LA
COCA-COLA CHIUDE LA PORTA IN FACCIA A 5000 FIRME DI PROTESTA.
PARTE
LA SECONDA FASE DEL BOICOTTAGGIO.
COMUNICATO
STAMPA DELLA REBOC – RETE BOICOTTAGGIO COCA-COLA
Roma,
12 febbraio 2004
La campagna
di boicottaggio della Coca-Cola raggiunge in Italia le 5000 adesioni
proprio in occasione dell’arrivo in Italia di Alvaro Uribe Velez,
presidente della Colombia, teatro della repressione della multinazionale
di Atlanta nei confronti dei sindacalisti del SINALTRAINAL. Nella
mattinata di oggi un rappresentante della REBOC si è recato
presso gli Uffici della Coca-Cola Italia a Sesto S. Giovanni e ha
consegnato le prime 5000 firme [lettera
della REBOC di presentazione delle firme] raccolte nelle mani del Responsabile
Relazioni Esterne Nicola Raffa.
La risposta della Coca-Cola alle 5000
firme è contenuta in un comunicato stampa datato 12 Febbraio
2004 che Nicola Raffa ha consegnato al rappresentante della REBOC
ed in cui non si dice sostanzialmente nulla di nuovo rispetto alle
pesanti accuse di coinvolgimento con i gruppi paramilitari che imperversano
negli impianti di imbottigliamento colombiani e che stanno massacrando
il sindacato SINALTRAINAL, con una repressione che ha portato all’assassinio
di otto sindacalisti e ad innumerevoli sequestri, sfollamenti, torture
ed intimidazioni nei confronti dei lavoratori, dei sindacalisti e
dei loro familiari.
Otto mesi di boicottaggio internazionale non hanno
spostato di un millimetro la posizione della multinazionale di Atlanta
che continua a sostenere la falsità delle accuse. "Ce
l’aspettavamo – dichiara il rappresentante della REBOC – La Coca-Cola
ha una lunga tradizione di scarsissima considerazione per le giuste
rivendicazioni di lavoratori e consumatori, oltre che di violazione
dei diritti umani, sociali e ambientali. A questo punto prendiamo
atto del fatto che la Coca-Cola, al di là degli attestati di
solidarietà formali offerti al SINALTRAINAL durante l’incontro
pubblico di Dicembre a Roma e ribaditi in questo comunicato, continua
a non assumersi le proprie responsabilità e protesta la propria
innocenza con argomentazioni dirette e indirette che non reggono."
Per quanto riguarda le prime, Coca-Cola afferma che né la company
né i suoi imbottigliatori colombiani intrattengono rapporti
con i gruppi paramilitari e sostiene che questo è stato riconosciuto
dal giudice di Miami.
Non è così. Il giudice di Miami
ha sostenuto l’esatto contrario, affermando che esistono prove sufficienti
del coinvolgimento tra paramilitari e aziende di imbottigliamento,
a partire dai rapporti comprovati tra dirigenti aziendali e capi paramilitari
fino alla presenza dei paramilitari stessi negli impianti e addirittura
sul libro paga dell’azienda, per finire con la "strana"
coincidenza temporale tra le violenze dei paramilitari e le vertenze
contrattuali tra Coca-Cola e il sindacato. Proprio per questi motivi
nei confronti delle società di imbottigliamento il procedimento
prosegue, mentre il giudice statunitense ha stralciato la posizione
della Coca-Cola di Atlanta in quanto, secondo le sue valutazioni,
il contratto di franchising (cosiddetto "accordo dell’imbottigliatore")
non dà sufficienti poteri alla Coca-Cola per intervenire negli
impianti colombiani e modificare questa situazione. A prescindere
dal fatto che l’accusa ha presentato ricorso contro questa parte della
decisione, è la stessa Coca-Cola che rigetta l’argomentazione
del giudice di Miami.
Primo: la stessa Coca-Cola, anche in questo
comunicato, non declina le proprie responsabilità rispetto
ai comportamenti degli imbottigliatori colombiani ma associa pienamente
la sua posizione alla loro, protestando infatti la loro innocenza,
anche perché si è impegnata con un Codice di condotta
firmato a Ginevra nel 1977 ad assicurare il rispetto dei diritti umani,
sociali, sindacali ed ambientali per tutta la sua filiera produttiva,
quindi anche presso fornitori, subfornitori e licenziatari.
Secondo:
la Coca-Cola possiede direttamente il 40% del capitale della Coca-Cola
FEMSA, proprietaria a sua volta delle società di imbottigliamento
coinvolte nell’accusa.
Terzo: nessuno, e dico nessuno, può
pensare che la Coca-Cola Company con il suo strapotere commerciale
e finanziario, al di là dei contratti esistenti, non sia in
grado di influenzare il comportamento della Coca-Cola FEMSA e degli
altri imbottigliatori, veri e propri licenziatari mono-marca che lavorano
in esclusiva per la multinazionale di Atlanta, che ha quindi su di
loro potere di vita o di morte".
Per quanto riguarda le argomentazioni
indirette, Coca-Cola si appoggia a tre pronunce contrarie alle accuse
e al boicottaggio:
- quella
del sindacato SINALTRAIMBEC, che è però un sindacato
di comodo creato dalla stessa azienda per scompaginare il SINALTRAINAL
e recentemente soppresso dalla stessa multinazionale con la chiusura
dell’impianto di riferimento ed il licenziamento di tutti i lavoratori;
- quella
della magistratura colombiana che ha stabilito l’estraneità
del sistema Coca-Cola rispetto agli episodi di violenza ed intimidazione,
ma il Procuratore generale dello Stato colombiano all’epoca era
Jaime Bernal Cuellar, cioè colui che oggi è l’avvocato
che difende Coca-Cola nel procedimento di Miami. Questo dovrebbe
chiarire il suo grado di indipendenza.
Inoltre l’ONU, l’OIL e innumerevoli ONG, tra cui Amnesty International,
sono tutte concordi nell’affermare la totale inaffidabilità
del sistema giudiziario colombiano, che assicura l’impunità
nel 95% dei casi di violenza attuata dai paramilitari, percentuale
che sale al 98% nel caso di gravi violazioni dei diritti umani.
- quella
della CGIL che, secondo la Coca-Cola avrebbe dichiarato infondati
i motivi del boicottaggio. Anche questa è una palese falsità.
Il sig. Nicola Raffa era presente all’incontro di Dicembre a Roma,
quando Marco Gentile della CGIL da una parte confermò che
il suo sindacato non concorda in linea generale con il boicottaggio
come strumento di rivendicazione dei diritti dei lavoratori e
dall’altra affermò che la stessa CGIL ha assunto l’impegno
di sostenere le rivendicazioni dei sindacalisti colombiani, arrivando
al punto di affiliare Edgar Paez, segretario internazionale del
SINALTRAINAL, al fine di poter tutelare la sua vita in maniera
diretta.
"A
questo punto – conclude il rappresentante della REBOC - visto che
le 5000 firme raccolte in Italia e gli otto mesi di boicottaggio mondiale
non sono stati sufficienti perché la Coca-Cola assumesse le
proprie responsabilità e agisse di conseguenza, rilanciamo
la seconda fase del boicottaggio, chiedendo alle 5000 persone e alle
60 associazioni che hanno aderito in Italia di produrre il massimo
sforzo per ampliare ancor di più la campagna, con la raccolta
di altre 5000 firme e la moltiplicazione sul territorio delle iniziative
di boicottaggio".
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