6
aprile 2002
Aggiornamenti
da Betlemme
Ci svagliamo
tardi, dopo una serata passata a sbraitare contro la
compagnia che fornisce connettivita' all'Alternative Information Center.
Una delle loro macchine e' incartata e siamo senza connessione. Il
lavoro che io e r. siamo rimasti per fare necessita' della connesione
per scaricare i file necessari a installare l'arabo su un portatile,
a importare l'audio da un minidisc, non che' sound edit per editare
i
materialli acquisiti.
Verso le undici ci dirigiamo verso l'ospedale di Beit Jala, da cui
dovrebbe partire ua delegazione di internazionali insieme ad una
ambulanza della Mezzaluna Rossa per portare cibo, acqua e medicinali
agli assediati nella chiesa della Nativita'.
Ci sono circa venti o trenta internazionali, gli ultimi rimasti
nell'area di Betlemme, e almeno altrettanti se non di piu'
rappresentanti dei media ufficiali.
Ci incamminiamo lentamente lungo un percorso di circa 3 km che ci
dovrebbe portare a Manger Square. Gli internazionali davanti e intorno
all' ambulanza, con bandiere con la croce rossa, cartelli che declinano
la convenzione di ginevra.
Ci muoviamo in una Betlemme totalmente silente e deserta. Il vento
polveroso spazza la strada e l'aria e' rotta un paio di volte dai colpi
in aria di un fucile mitragliatore. Il sole ci scalda e ci rende
sonnolenti, se non fosse per la tensione. Sembra di essere in una citta'
disabitata, abbandonata.
Una cinquantina di metri dietro l'ambulanza camminano i giornalisti,
i
fotografi, i cameramen. Ben distanti dai pazzi che si dirigono verso
il
cuore delle operazioni militari israeliane nell'area.
r. e k. hanno qualche alterco con i media ufficiali, i cui operatori
alla richiesta di rimanere vicino al gruppo, ribattono sprezzantemente
che "gli hanno gia' sparato addosso", come se a noi non fosse
successo,
e senza giubbotto antiproiettile e caschetto.
Proseguiamo.
Arriviamo a circa cento o duecento metri dalla piazza occuapata. Davanti
a noi svariati carri armati e APC, e un paio di pattuglie a piedi. Il
carro di fronte a noi muove la torretta per puntare il cannone
sull'ambulanza e sulla delegazione. Sembra imminente un colpo a distanza
ravvicinata, per convincerci definitivamente di quanto ci sia poco da
scherzare.
Poi una pattuglia di 6 soldati si avvicina e si piazza a qualche decina
di metri da noi, i fucili spianati nonostante gli ordini del capo
pattuglia. Dai tetti vicini i cecchini ci ululano "Hellouuuu"
e
fischiettano per farci sentire il peso delle loro pallottole potenziali.
S. il negoziatore del gruppo si avvicina alla pattuglia, dopo averlo
chiesto ad alta voce. Chiede se e' possibile portare cibo e medicinali
ai feriti dentro la chiesa. "Ci sono feriti?" chiede il capo
pattuglia.
Si', risponde, possiamo?. No, stiamo provvedendo noi a cibo e cure.
Dobbiamo andarcene?. Si. Possiamo
andarcene senza essere minacciati? Si. Tutte le risposte arrivano a
distanza di qualche minuto dopo aver interpellato il comandante
dell'operazione. Voglio farvi sapere che sappiamo che ci sono feriti
e
che l'esercito israeliano sta violando le convenzioni internazionali
di
ginevra. Si, grazie.
Un bulldozer che ci aveva chiuso la via dalla quale eravamo venuti si
sposta.
La tensione e' altissima.
Abbiamo altre domande.
S. torna dal capopattuglia.
Qualcuno di noi puo' entrare a controllare che la situazione sia come
avete detto voi, cioe' che il cibo e l'acqua vengono portate ai feriti?
Il capopattuglia non consulta neanche il comandante. Risponde secco.
"No, e stiamo ordinando di sgomberare la Chiesa."
Ci allontaniamo lentamente, lasciando lungo la strada i viveri che
avevamo portato ad alcune famiglie.
IL cielo si copre e incomincia a piovere.
Sentiamo in lontananza una voce al megafono che dice "Se uscirete
tutti
pacificamente non verra' torto un capello a nessuno".
Ancora bugie.
E i carri armati che incontriamo sulla nostra strada e che arretrano
davanti a noi per farci arrivare all'ospedale non cancellano la
sensazione che le parole "stiamo provvedendo" siano una battuta
alquanto
sinistra.
06 aprile 2002
Betlemme
Palestina
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