i lividi sulla mia coscia hanno la forma di una mappa dell'italia

kafka
qualcuno deve aver mosso un'accusa falsa nei confronti di k., in quanto e' stata arrestata una mattina senza aver fatto niente di male - mi state arrestando? chiede k. . l'ufficiale, alto, in uniforme grigia non rispose ma prese le manette dal loro posto sulla cinta e assicurò una manetta al polso di k. e l'altra al braccio sano di m. - per quale motivo sono stata arrestata? prova a richiedere k. anche se sa che la risposta di nuovo sarà un silenzio. i cinque ufficiali la fanno marciare fino in fondo al corridoio, si fermano e lei esamina la grigia uniforme militare degli agenti. in mostra, su una manica: una toppa che legge in italiano: polizia penitenziaria. intorno alle loro vite essi indossano cinture nere pesanti alle quali sono attaccati vari strumenti: un manganello, manette e pistola, e i loro pantaloni erano infilati dentro grossi stivali neri. un'uniforme grigia femminile perquisisce k. e trova nella sua tasca un coltellino svizzero. essa si eccita molto perché ha trovato una prova di colpevolezza. k. e m. vengono fatte marciare per i corridoi dell'ospedale mentre sei uomini dalla scuola marciano di dietro. k. viene condotta rapidamente per i corridoi dell'ospedale, cerca di stabilire un contatto visivo con gli altri pazienti, i lavoratori, le infermiere... guardateci, non siamo criminali ma loro non vedono, loro ci fissano e noi siamo scortati dalla polizia e dall'esercito ma loro non vedono. m. e io ci teniamo l'un l'altra le mani sudate oltre le manette. siamo condotte per una porta secondaria in un vicolo dov'è parcheggiato un furgone militare. i media, piazzati lontano da dove sbuchiamo, ci fotografano mentre veniamo caricati sul furgone e rinchiusi nelle celle. i portelloni vengono chiusi e siamo trasportati fuori dalla città.

bolzaneto: il centro di detenzione/il centro di tortura
attraversiamo alcuni cancelli, ci fermiamo poi fuori ad un edificio, attraverso la grata della cella posso vedere diversi tipi di polizia che fumano: carabinieri, giovani donne, ragazzi in borghese vestiti da manifestanti, grandi uomini vestiti con la divisa militare. ma quello che mi sorprende e' come tutti sembrino giovani. qualche volta mi sento come se fossimo in una guerra di bambini ingaggiata contro l'impossibilita' dei cresciuti. noi usiamo armi giocattolo: vernice, bastoni e pietre che lanciamo ai loro piedi e per loro e' come calpestare dei sassolini. noi li tormentiamo con un leggero ronzio che li irrita così che una gran ventata si abbatte dall'alto e noi siamo spazzati via e finalmente silenziosi... ci vengono tolte le manette, siamo condotti fuori dal furgone e quindi nel centro di detenzione. sulla destra, oltre la porta c'e' il bagno, sulla sinistra c'e' la stanza burocratica e infine le celle - le sbarre di alcune celle sono coperte con lenzuola. potei intravedere alcuni corpi che sedevano sul pavimento, noi fummo condotte ad occupare la penultima cella sul lato destro. la luce del sole che passava attraverso le sbarre della finestra senza vetro rese bianco il pavimento freddo. ci raggruppiamo sotto la finestra. m. incontra il suo ragazzo; lui e' stato preso a calci nelle palle. il naso di un ragazzo e' rotto e sta sanguinando ovunque - non lasciate che io dorma, dice, guardatemi e non lasciate che io dorma - e mette la testa giù fra le ginocchia. i secondini ci ordinano di toglierci le cinte ed i lacci delle scarpe. quando veniamo presi per essere schedati vedo che i nostri lacci vengono buttati nella polvere; le nostre possibilità di suicidio nell'immondizia. mi afferrano per il mio braccio livido... grasse dita che premono una pelle che e' troppo leggera, loro premono così forte che le dita della polizia penetrano nella pelle e nel sangue per lasciare una perenne identificazione. se il mio sangue potesse lasciare macchie d'inchiostro, se potessi conservare le impronte digitali di ogni poliziotto che mi ha toccata e usarle come prova del contatto per distruggerli... mentre i diversi agenti fissano e ridono, vengo presa per passare le procedure - scansione della retina, foto segnaletiche, impronte digitali. quando mi fanno la foto mi tolgono gli occhiali perché non facciano riflesso. e per segnalare che io porto gli occhiali mi piazzano una montatura da uomo, grandi e ridicoli, senza lenti sulla faccia. la poliziotta ride di me e io sono costretta a sorridere. le mie dita vengono premute su dell'inchiostro blu - destra, sinistra, e ancora destra. ogni cosa e' conservata e stampata e io sono sul protocollo.
quando tutti sono stati schedati, gli uomini e le donne vengono separati. 31 donne si trovano ora nella mia cella; lo so perché loro vengono dentro e ci contano più e più volte, nel caso che riusciamo a scivolare tra le crepe o ci trasformarci in una pozzanghera sul pavimento. siamo messe a sedere contro il muro, troppo spaventati per parlare o muoverci per una mezz'ora. ma poi cominciamo a parlarci l'un l'altra e io ascolto le altre storie. alla gente che era stata nella cella tutta la notte non era permesso di sedere ma dovevano stare in piedi contro il muro, a questi non erano dati ne' cibo ne' acqua, un ragazzo era stato spruzzato con il pepper spray e denudato. una ragazza mi raccontò di come lei era stata portata da un altro centro di detenzione dove il pavimento era coperto di capelli strappati, denti rotti e occhiali calpestati. un poliziotto disegnava svastiche sul muro. due ragazzi dovettero stare in piedi contro il muro mentre il poliziotto fascista girava intorno sbattendo un bastone di metallo sul pavimento dietro di loro. non li colpì, non ne aveva bisogno. su 31 donne, 10 hanno ingessature sulle braccia. la lista delle ferite: occhi neri, lividi, dita, mani, denti e nasi rotte. così tuttavia trascorriamo il pomeriggio, talvolta possiamo vedere gli uomini spinti nelle loro celle, tremanti, con i pantaloni intorno alle anche.

il codice canadese del prigioniero
e sì, i secondini fischiano. d. una volta mi parlò del codice dei prigionieri, le "regole" del carcere. in carcere non fischi mai perché a fischiare sono gli uccelli e gli uccelli sono liberi, se un altro prigioniero ti sente fischiare vieni pestato. per beffarsi della reclusione e del codice, i secondini fischiano. mi e' stato detto che in canada la rcmp mette una rubrica telefonica sulla vittima. i colpi vengono incassati, non vengono lasciati segni. e che fa la polizia? loro MENTONO! loro ci dicono: abbiamo trovato pistole, verrete rilasciati in 20 minuti dopo essere stati interrogati, avete distrutto la città, sappiamo che fate parte del black bloc... italiani, tedeschi, inglesi e svedesi: c'e' panico in tutte le lingue appena le parole vengono tradotte. sentiamo che i ragazzi stanno passando l'esame medico e stanno per essere messi in libertà. ma poi sentiamo urlare e sbattere in fondo al corridoi. c'è tortura nel non sapere ma io volevo pregare ognuno di smettere di domandare alla polizia cosa stava per accadere. che cosa fa la polizia? loro MENTONO. e noi eravamo ingannati, derisi, messi in ridicolo. avremmo dovuto domandare di andare al bagno e aspettare una secondina che ci scortasse. mai sapevi come avevano intenzione di trattarti. spingerti con la testa in basso. qual'e' la cosa migliore da fare in carcere? DORMIRE. una ragazza si era semplicemente avvolta nella sua lunga gonna e dormiva e dormiva.

ci sono cose che possono fatte di notte che non possono essere fatte di giorno...
arriva la notte e con essa la paura. escogitiamo modi per tenerci caldi con gli indumenti che avevamo. più tardi ci diedero delle coperte e noi cominciamo e accoccolarci, ricoperti lungo due muri, cercando posizioni comode per gessi e lividi. io non riesco a dormire. il turno di notte arriva e sembrano diversi, più severo e le voci cominciano a girare su come ci sono cose che ci possono fare di notte che non possono essere fatte di giorno... ci sono sempre due o tre persone che piangono, che crollano. certe volte vedere gli altri crollare mi disgustava e mi faceva smettere di piagnucolare. certe volte lacrime scendevano e anch'io cedevo. sono accanto la porta per ore, le mie dita avvolte attorno alle sbarre, guardando per trovare d. quando andavo al bagno cercavo di vedere nelle celle coperte. una volta durante il centesimo appello, io vedo il suo nome sulla lista. entra una poliziotta e sembra quasi preoccupata e sorpresa per le nostre condizioni. adesso sto piangendo senza controllo, urlando gli racconto cosa e' successo. gli faccio vedere il passaporto di d. e lei lo va a cercare ma ritorna dicendomi che non sta qui. io so che io sto bene ma mi fa sentire male non sapere dove sta. il poco sonno mi fa avere le allucinazioni: le macchie di ruggine diventano sangue, comprendo il tedesco e l'italiano e mi domando perché le altre stanno facendo conversazioni strane. sento urlare di fuori, giuro che riuscivo a sentire persone gridare: liberateli, liberateli. per tutta la notte sento urla e la polizia che picchia, dopo ci danno delle coperte, qualcuna dice , adesso ci stupreranno. le guardie entrano e chiamano dei nomi e fanno scoccare i loro guanti di lattice. alcune ragazze sono state portate vie e non sono più tornate. la mattina quando ci svegliammo eravamo dieci dimeno.

il controllo medico
la mattinata sono chiamata per fare il controllo medico. altre donne portate prima di me ritornano in lacrime. mi viene richiesto di firmare dei fogli ma io mi rifiuto, uno sbirro indica una toppa sul mio cappuccio e grugnisce: black bloc, un'altra guardia che pensa di sapere l'inglese cerca di fare una piccola chiacchierata con me. mi rifiuto di rispondere a qualsiasi domanda ma gli chiedo per quale motivo ci stanno tenendo li, con quale accusa? lui mi risponde - una città è stata distrutta e per questo qualcuno deve pagare. tu stavi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, ma qualcuno deve pagare... se io pensassi che tu stessi per uccidermi, io ti sparerei per primo. tu non mi uccideresti prima? - io non rispondo. sono condotta nella stanza successiva e mi ordinano di togliermi i vestiti. la spazzatura straborda con strappati biglietti per casa, altri fogli e contraccettivi: preservativi e pillole anticoncezionali. ci sono tre poliziotte che si assomigliano tra loro: troppo truccate, sopracciglia troppo affinate, capelli biondi e castani strettamente tirati su con ghigni di disgusto. io ho le mestruazioni e il sangue gocciola giù per le mie gambe. io lascio che sgoccioli provocatoriamente, che siano disgustati alla vista del mio corpo nudo sanguinante - la mia forza e' qui - in questa abiezione completa, in questo sangue si congiunge con tutto il sangue di tutti i brutalizzati. e nel sangue c'e' una forza impossibile perché di forza non ce ne più... sogghignando mi lanciano un assorbente. sono portata in un'altra cella dove ci sono le altre donne che hanno già fatto il controllo. hanno portato via gli occhiali di una ragazza, tagliato capelli e cappucci dei giacchetti, strappato di dosso gioielli. fuori uno sbirro comincia a cantare per sbeffeggiare: assassini, assassini.

gita in campagna
gli sbirri si eccitano: vanno a fare una gita in campagna. io sono ammanettata ad una ragazza svedese carina, vicina all'essere bellissima, con ciuffetti corti e dread lunghi. scrive con la suola della scarpa sulla cella: acab* (kill) all cops all bosses. in un pulmino della prigione siamo condotte nella campagna, la radio è accesa al di là delle nostre gabbie, gli sbirri ridono e scherzano. quando arriviamo al carcere, cominciano a sbottonare i loro malefici giocattoli, le loro pistole e manette dalle cinture. per un momento mi spavento ma poi realizzo, sollevata dal fatto che loro non hanno giurisdizione in questa prigione. siamo fuori dal controllo dei mostri grigi.

carcere di voghera, cella d'attesa
veniamo lasciate in una cella d'attesa e c'è già il gruppo di teatro, catturato fuori dalla città. gli sbirri li hanno fermati e hanno trovato dei vestiti neri, li hanno arrestati, dopo avergli puntato contro le pistole. finirono in carcere per più di tre settimane. ma ci hanno detto che ci sono persone che stanno lavorando per noi, che sanno che siamo qui e che non ci lasceranno a marcire. abbiamo scritto tutti i nostri nomi su numerosi pezzetti di carta in modo da non perderci nel caso in cui le liste venissero fatte sparire in quelle stesse ingessature di braccia rotte. siamo portate una ad una in una cella. io devo andare a pisciare e aspetto due ore, finché non vengo condotta di nuovo e intimata a spogliarmi di fronte alle poliziotte. mi tolgo i vestiti per la seconda volta e le donne fanno versi e apprezzamenti. sono scioccate dai lividi che ricoprono il mio corpo e io sono scioccata che loro lo siano. si mettono a ridere quando notano che sto sanguinando, e mi passano un paio di assorbenti e dicono che tutti stanno sanguinando. è strano, non riesco a credere alla loro gentilezza. eppure più tardi quando ci stanno dando da mangiare si assicurano che ci venga tradotto che loro sanno che non siamo criminali o terroristi, sanno che non abbiamo fatto niente di sbagliato. mi viene fornito un equipaggiamento da prigione: tazza, piatto, scodella e posate di plastica, lenzuola, federa e asciugamano fatti di cotone ruvido e sapone. sono fortunata nell'essere messa nella stanza con la mia amica americana m. e con altre due ragazze toste. m. n. è spagnola ma parla ogni lingua possibile incluso l'arabo. le chiedo in quale lingua pensa e mi risponde che non lo fa.

finestre
la cella era decente, con un grande bagno con addirittura il bidet - solo in italia ti danno una fontanella da culo nella tua cella del carcere. c'era una televisione, un tavolo, quattro letti e due grosse finestre. fissavo fuori dalle finestre le guardie che camminavano in cima alle mura di cinta, avanti e indietro, e poi lì, oltre le mura tracce di vita normale. alle finestre, alla fine del corridoio potevamo vedere gli uomini, i prigionieri veri nell'altra ala, fuori a giocare a pallone o nelle loro celle. ci urlano desiderosi, giocosamente, in italiano - allora, come vi va? fuori dalla finestra della nostra cella vi è un nido d'api così non possiamo tenerla aperta la notte, al tramonto le zanzare oltrepassano le sbarre dell'altra finestra aperta e infestano l'aria. più tardi, nella stazione di polizia di pavia l'aria era altrettanto infestata dal lamentoso ronzio delle zanzare. mordono la pelle e le grasse facce e i colli che uscivano dalle uniformi.

istituzionalizzazione
e penso che questo carcere non sia tanto estraneo ma fin troppo familiare. gli appelli, gli orari fissi, la burocrazia... c'è un tale orrore nella somiglianza dei luoghi delle istituzioni pubbliche ché la scuola non è poi tanto differente dall'ospedale. l'ospedale non è poi tanto differente dal carcere.

telegramma
nel centro di detenzione ci avevano detto che avremmo potuto fare una telefonata una volta giunte in carcere. quando chiedemmo ai secondini di poter usare il telefono ci hanno risposto che dovevamo chiamare quando eravamo nel centro di detenzione. ma ci hanno dato dei fogli per spedire un telegramma. io non ho mai spedito un telegramma prima d'ora, cosa gli dico ai miei genitori?... pestata arrestata stop manifestazione genova italia stop sto bene stop... la mia compagna di cella scrive come scherzo al suo ragazzo:... sono una prigioniera politica in italia.... non arrivò mai. nessuno dei telegrammi arrivò. io sono contenta, non riuscirei ad immaginare il bussare alla porta - telegramma, signore...

 

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