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Le
frontiere impalpabili dell'esclusione
Dagli
Stati uniti all'Europa, dal Medio oriente
all'Australia, i governi stanno innalzando
una muraglia per regolare il movimento di
uomini e donne. Linee di confine virtuali
che si avvalgono di sofisticate tecnologie
digitali e dei satelliti
di
MIKE DAVIS
Quando
abbatté il muro di Berlino nel 1989,
la folla in delirio ebbe un'allucinazione:
un millennio di libertà senza confini
sarebbe stato a portata di mano e la globalizzazione
avrebbe inaugurato un'era di mobilità
fisica e virtual-elettronica senza precedenti.
Il capitalismo neoliberista ha invece puntualmente
costruito la più grande barriera
della storia per impedire la libera circolazione.
Questa «grande muraglia» del
capitale, che separa alcune dozzine di paesi
ricchi dalla maggioranza povera della terra,
eclissa completamente la vecchia cortina
di ferro. Essa cinge la metà del
pianeta creando un cordone di almeno 12.000
chilometri di confini terrestri, ed è
molto più micidiale per i disperati
che tentano di oltrepassarla.
A
differenza della grande muraglia cinese,
il nuovo muro è solo parzialmente
visibile dallo spazio. Anche se include
bastioni tradizionali (il confine messicano
degli Stati uniti) e terreni minati circondati
dal filo spinato (tra la Grecia e la Turchia),
oggi i controlli sulle frontiere avvengono
in gran parte dal mare e dal cielo. Inoltre
i confini sono ormai digitali oltre che
geografici.
Prendiamo,
ad esempio, la «fortezza Europa»,
dove un sistema integrato di dati con il
sinistro acronimo di Prosecur (che andrà
ad aggiungersi alla rete di Shengen già
esistente, con sede a Strasburgo) diventerà
la base per un sistema comune di polizia
di frontiera affidato al nuovo «Corpo
europeo di polizia di frontiera».
L'Unione
europea, inoltre, ha già speso centinaia
di milioni per rafforzare la cosiddetta
«cortina elettronica» sui suoi
estesi confini orientali e per perfezionare
il Sive (Sistema integrale di vigilanza
esterna) che dovrebbe tenere a freno l'Africa.
Il
premier inglese Tony Blair ha recentemente
chiesto ai suoi colleghi dell'Ue di estendere
le difese delle frontiere dell'Europa bianca
nel cuore del terzo mondo. Egli ha proposto
le cosiddette «zone di protezione»
in zone chiave del conflitto dell'Africa
e dell'Asia dove potenziali profughi potrebbero
essere messi in quarantena per anni in uno
squallore indicibile.
Il
suo modello ovviamente è l'Australia,
dove il primo ministro di destra John Howard
ha dichiarato guerra aperta ai disgraziati
profughi kurdi, afghani e timoresi.
Dopo
l'ondata di scontri tra forze dell'ordine
e attivsti antirazzisti dell'anno scorso
e gli scioperi della fame da parte di immigranti
detenuti a tempo indeterminato in luoghi
infernali nel deserto come Woomera nel sud
dell'Australia, Howard ha usato la marina
per intercettare le navi in acque internazionali
e i profughi interni in campi ancor più
da incubo a Nauru o sulla malarica Manus
Island al largo di Papua Nuova Guinea.
Allo
stesso modo Blair, secondo The Guardian,
ha scoperto il ricorso alla Royal Navy per
intercettare i trafficanti di profughi nel
Mediterraneo e quello alla Raf per rimpatriare
i migranti.
Se
la difesa delle frontiere oggi si è
spostata a largo delle coste, essa è
approdata anche nel cortile delle case di
tutti. Chi abita nel Southwest degli Usa
ha sopportato a lungo gli ingorghi di traffico
ai checkpoint di «seconda frontiera»
lontanissimi dal vero confine. Ora fermare
e controllare le persone, come si è
sperimentato in Germania, sta diventando
una operazione comune all'interno dell'Ue.
Il
risultato è che stanno rapidamente
scomparendo anche i confini teorici tra
controllo delle frontiere e politiche interne,
o tra politiche di immigrazione e «guerra
al terrorismo». In Europa, attivisti
«no border» hanno da tempo lanciato
l'allarme sul fatto che gli orwelliani sistemi
di dati usati per rintracciare e rimpatriare
gli stranieri non appartenenti all'Ue saranno
inevitabilmente sfruttati anche contro i
movimenti anti-globalizzazione locali.
Negli
Stati uniti, allo stesso modo, i sindacati
e i gruppi di base latinos guardano spaventati
e disgustati le proposte repubblicane di
addestrare fino a un milione di sceriffi
e poliziotti locali per operare il controllo
sull'immigrazione. (Programmi pilota sono
stati già autorizzati dal Congresso
in Alabama e Florida.)
Nel
frattempo il tributo umano del nuovo ordine
mondiale cresce inesorabilmente. Secondo
i gruppi per i diritti umani, dal 1993 sono
morti ai cancelli d'Europa quasi 4000 migranti
e profughi: affogati, saltati sui campi
minati o soffocati nei container. Altre
centinaia, forse migliaia, sono morti attraversando
il Sahara.
L'American
Friends Service Committee, che monitora
la carneficina lungo il confine Usa-Messico,
stima che negli ultimi dieci anni un numero
analogo di migranti (3000-5000) siano morti
nei deserti infuocati del Southwest.
In
un contesto così disumano, la proposta
della Casa Bianca - teatralmente annunciata
alla vigilia delll'ultimo Summit delle Americhe
- di offrire uno status temporaneo di ospite-lavoratore
agli immigrati privi di documenti e ad altri,
potrebbe sembrare un gesto di compassione
in contrasto con la spietatezza dell'Europa
o con il quasi fascismo dell'Australia.
Di
fatto, come hanno prontamente fatto osservare
i gruppi che difendono i diritti degli immigrati
e il lavoro, si tratta di un'iniziativa
che combina un sublime cinismo con un crudele
calcolo politico. La proposta Bush, che
ricorda l'infame programma Bracero dell'inizio
degli anni `50, legalizzerebbe una sottocasta
di lavoratori sottopagati senza fornire
ai lavoratori privi di documenti attualmente
presenti negli Stati uniti - che si stima
siano dai 5 ai 7 milioni - un meccanismo
per ottenere la residenza permanente o la
cittadinanza.
Naturalmente,
avere dei lavoratori senza diritto di voto
né domicilio permanente è
l'utopia dei Repubblicani. Il piano Bush
fornirebbe a WalMart e a MacDonalds' un'offerta
stabile e pressoché infinita di manodopera
in condizioni di asservimento.
Il
piano getterebbe anche una ciambella di
salvataggio al neoliberismo a sud del confine.
Come ormai ammettono anche alcuni dei suoi
ex sostenitori, il North American Free Trade
Agreement (Nafta, il patto nord-americano
per il libero commercio), vecchio di dieci
anni, si è rivelato una beffa crudele,
distruggendo tanti posti di lavoro quanti
ne ha creati.
L'economia
messicana ha bruciato posti di lavoro per
quattro anni consecutivi, e le prospettive
di impiego per il futuro sono state definite
dalla stampa economica «pessime».
La proposta della Casa Bianca «neo-Brecero»
offre al presidente Vincente Fox e ai suoi
successori una cruciale valvola di sicurezza
economica.
Essa
tra l'altro darebbe modo a Bush, il prossimo
novembre, di corteggiare i voti oscillanti
dei latinos del Southwest. Senza dubbio
Karl Rove (l'eminenza grigia del presidente)
calcola che la proposta scatenerà
un meraviglioso conflitto nel sindacato
e tra i latinos liberal gettandoli nella
confusione.
Infine
- e questa è la trovata veramente
sinistra - l'offerta di una legalità
temporanea sarebbe un'esca irresistibile
per far venire allo scoperto i lavoratori
privi di documenti. In questo modo il Dipartimento
della sicurezza interna potrebbe identificarli,
etichettarli e tenerli sotto controllo.
Lungi dall'aprire una crepa nella «grande
muraglia», essa sanerebbe una falla
assicurando un controllo poliziesco ancora
più sistematico e intrusivo sulla
diseguaglianza umana.
Traduzione
di Marina Impallomeni |