scorsi, e sempre di più costituiranno le argomentazioni dei gruppi anti-immigrazione. I gruppi per il controllo demografico segnalano l’immigrazione perché negli Usa, secondo le ultime stime dell’Ufficio del Censo, l’immigrazione è il fattore principale che determina la crescita della popolazione. Se la tendenza demografica attuale continuerà, secondo l’Ufficio del Censo la popolazione statunitense crescerà dagli attuali 268 milioni di persone a 393 milioni nel 2050, un aumento di 125 milioni di persone. Il 60% di questo aumento demografico sarebbe attribuibile all’immigrazione e ai discendenti di immigrati. Con questa argomentazione gruppi anti-immigrazione come il Carrying Capacity Network affermano che “l’aumento della popolazione è l’ultima minaccia per l’ambiente. Dato che la crescita demografica è vista come una questione ambientale, anche l’immigrazione lo è, essendo un componente fondamentale dell’aumento della popolazione.”

Il controllo della popolazione è sempre stato uno dei principali obiettivi del movimento ambientalista dalla pubblicazione nel 1968 del libro “La bomba popolazione” di Paul Ehrlich, biologo di Stanford, il quale affermava che gli esseri umani sono destinati all’oblio e che bisogna imporre provvedimenti per il controllo della popolazione, anche in maniera coercitiva se necessario. Dal 1968 il controllo della popolazione, specie nel terzo mondo, è sempre stato nei programmi degli ambientalisti del mainstream. Come scrive Mark W. Nowak del Negative Population Growth: “Nel corso degli ultimi 25 anni, il collegamento tra la crescita demografica ed il degrado ambientale è stato così ben dimostrato che è difficile trovare un ambientalista che non lo riconosca”.

Comunque l’argomento del controllo dell’immigrazione è stato rifiutato da femministe, attivisti ambientalisti, per i diritti umani e per la giustizia sociale, e da organizzazioni degli Stati Uniti e del Terzo Mondo; essi mettono in discussione non solo questo, ma tutto il contesto su cui si costruiscono le teorie di controllo della popolazione. Abitanti del Terzo Mondo criticano costantemente le teorie di controllo della popolazione e le strategie che mirano a controllare la libertà riproduttiva delle donne, invece di intervenire sulle cause alla base della crescita di popolazione quali le istituzioni e le decisioni economiche, l’assistenza sanitaria, la povertà, l’educazione e l’assenza di libertà riproduttiva. Scrittrici femministe e organizzazioni in paesi del primo e del terzo mondo (in primo luogo donne nere) hanno sviluppato teorie che sfidavano le ideologie correnti sul controllo della popolazione, sullo sviluppo del terzo mondo, sulla politica estera del primo mondo e gli aiuti per lo sviluppo. Ma allo stesso tempo, le ideologie conservatrici riscuotevano e tuttora riscuotono grande consenso tra le istituzioni internazionali economiche e politiche più potenti del secondo dopoguerra, come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, le Nazioni Unite e gli Stati Uniti.

Direttamente collegato all’ambientalismo, il movimento per la giustizia ambientalista negli USA è cresciuto rapidamente negli ultimi dieci anni. Il movimento per la giustizia ambientalista è stato organizzato e portato avanti da persone nere e principalmente appartenenti a comunità povere e/o alla working class per combattere i rifiuti tossici e l’inquinamento nei quartieri poveri. Il movimento per la giustizia ambientalista intende l’ambientalismo come una componente essenziale della battaglia per una giustizia sociale che combatte discriminazioni di razza, di classe o genere.

Una delle persone che rifiuta le connessioni tra la sovrappopolazione e i problemi ambientali è Betsy Hartmann, membro del Committee on Women, Population and Environment (comitato delle donne, popolazione e ambiente). Nel suo testo rivoluzionario “Reproductive rights and wrongs: the global politics of population control” (Diritto alla riproduzione: giusto e sbagliato nelle politiche globali di controllo della popolazione”) la Hartmann afferma: “Il mito della sovrappopolazione è uno dei più diffusi nella società occidentale, così profondamente radicato nella cultura che esso influenza fortemente la visione del mondo che la cultura ci propone. Non gli si può resistere per via della sua semplicità. Più persone significano meno risorse e più fame, povertà, degrado ambientale e instabilità politica. Questa equazione aiuta a giustificare la sofferenza umana che affligge l’“altro” mondo al di là degli ordinati confini di affluenza. Procreando, il povero crea la sua stessa povertà. Così noi siamo assolti dalle responsabilità e liberati dalla complessità del tutto.”

LE TESI DEL CONTROLLO DEMOGRAFICO: I=PAT E LA CAPACITA’ SOSTENIBILE

“L’argomento della popolazione è interessante per molti in quanto viene mascherato dietro termini scientifici e quantitativi” scrive Penn Loh, ex membro della commissione organizzativa del Political Ecology Group. La formula usata per capire la questione della popolazione è stata inventata nel 1970 da Paul Ehrlich e John Holden; questa formula è I=PAT, dove I rappresenta l’impatto di qualsiasi gruppo umano sull’ambiente, ed equivale all’estensione della popolazione. P misura il livello di affluenza (o la media di consumo individuale delle risorse); A indica l’impatto ambientale delle tecnologie che procurano i beni di consumo, questi indicati dalla lettera T. La formula I=PAT uniforma ciascuno in una formula che non tiene affatto conto delle istituzioni politiche ed economiche che influenzano e determinano il consumo. L’equazione trascura anche qualsiasi distinzione tra classi, con il risultato che gli immigrati poveri risultano avere lo stesso impatto sull’ambiente delle famiglie benestanti, senza considerare minimamente i livelli di consumo di ciascuno. Istituzioni come quella militare, che è responsabile per la più alta percentuale d’inquinamento negli USA, non sono considerate in questa operazione né sono ritenute responsabili. Loh scrive che finché le questioni sulla popolazione sono costruite su formule come I=PAT, allora “il controllo della crescita demografica non è un problema scientifico di valore neutro, ma un problema politico con un reale impatto sociale”.

Attualmente il 70 per cento dell’energia mondiale, il 75 per cento dei metalli, l’85 per cento di legno ed il 60 per cento di cibo sono consumati dalla popolazione industrializzata, cioè dal 22 per cento della popolazione mondiale. Consideriamo ad esempio che negli Stati Uniti il patrimonio dell’1 per cento della popolazione a reddito più alto è uguale al patrimonio totale del 90 per cento della popolazione povera. Inoltre i ritmi di consumo nei paesi industrializzati sono determinati da profonde disuguaglianze di classe. Per esempio, nel rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano si osserva che negli ultimi tre decenni il dislivello economico nel mondo è più che raddoppiato, e che attualmente il 20 per cento della popolazione più ricca ha un reddito 150 volte superiore a quello del 20 per cento della popolazione più povera.

“Nonostante il fatto che il ricco consumi molte più risorse del povero – scrive Emanuel Sferios – non sono i consumatori, ma i produttori, e le istituzioni sociali in cui essi operano, che provocano la maggior parte del degrado ambientale.” Inoltre le multinazionali che forniscono merci al primo mondo di solito utilizzano terre, risorse e mano d’opera che prendono dal terzo mondo. Ma i sostenitori del controllo demografico non considerano nelle loro analisi l’intero sistema del capitalismo globale e dello sfruttamento di terra, ecosistema e lavoratori.

In un comunicato del Population-Environment Balance intitolato “Perché l’eccessiva immigrazione danneggia l’ambiente” si dichiara: “Il punto è piuttosto semplice: più persone hanno bisogno di più risorse, già in estinzione, e usandole producono più inquinamento”. L’estinzione delle specie e la conseguente perdita delle biodiversità, le piogge acide e la deforestazione del Tongass e di altre foreste nazionali testimoniano che l’aumento della popolazione statunitense e mondiale sta mettendo a dura prova l’ambiente, che non è più in grado di garantire per tutti un’accettabile qualità della vita”. Secondo il PEB tutto dipende dal controllo demografico, ma la questione si traduce in realtà in un controllo dei corpi e della riproduzione di uomini e donne del terzo mondo.

Un altro termine frequentemente usato da ambientalisti e sostenitori del controllo demografico è “carrying capacity” (= “capacità sostenibile”). Nello stesso comunicato del PEB gli autori spiegano che la capacità sostenibile è “il numero di persone che può vivere in maniera sostenibile in una data area senza arrecare danno all’ambiente naturale, sociale, culturale ed economico per la presente e le future generazioni.” Inoltre: “La capacità sostenibile comprende la possibilità dell’ambiente naturale di fornirci le risorse, il cibo, il vestiario ed i riparo di cui abbiamo bisogno, e la capacità dell’ambiente sociale di fornire una buona qualità della vita.” Ci fanno diversi esempi per dimostrare questi punti. Il primo è l’acqua: viene sottolineato che nei paesi occidentali, sud-occidentali e in alcuni paesi centrali [degli USA ndt] - zone che stanno vivendo la più alta crescita demografica - ci sono limitazioni al consumo dell’acqua o inquinamento tossico delle acque. Parlano di inquinamento tossico, ma non fanno menzione dell’esercito o delle società che producono la maggioranza dei rifiuti tossici! Scrivono che “molte zone hanno precipitazioni scarse o scarse fonti d’acqua alternative; questo risulta nel rischio di esaurimento e/o inquinamento delle falde acquifere”. In Florida, dove è presente l’inquinamento tossico delle acque, essi sostengono che “l’inquinamento tossico causato dalla sovrappopolazione sta già distruggendo le falde acquifere”. In questi due casi essi scrivono che l’inquinamento dell’acqua si verifica naturalmente, in qualche modo, oppure che la vastità della popolazione sia la causa. Sembra quasi che i sostenitori del controllo demografico abbiano elaborato la loro teoria del “libero mercato”: cioè, le istituzioni economiche di produzione e distribuzione all’interno del mercato sono libere da qualsiasi responsabilità.

Un altro esempio utilizzato dal PEB per dimostrare la capacità sostenibile è il caso dell’Irlanda e della cosiddetta Famina delle patate. Spiegano che “l’introduzione della patata in Irlanda nel diciottesimo secolo determinò un aumento della produttività della terra, e incoraggiò nuove stime sul numero di persone che potevano vivere su un terreno, facendo da “incentivo” all’allargamento delle famiglie… Non ci fu incentivo alla crescita o alla diminuzione se non raccolti ottimali.” Da qui, secondo loro, “la Famina irlandese delle patate”. E’ un esempio brillante della loro distorta rappresentazione della realtà.

La vera causa della Famina in Irlanda non fu né la crescita della popolazione né un cattivo raccolto; piuttosto essa fu il risultato di un rapporto di sfruttamento colonialista in cui l’Inghilterra usava terra, risorse e forza lavoro in Irlanda per coltivare cibo da vendere sul mercato inglese. Mentre il cibo di qualità veniva importato in Inghilterra, i raccolti di patate, coi quali i contadini irlandesi erano forzati a sopravvivere, andarono male e nacque il problema della famina. Durante il periodo di famina, mentre gli irlandesi poveri morivano, il cibo coltivato in Irlanda continuava ad essere esportato in Inghilterra. L’esempio delle famiglie irlandesi che diventavano sempre più numerose senza tenere in considerazione le conseguenze nel futuro è usato spesso oggi parlando dei paesi del terzo mondo.

L’accrescimento delle famiglie in Irlanda è stato importante come lo è l’accrescimento delle famiglie nei paesi del terzo mondo oggi, i quali hanno molti rapporti coloniali con il primo mondo, in particolare con gli stati uniti. I bambini valgono molto nelle società contadine, e significano anche sicurezza economica per i genitori anziani. Di solito in questo tipo di società i bambini rendono più di quanto consumano; data la situazione economica, le famiglie povere decidono razionalmente di allargare la propria famiglia. Tuttavia secondo i sostenitori del controllo demografico si comportano in maniera irrazionale, perciò necessitano di agenzie (dai paesi del primo mondo) che le educhino e ne controllino la riproduzione. Quello che questa analisi non spiega è che le famiglie povere sono capaci di sostenersi a lungo termine, e che ne trarrebbero beneficio se le agenzie del primo mondo lavorassero piuttosto insieme a loro, per mettere fine ai rapporti coloniali che stanno devastando i territori e la maggioranza delle persone nel terzo mondo.

Teorie e strategie del controllo demografico sono chiaramente centrate sulla popolazione del terzo mondo, e in particolare sulle donne del terzo mondo. Nel 1984 alla Conferenza internazionale sulla popolazione tenutasi in Messico, il fondo delle Nazioni Unite per le popolazioni produsse un film intitolato “Tomorrow’s world” (il mondo di domani). Il film descriveva la miseria della sovrappopolazione e la scena più vivida, secondo la Hartmann, era “una povera donna messicana senza terra che autorizzò la sua sterilizzazione dopo la nascita del quarto figlio.” Il narratore in sottofondo diceva “la vita senza terra non è mai stata una questione facile, ma almeno i problemi di questa donna smetteranno di moltiplicarsi.” Ma la questione del perché questa donna e moltissimi altri poveri in Messico siano senza terra non è affrontata. Non si tocca la storia politica della riforma agraria dei contadini, né del tradimento da parte del PRI. Quello che si afferma è che la povertà viene moltiplicata o stabilizzata a seconda di ciò che la madre fa. La riproduzione delle donne diviene un campo di battaglia in cui scoppia la bomba popolazione.

Ma l’attenzione sulla riproduzione che parte dalle donne non viene solo da gruppi di destra o di pseudo-ambientalisti anti-immigrazione. In quella che si autodefinisce ala radicale del movimento ambientalista, Earth First! e altri gruppi ambientalisti radicali prevalentemente di bianchi hanno reso famoso lo slogan “Ama tua madre – non diventarlo anche tu”. Earth First! è una parte molto viva del movimento ambientalista sin dagli anni ottanta, quando adottò l’azione diretta come tattica per ostacolare la distruzione dell’ambiente. Ma c’è stata una moltitudine di opinioni diverse all’interno di Earth First! da quando è stata co-fondata da Dave Foreman. Il conservatorismo di Foreman lo portò ad abbandonare il gruppo quando questo cominciò a basarsi sulla lotta di classe, su principi anarchici e femministi. Foreman si è espresso in favore del limitare l’immigrazione, e in passato ha dichiarato che le persone in Etiopia che soffrono la fame andrebbero lasciate morire. Già dal periodo di Foreman, Earth First! ha condotto campagne importanti nella foresta di Headwaters o nella Ward Valley per incoraggiare miscugli razziali, di classe e di genere. Comunque, lo slogan “Ama tua madre” e altre politiche di propaganda al controllo demografico presenti nel movimento ambientalista sono fonte di preoccupazione; perché lo slogan “Ama tua madre – non diventarlo anche tu” assegna chiaramente la responsabilità della distruzione ambientale alle donne. E considerando che le teorie di controllo si incentrano sulle donne di colore nel primo e nel terzo mondo, lo slogan diviene problematico per questioni razziali. Questo rientra perfettamente nel tipo di analisi condotte dalla destra che identificano gli individui, e in particolare le donne, come cause dei problemi sociali; mentre lasciano completamente al di fuori le istituzioni sociali, politiche ed economiche, che sarebbero prive di responsabilità. Inoltre questo slogan tiene fuori gli uomini, a tutti i livelli, non solo dalle questioni ambientaliste, ma anche dal processo riproduttivo. Per correttezza è stato creato lo slogan “Ama tua madre – non diventare padre”, ma è uno slogan poco sentito e che non rientra nelle analisi di radicali, liberali o conservatori. Lo slogan originale è inoltre popolare innanzitutto tra gli attivisti radicali bianchi che dovrebbero lavorare insieme a uomini e donne di colore, leader del crescente movimento per la giustizia ambientalista. Slogan e analisi come questo che scelgono come capro espiatorio le donne provengono di solito da gruppi di destra, ma quando attivisti radicali di sinistra adottano certe idee si vede chiaramente l’influenza che sessismo e razzismo esercitano anche tra queste fila. Per questo il razzismo dei bianchi ed il sessismo dei maschi deve essere analizzato in tutte le sue manifestazioni, in qualunque ambiente esso compaia.

Come il controllo demografico, le ideologie di controllo dell’immigrazione si focalizzano su minoranze razializzate, ad esempio donne e uomini messicani, ed esaltano la tensione razziale attraverso immagini di genere. Sara Diamond, un’importante analista di movimenti e ideologie della destra, scrisse che “due pietre miliari della letteratura anti-immigrazione sono le immagini degli “alieni illegali” messicani che scappano dagli agenti dell’INS (Immigration and Naturalisation Service) attraverso il traffico nelle strade di San Diego; e l’imperdibile folclore di “eserciti” di donne messicane incinta che arrivano in Texas giusto in tempo per scroccare servizi gratuiti per il parto e la “cittadinanza istantanea” per il loro bambino.”

Il fatto che il controllo demografico e dell’immigrazione prenda generalmente come bersaglio persone di colore e donne del terzo mondo e del primo non è casuale, ma assolutamente programmato. Uno dei maggiori sostenitori di questo tipo di controllo è Garrett Hardin. E’ presidente onorario del Population-Environment Balance e membro della commissione del FAIR, la più grande organizzazione anti-immigrazione negli USA ed uno dei gruppi più attivi nell’affiancare l’argomento all’ambientalismo. Hardin sostiene l’eliminazione dell’immigrazione non europea, afferma che le persone che soffrono la fame dovrebbero essere lasciate morire per ridimensionare la popolazione, e ha espresso preoccupazione in merito alla “prossima generazione di allevatori” che ora si sta riproducendo in maniera incontrollata nel terzo mondo. Ha dichiarato al Wall Street Journal che il controllo demografico non riguarda solo la quantità di persone nel mondo, ma che “sarebbe meglio incoraggiare la nascita e la crescita di persone più intelligenti, piuttosto che delle meno intelligenti.” Molti all’interno del movimento per il controllo demografico sostengono la posizione di John Tanton, presidente fondatore del FAIR e capo del gruppo anti-bilingue Inglese americano, che scrisse “Quando i bianchi vedrannno il loro potere e il controllo sulle loro vite in declino, dovranno accettare tranquillamente la sconfitta? O ci sarà un’esplosione?”

Razzismo e sessismo non sono nuovi al movimento per il controllo demografico e dell’immigrazione, né sono di influenza marginale. Eugenetica, supremazia ariana e sterilizzazione sono i pilastri della teorie e delle strategie del controllo, la cui lunga storia va indietro fino al periodo colonialista. Già dagli inizi dei rapporti tra Europa e Nord America, l’obiettivo di “scoprire” ricchezze portò al controllo della popolazione indigena mediante la schiavitù. In seguito il controllo della riproduzione e dell’entità della popolazione attraverso la schiavitù vennero istituzionalizzati con la deportazione di schiavi africani in America. Il controllo della riproduzione sulle donne schiave, e lo sviluppo di strategie “d’allevamento di selezione” erano le maggiori componenti del sistema di schiavitù.
Il controllo demografico delle popolazioni indigene dopo le deportazioni di massa di schiavi dall’Africa divenne in realtà un programma di decimazione della popolazione, attraverso la diffusione strategica di malattie, come il vaiolo, o l’alto numero di morti delle guerre Indiane, e le morti dovute alle deportazioni.

Lo sviluppo più formale delle teorie di controllo demografico arrivò nei primi del ‘900, con la scienza razziale chiamata eugenetica. L’eugenetica è la scienza che mira al miglioramento della razza umana, mantenendo la superiorità genetica del ricco e potente a discapito del povero, e dei bianchi sulle persone di colore. L’eugenetica era conosciuta come Darwinismo Sociale; il povero è geneticamente inferiore, sostenevano gli studiosi di eugenetica, e la soluzione era la sterilizzazione obbligatoria. Nel 1932 la legge sulla sterilizzazione obbligatoria per “i soggetti deboli di mente, squilibrati, con handicap fisici o psichici” fu applicata in 27 stati (americani).

L’eugenetica si unì al crescente movimento per il controllo demografico ed in molti casi lo appoggiò. Prima della prima guerra mondiale il movimento per il controllo delle nascite era parte dell’ideologia radicale di socialist*, antisessist*, anarchic* e unionist* come mezzo per raggiungere la liberazione della donna e della working class. Margaret Sanger si distinse come esponente leader del controllo demografico, termine che lei stessa coniò. Con la potente campagna del terrore rosso e la deportazione di massa di radicali avvenuta durante e dopo la prima guerra mondiale, il movimento per il controllo delle nascite fu quasi del tutto privato del supporto da parte radicale. Gli studiosi di eugenetica si unirono al movimento e vi portarono le loro idee di “ingegneria sociale” attraverso l’allevamento selettivo. Nel 1919, la stessa Ranger cominciò a pronunciare frasi come “Più figli dalle persone sane e meno da quelle non sane: questa è l’essenza del controllo delle nascite.” Nel 1930 la Lega Americana per il Controllo delle Nascite (American Birth Control League) sosteneva il “progresso razziale” e la sterilizzazione; alla lega si unì poi Guy Burch che era anche il presidente della Società Americana di Eugenetica e fondatore dell’Ufficio di Consiglio della Popolazione (Population Reference Bureau). Burch supportava il controllo delle nascite “per prevenire il pericolo che gli Americani vengano rimpiazzati da alieni o negri, sia a causa dell’immigrazione o di una natalità troppo alta tra gli altri in questa nazione.”

L’eugenetica venne ampiamente screditata dopo la seconda guerra mondiale, in cui i nazisti avevano applicato le teorie eugenetiche su larga scala, arrivando all’olocausto. Comunque questa “scienza” ha mantenuto capacità di influenza, e ha continuato ad influire sulla vita delle comunità povere negli Stati Uniti. A Porto Rico nel 1968 un terzo delle donne in età fertile venne sterilizzata. La Hartmann scrive che “non solo tutte quelle donne non sapevano che l’operazione fosse permanente, ma allo stesso tempo altre forme di contraccezione erano introvabili o costose in maniera proibitiva”. Così donne afro-americane, indio-americane, sudamericane e donne bianche povere sono state inglobate da programmi di sterilizzazione obbligatori o comunque limitanti per le loro scelte. Nei primi anni settanta in Alabama accadde il famoso caso Relf, in cui due adolescenti afro-americane vennero sterilizzate a loro insaputa. Una corte di distretto federale scoprì “prove inconfutabili di sterilizzazione avvenuta su minori o su persone inconsapevoli finanziata con fondi federali, e di sterilizzazione avvenuta su un numero indefinito di poveri ricattati con minacce di privazione di benefici socioeconomici, a meno che essi non accettassero la sterilizzazione irreversibile.” Nel 1977 i fondi pubblici per l’aborto furono virtualmente eliminati, mentre il Medicaid [una forma di sussidio per le spese sanitarie, ndt] copriva il 90% del costo dell’operazione di sterilizzazione. Analoghe politiche di welfare esistono ancora nei tardi anni novanta, per esempio i fondi Medicaid per contraccettivi pericolosi come il Norplant o il Depo-Provera, in opposizione a forme di contraccezione più sane e soprattutto che mettono il potere di controllo nelle mani delle donne, che usano i contraccettivi.
I gravi fatti annessi alla sterilizzazione in America provocarono campagne di protesta da parte di femministe e attivist*, in particolare le comunità di colore, per denunciare e contrastare questi programmi e guadagnare maggiore controllo dal basso sui programmi di pianificazione demografica e sulle cliniche per donne.

L’eugenetica influenzò molto il movimento per il controllo demografico, e ciò che poi si fece conoscere come “pianificazione demografica” promossa da gruppi come Planned Parenthood (= maternità/paternità pianificata). Il controllo delle nascite e la pianificazione demografica ebbero effetti positivi, come scrive Hartmann, “aiutarono molte donne a liberarsi del fardello di una gravidanza indesiderata”. Ma è importante ricordare che le comunità povere non sono solo oggetti da controllare; sono anche soggetti. Femministe nere come Patricia Hill Collins e Paula Giddings dimostrarono che, mentre il razzismo dei bianchi ebbe probabilmente un grande peso tra le fila (e tra i leader, soprattutto) del movimento per il controllo delle nascite, i club e le associazioni di donne nere molto meglio organizzati erano in grado di esercitare dal basso un controllo sull’applicazione del controllo delle nascite. Le organizzazioni di donne povere e/o di colore che reagiscono alle politiche che mirano a distruggerle, che puntano a sviluppare programmi alternativi per la liberazione, sono sempre state una potente forza di contrasto alla disuguaglianza strutturale ai discorsi di potere che giustificano quella disuguaglianza. In effetti la storia contraddittoria del controllo delle nascite, strumento tecnologico sia d’oppressione che di liberazione, è una delle ragioni per cui la libertà in materia di riproduzione è un argomento così complesso.

Le politiche di controllo demografico internazionale cominciarono dopo la seconda guerra mondiale, con la creazione di Nazioni unite, Banca mondiale e FMI; questi organismi alleati edificarono le strutture attuali di potere politico ed economico. Dopo la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti si indirizzarono sempre più verso i paesi del terzo mondo per risorse, manodopera e mercato. La Hartmann spiega così la situazione: “gli Stati Uniti accedono alle materie prime e al mercato del terzo mondo grazie a governi “aperti”, in un periodo in cui i vari nazionalismi sono in ascesa – spesso con toni radicali non affini agli Stati Uniti. Il successo della rivoluzione cinese, dei moti sovversivi indiani e indonesiani, dei movimenti indipendentisti africani, e del nazionalismo economico dell’america meridionale: tutto questo contribuì ad aumentare la paura americana del terzo mondo. La crescita della popolazione – invece di secoli di dominazione coloniale - fu considerata ciò che fomenta i nazionalismi, soprattutto considerando la crescente percentuale di giovani.”

Hartmann sottolinea che nel 1950 grandi quantità di denaro cominciarono ad arrivare alle università statunitensi dalla fondazione Ford, dal consiglio della popolazione (fondato nel 1952 da John Rockefeller III) e dalla famiglia Rockefeller per finanziare gli studi sulla popolazione. “E i finanziamenti dal governo arrivarono subito dopo” scrive la Hartmann. Nel 1957 fu pubblicato un trattato dal titolo “Popolazione: un dilemma internazionale”, il quale denunciava la crescita demografica come la più grande minaccia alla stabilità politica negli Stati Uniti e all’estero, nonché al progresso economico del paese. Nel 1966 il controllo della popolazione era parte integrante della politica estera statunitense. Il bilancio chiamato Food for Freedom identificò nell’esplosione demografica mondiale, in particolare in quella del terzo mondo, uno dei motivi della fame nel mondo, e decise che le donazioni destinate agli aiuti alimentari fossero investite nell’ambito dei programmi di pianificazione familiare nel terzo mondo. Secondo la Hartmann “oggi l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (AID) è il più grande finanziatore singolo dei programmi di controllo demografico nel terzo mondo, destinando ogni anno oltre mezzo milione di dollari a questo scopo.”

Nel 1967 partì la campagna per contenere l’esplosione demografica. La campagna fu supportata dal consiglio della popolazione e da un ex direttore della banca mondiale; sostenne numerose campagne parallele che diffondessero la paranoia della sovrappopolazione. “L’impressionante ammontare della popolazione sempre in aumento ci obbliga oggi a controllarla, o ne saremmo sommersi con tutti i nostri valori civili”, così recitava un annuncio. Un altro invece: “Un mondo con sfruttamento di massa nei paesi sottosviluppati sarebbe un mondo di disordine, rivolte e guerre. Il nostro stesso interesse nazionale richiede che noi tutti ci impegniamo per aiutare i paesi del terzo mondo a controllare la loro popolazione.”

I sostenitori del controllo demografico cominciarono ad entrare nel movimento ambientalista quando il Sierra club pubblicò il libro di Paul Ehrlich “la bomba popolazione” nel 1968; nel 1974 il club elesse il suo primo presidente per il controllo demografico. Il movimento per il controllo della popolazione aveva bisogno di stringere alleanze con il crescente movimento ambientalista. Mentre il movimento acquisiva forza durante i tardi anni ’60 e i primi ’70, una spaccatura si verificò nel 1974, in occasione della conferenza mondiale della popolazione tenuta a Bucarest. Opposizione al controllo demografico fu manifestata dai rappresentanti dei paesi del terzo mondo, ma anche da qualche sostenitore del controllo, come Rockefeller III, che alla conferenza espresse un’opinione totalmente diversa da quella che aveva manifestato per molto tempo. Alcuni critici affermarono che ciò che ci voleva era un migliore sviluppo sociale ed economico, e che grazie a servizi sociali migliori ed una miglior distribuzione di ricchezze nel terzo mondo, la crescita demografica si sarebbe stabilizzata. Il più grande shock alla conferenza fu il discorso di Rockefeller: era stato uno dei maggiori finanziatori del movimento per il controllo, e uno dei maggiori portavoce. Alla conferenza propose “una seria e profonda riconsiderazione di tutto ciò che riguarda la popolazione”. Sostenne la necessità di maggiore attenzione per l’economia e lo sviluppo sociale, e dichiarò che secondo lui “le donne devono avere sempre più il potere di scegliere e determinare il loro ruolo nella società”. Grazie a questa nuova opposizione, il sostegno al controllo demografico cominciò a espandersi inglobando anche gli ambientalisti, ritenuti la chiave di questa coalizione.

Un mese dopo la conferenza di Bucarest, l’amministrazione del presidente Ford produsse un rapporto segreto chiamato Memorandum 200 sullo studio per la sicurezza nazionale, preparato dalla CIA, l’AID, e il dipartimento di stato, difesa e agricoltura che venne adottato come politica di sicurezza nazionale nel 1975. Questo documento solo di recente ufficializzato sostiene il controllo demografico come metodo per fermare il dissenso radicale, e per proteggere l’accesso statunitense ai minerali del terzo mondo. Lo studio rivela che “gli elementi giovani, che prevalgono nelle popolazioni con alta natalità, sono più facilmente malleabili e possono essere persuasi ad attaccare bersagli come società multinazionali o altri obiettivi stranieri”.

Le agenzie per il controllo demografico provarono ad entrare in relazione con i gruppi ambientalisti più in vista, appena scoprirono che era un buon modo per procurarsi supporto. L’AID ad esempio dichiarò a proposito del lavorare insieme ad ONG ambientaliste che avrebbe “sfruttato le abilità di convincimento e le reti che i gruppi ambientalisti impiegano nelle loro attività, per diffondere coscienza tra la popolazione a proposito delle questioni demografiche e di pianificazione familiare”. Nel corso dei due decenni scorsi le agenzie per il controllo demografico svilupparono forti alleanze con gli ambientalisti del mainstream. Il Sierra club e la Audubon society hanno intrapreso nuove attività, la National Wildlife Federation ha avviato un vasto programma di controllo demografico nel 1990, e la “coincidenza di interessi sempre maggiore di popolazione e gruppi ambientalisti si dimostrò evidente nella congiunta organizzazione della Conferenza delle nazioni unite su ambiente e sviluppo, nota come il Summit della terra, nel 1992”. Un altro esempio di sforzo congiunto fu la Campagna su popolazione e ambiente (COPE) iniziata nel 1990, che mirava a “diffondere consapevolezza sulla relazione tra crescita della popolazione, degrado ambientale e il disagio umano che ne deriva, e a rispondere a tutto questo con politiche pubbliche adeguate”.

Le agenzie per la popolazione si trovarono d’accordo con molti dei gruppi ambientalisti statunitensi del mainstream, parte del movimento che fu per lungo tempo influenzata dalle idee maltusiane. Il pensiero maltusiano si rifà all’economista inglese Thomas Malthus che nei primi dell’ ‘800 scrisse a proposito dei pericoli di una smisurata crescita demografica. Malthus promuoveva nozioni parallele all’eugenetica, in particolare il timore della crescita della classe povera. Il ragionamento a lungo termine del pensiero maltusiano è l’enfasi data all’impatto ambientale che la popolazione può avere. La formula I=PAT e l’idea di capacità sostenibile sono interpretazioni moderne di quel pensiero. Le votazioni recenti sull’immigrazione al Sierra club si collegano ad una lunga storia di alleanze tra i sostenitori di controllo demografico e dell’immigrazione e gli ambientalisti.

Le elezioni al Sierra club, i dibattiti all’interno del club su come costruire alleanze e sulla scelta di cosa mettere al centro delle elezioni hanno dimostrato che la posizione pro controllo dell’immigrazione è da considerarsi sconfitta. Questa è una grande vittoria all’interno del movimento ambientalista, dovuta anche all’impatto che il movimento per la giustizia ambientale - che pone al centro dell’analisi questioni di uguaglianza razziale, di genere e di classe – sta avendo sui gruppi ambientalisti più famosi. Il movimento per la giustizia ambientale non solo rifiuta i principi maltusiani ed eugenetici; esso è una forza crescente multirazziale, antisessista e per i diritti degli immigrati. Questo movimento contesta le posizioni prese dagli ambientalisti del mainstream nei confronti di immigrati, gente di colore e comunità della working class; in quanto esso è stato portato avanti e influenzato proprio da queste forze.

Le elezioni al Sierra club hanno evidenziato alcune delle maggiori tensioni nel contesto ambientalista, cioè i contrasti tra i sostenitori del controllo demografico e dell’immigrazione, e coloro che ritengono ecologia e giustizia sociale due campi inscindibili. Le elezioni hanno anche messo in luce le alleanze tra ambientalisti, attivisti per i diritti degli immigrati, femministe e altri gruppi di giustizia sociale. Il Gruppo per l’ecologia politica organizza dal ‘95 la Campagna per l’immigrazione e l’ambiente, alcuni mesi prima che passasse in California l’emendamento 187 anti-immigrazione; e sia questo gruppo che la sua campagna ebbero un ruolo decisivo nelle elezioni del Sierra Club. Il Comitato per donne popolazione e ambiente è “un’alleanza di donne attiviste, coordinatori di comunità, operatori nell’ambiente sanitario e studenti di diverse razze, culture, e paesi d’origine, che lavorano per l’empowerment delle donne e per la libertà riproduttiva, contro la povertà, la disuguaglianza, il razzismo e il degrado ambientale”. Il Comitato ha saputo sfidare le ideologie di controllo demografico nelle politiche sia a livello nazionale che internazionale. Questo tipo di alleanze non solo ha avuto la vittoria nelle elezioni del Sierra club, ma hanno posto al centro dell’attenzione un programma per la giustizia ambientale, sociale ed economica. I punti della campagna per l’immigrazione e l’ambiente identificano sette strategie per il movimento:

1. Costruire alleanze tra i movimenti per i diritti degli immigrati e quelli ambientalisti, per un’economia sostenibile a livello ambientale, che soddisfi le esigenze di tutti.
2. Difendere i diritti umani e civili degli immigrati.
3. Contrastare la regressione delle leggi sull’ambiente.
4. Rifiutare le leggende che incolpano gli immigrati per i nostri problemi ambientali ed economici, ed evidenziare i contributi positivi che gli immigrati danno.
5. Sostenere le politiche per la riduzione drastica del consumo delle risorse mondiali, e promuovere lo sviluppo e l’uso di tecnologie e pratiche affini all’ambiente.
6. Insistere sulla responsabilità di governo, imprese e aziende per l’impatto ambientale, ed esigere che essi garantiscano protezione per l’ambiente e per la salute umana.
7. Sostenere l’accesso egualitario e universale all’educazione, alle cure sanitarie, a salari accettabili – obiettivi umanitari che sono trasversalmente i mezzi più efficaci per mantenere una popolazione sostenibile.

Gli insegnamenti tratti da queste elezioni sono fondamentali: occorre costruire alleanze e coalizioni basate su principi comuni; contrastare le ideologie che promuovono l’ineguaglianza razziale, di classe e di genere contrapponendo analisi che smontino queste ideologie; organizzare battaglie a lungo termine che includano campagne a breve termine; raccogliere le sfide che vengono dalla parte opposta e sfruttarle come opportunità per allargare il proprio supporto politico e aumentare l’ascesa del movimento. Le lezioni apprese dalla battaglia tra i sostenitori del controllo demografico e gli ambientalisti per la giustizia sociale sono importanti per tutti noi che lavoriamo per un cambio sociale positivo. Il controllo demografico e dell’immigrazione prende di mira anche questioni riguardanti l’educazione, la povertà, le cure sanitarie, la fame, la disoccupazione, la mancanza di alloggio. Educatori, attivisti di vario genere, operatori sanitari, progressisti, femministe devono affrontare le questioni sulla popolazione e l’immigrazione, e costruire alleanze per evitare che i nostri movimenti per un cambio sociale vengano divisi da politiche insidiose. Prima delle elezioni del Sierra club John Tanton, capo della federazione per la riforma americana sull’immigrazione disse “il Sierra club forse non vorrà affrontare la questione dell’immigrazione, ma la questione immigrazione affronterà il sierra club.” Le questioni su immigrazione e popolazione non dovrebbero essere evitate a causa della loro complessità; dovrebbero essere invece affrontate, perché possono alimentare un supporto su larga scala, al fine della creazione di un movimento sociale che sia multirazziale, con coscienza di classe, antisessista, ecologista, orizzontale e internazionalista nella sua lotta al capitalismo globale.

Se noi come attivisti ed organizzatori vogliamo ampliare le possibilità per un cambiamento sociale radicale allora dobbiamo non solo combattere le ingiustizie del capitalismo, della supremazia bianca, del patriarcato e dell’autorità in questa società, ma dobbiamo anche contrastare gli effetti sulle ideologie che questi poteri istituzionalizzati producono all’interno dei nostri movimenti. Per una giustizia ambientale, sociale ed economica, gli attivisti devono elaborare con coscienza analisi e strategie pratiche che comprendano e integrino questioni di razza, classe e genere in una sfida politica radicale che includa tutti quelli come noi che sentono su sé stessi l’oppressione di questo sistema.

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