i
lividi sulla mia coscia hanno la forma di una mappa dell'italia
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proprio quando i
fantasmi cominciano a non perseguitarmi più, il cuore, le bombe
cominciano a ticchettare... cominciando dalla notte del 21 luglio 2001 io e approssimativamente 93 altri siamo stati picchiati, mandati all'ospedale, arrestati illegalmente, detenuti e carcerati dalla polizia italiana, alla scuola diaz a genova, italia. ci hanno pestato e ci hanno pestato per bene. durante la notte anche adesso chiudo gli occhi e vedo il sangue all'interno delle mie palpebre, vedo ancora il sangue e sento l'odore delle radici dei denti rotti che marciscono nella ragazza che siede al mio fianco sul pavimento di cemento della cella. e penso a tutti gli scomparsi, a tutti i prigionieri politici che marciscono, ai torturati, ai condannati, a chiunque sia in intimità con l'interno di una prigione, a tutti quelli che sono stati iniziati ai manganelli e ai proiettili della polizia. e sono fortunata, davvero... attraverso
i balcani ed il mediterraneo il movimento
della "globalizzazione" l'inizio e
il pestaggio sfasate figure nere, come un incubo che ho avuto una volta quando tagliavo da parte a parte il corpo del poliziotto e dentro non c'era sangue o la materia degli organi ma un calamaro nero: d'inchiostro e terribile. il male non è contenuto solo tra contorni tenebrosi. i calamari neri si muovono verso di noi gridando, noi alziamo le mani, uno alza il manganello e lo da' sul tavolo. noi sappiamo di dover temere... ci accasciamo e allora loro ci pestano e ci pestano per bene. non sono mai stata pestata prima e quindi io ero in stato di shock, ero incapace di sentire il dolore in quel momento, ciò mi permise di fissare delle note: sul suono, sulla sensazione, le reazioni degli altri. - così questo è come ci si sente ad essere pestati, pensai. udii urlare, udii piangere; forse ero proprio io. come una tartaruga ero ritirata nel mio zaino/guscio, con i miei due giacchetti a ripararmi la testa e d. al mio fianco che mi proteggeva, che resisteva nella rientranza del corridoio. usando gli inumani poteri tratti da tutte le scure creature nel suo regno di influenza (certi insetti, calamari neri, ma di certo dei maiali), la polizia ha rotto braccia, ossa del collo, dita, piccole ossa e grandi ossa, hanno tracciato mappe di lividi sulle schiene e sulle cosce, hanno sfasciato crani... teste sanguinarono... correvano su e giù per il corridoio distruggendo tutto, spegnendo le luci, intralciandosi l'un l'altro per picchiarci. e hanno colpito d. più e più volte, mirando alla sua testa, le parti che erano già doloranti... lo hanno colpito e io non mi ricordo come il fianco sinistro del mio corpo è stato ferito, ho visto nero, minuti o ore di oscurità che si muoveva addosso fino a che il dolore mi ha trafitto quando lui ha gridato, suonando per lo più come un bambino - please stop, please stop... ho sentito dire che è importante urlare mentre la polizia ti sta pestando... è possibile che possano ricordare che tu sei un umano. loro non sono umani ma scuri organismi del terrore e l'essere un umano è solo una ragione in più per massacrarti. io ho strillato - basta, basta enough, enough e gli sbirri hanno grugnito - bastardi, bastardi... mi fa piangere pensare che lui abbia cercato di proteggermi... il suo sangue è colato sulla mia faccia. le mie mani erano umide e appiccicose. il sangue di d. stava colando sulla mia faccia e non potevo vedere altro che il sangue che scorreva. per qualche ragione decisero di smettere i pestaggi e in inglese una guardia ci dice di alzarci. notai il mio spazzolino che giaceva sul pavimento dopo che eravamo stati pestati e ci avevano ordinato di alzarci. deve essere caduto dalla mia borsa - pensai, ancora prendendo nota di dettagli insignificanti. mi ricordo di un agente in pallidi blue jeans, la sua giovane faccia coperta con una bandana blu e borgogna dei carabinieri. non c'era faccia dietro la maschera, come una storia d'orrore per bambini... ... e lo sputo partito dalla bocca di un poliziotto, sembra muoversi alla moviola sullo sfondo blu scuro polizia. dimentico dove arriva sul mio corpo. lo dimentico. e di certo più tardi ascolto più storie che si mischiano col mio personale orrore: un agente ha usato un coltello per tagliare un boccolo dalla testa di una ragazza e l'ha attaccato alla sua cinta come trofeo, dopo l'ha picchiata, le ha rotto un braccio e poi l'ha accarezzata sulla testa: oh povera bambina. la paura e
la confusione vicino alla
morte provai ad alzare la faccia, a parlare a d., a dirgli cosa stava succedendo. continuavo a toccarlo, a toccare le parti dolenti, mettendolo in un dolore ulteriore. cerco di mettergli qualcosa sulla testa me c'e' troppo sangue. il sangue si secca in delicate striature sulla pelle. piccoli baci, piccoli baci. mi aggrappo a d. e alla persona accanto a me, per fargli sapere che sono lì. per alleggerire la situazione cerco di continuare a parlare - non ti preoccupare, mi sento bene, è solo il tuo sangue che sta scorrendo sulla mia faccia e sta offuscando la mia visione. e non c'è problema, perché presto saremo sulle spiagge della spagna del nord... e dico al ragazzo al mio fianco - e allora da dove vieni, oh sì polonia, yeah noi siamo del canada. nel frattempo i medici in arancione stanno correndo su e giù tamponando senza speranza la testa delle persone con garze e disinfettante. i medici volontari un panico io sto disperatamente cercando di attrarre l'attenzione dei medici per far sì che si occupino di d. mentre una donna italiana sta strillando istericamente, pestando i piedi per terra, ci sono così tanti corpi sul pavimento che urlano in cerca di aiuto con le braccia che si tendono in aria, altri semplicemente tremanti per la paura. finalmente arriva un dottore che parla inglese e ci dice che presto saremo in un ospedale e cominciano a separare i feriti. sistemano il braccio di d., tagliano i suoi pantaloni con delle forbici fino al ginocchio, la sua gamba non e' rotta e in fretta lo sistemano su una barella coperta con il mio sacco a pelo. ancora bacio il sangue seccato sulla sua faccia. quando siamo condotti via, entrambe le nostre mani sono incrociate e intrecciate davanti a noi. più tardi vedo una piccola immagine di un ragazzo su una barella, sul quotidiano italiano "il manifesto", capii che era lui perché le sue mani erano intrecciate e incrociate... come una specie di conforto, una difesa, un parziale abbraccio senza che le mani insanguinate toccassero il corpo e anche una testimonianza - il sangue sulle mani messo in evidenza. abbiamo tutti del sangue sulle nostre mani. torno indietro e mi sdraio sul pavimento, un ragazzo americano si muove verso di me e dice - bene, sto pensando che la maniera migliore di uscire di qui e' pregare i paramedici di portarci in un hotel, tu che ne pensi, io ho proprio voglia di uscire di qui, ho proprio bisogno di essere portata in ospedale... e comincia a parlare, parlare quando il dottore mi fa segno di salire sulla barella. il ragazzo coi dread al mio fianco sta piagnucolando, io parlo con lui e lui si aggrappa a me, entrambi stiamo tremando. - i paramedici vengono a prendermi... e lui si aggrappa più forte - noi non possiamo essere separati, noi non possiamo essere separati... poi viene l'orrore di essere improvvisamente trasformata nel personaggio di un film - un tale orrore venne dentro di me mentre venivo condotta via tra le luci lampeggianti, tra le centinaia di voci e la parziale oscurità, tra le facce parzialmente oscure e parzialmente luminose nell'oscurità, dentro le file della polizia. sentivo che tutti erano all'interno di una pellicola monocromatica di un film in bianco e nero, solo il personaggio principale era artificialmente colorato - con un colorito davvero pallido di pelle e il rosso del sangue. mi ricordo che cercavo di svenire mentre mi portavano verso la porta. caddi in avanti - coscientemente lasciai che le mie ginocchia si piegassero. era la rappresentazione dello shock che poteva anche essere la definizione stessa dello shock. dopo l'orrore, credi di essere a posto, tu davvero ti senti bene ma questa è la menzogna della sopravvivenza. i flash delle macchine fotografiche sul mio volto ed io venivo caricata sull'ambulanza. il ragazzo che non aveva voluto staccarsi da me era già seduto nell'ambulanza, io ero sistemata su una barella e lui mi prese la mano e la strinse con forza. un uomo del genova social forum riuscì a salire con noi. parlava inglese e ci chiese che cosa era accaduto. io glielo dissi e spero che lui se ne ricordi. l'ospedale;
il regno l'infermiera mi toglie gli occhiali e tutto ciò che riesco a vedere e' un'offuscata oscurità che riempie la corsia di emergenza: chiudo gli occhi per nascondermi dai calamari neri. quando chiedo indietro i miei occhiali la polizia discute, ma infine mi vengono restituiti e posso vedere che la corsia di emergenza e' delimitata con le barelle. provo ad allungarmi verso un altro corpo ma siamo separati come delle piccole isole. il personale dell'ospedale mi trova addosso un passaporto ma c'e' un errore ed e' quello di d. . mi guardano come se volessi ingannarli e l'uomo del gsf chiama un altro ospedale per cercare d. ma lui non si trova. gli domando cosa sta facendo qui la polizia, se siamo stati arrestati e lui dice - non ti preoccupare, sarai LIBERA domani nella mattinata. la parola LIBERA risuonò nella mia testa. sarò LIBERA in mattinata e io ci credevo. sono spinta sopra una barella e attraverso i corridoi oscuri e vuoti dell'ospedale come nell'infestato ospedale de "il regno" di von treier. tutto ciò che riesco a vedere sono le ombre che giocano negli angoli del soffitto. forse lui mi butterà fuori dalla porta di sicurezza in mezzo al parcheggio dove rimarrò sdraiata sulla barella con il lenzuolo bianco e tremolante. tutt'intorno al perimetro, avanzando in cerchi verrà la polizia battendo i manganelli all'unisono, indossando il completo equipaggiamento rituale - le maschere fatte di vera pelle, i simboli sui loro petti e sulle loro maniche... loro vanno in circolo, battendo; sdraiata sulle lenzuola bianche: io sono il sacrificio rituale per l'eccesso di violenza della primitiva tribù della polizia... sono condotta al reparto traumatologia in una stanza con circa altre sei donne che dormono. viene un'infermiera e un attimo più tardi un dottore che parla inglese e che mi visita. sorride e mi dice che sono tutta a posto. un'anziana donna nel letto dall'altra parte rispetto al mio si sveglia e domanda cosa stia succedendo. stai calma e torna a dormire - l'infermiera le dice. loro sono gentili ed io cerco di credere che tutto sarà a posto. a posto. è notte; io sono un cavaliere. mi rotolo sul mio lato contuso e ricordo. non dormo ma ripeto la storia a me stessa più e più volte così che la riesco a credere. organizzo i miei piani di fuga per la mattina... trovare d. ... non dormo e di mattina presto arriva un'infermiera sorridente e m'infila il termometro sotto l'ascella e mi sposta in un'altra stanza sotto la custodia della polizia. nel letto vicino a me c'e' una schiena visibilmente livida tra il bianco delle lenzuola e il bianco del camice. la proprietaria e' addormentata e io ne sono invidiosa. fisso i muri bianco sporco, le mie cose in una busta di plastica ai piedi del mio letto, le lenzuola bianche tirate sulle mie gambe - che mostrano la forma dei miei piedi e delle mie gambe. per rompere la monotonia in alto su un muro c'è stranamente un ossuto gesù, su una croce di metallo. fisso l'ossuto gesù dentro, con l'occhio al di là, per evitare gli occhi dei carabinieri, dei paramilitari: gli occhi abbassati. intorno a me ci sono meccanismi organici di sorveglianza di stato; gli occhi alla fine della persecuzione. quando zoppico fuori dal letto per fare una doccia l'infermiera riceve l'ordine di sorvegliarmi. mi da' un grosso paio di mutande bianche e un camice e mi guarda mentre piscio in una provetta. un test delle urine, un test del sangue e lo stato vede attraverso la mia pelle. quando la proprietaria della schiena livida m. , una ragazza americana da eugene, si sveglia scherziamo su come sembriamo abbronzate (dal colore dei lividi) e muscolose (dal gonfiore). la sua mano destra e' rotta e ingessata. a mezzogiorno ci danno un pasto, abbiamo la sensazione come fosse l'ultima cena e decidiamo di ingoiare il pollo che era incartato con la stagnola. finiamo di mangiare e ci puliamo l'unto dalle facce - è ora di andare, ci annuncia un carabiniere - dove stiamo andando? loro non rispondono. kafka
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