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La prostituzione in una società alienata


Quando si parla di prostituzione si cade in una marea di ambiguita'. Un'ambiguita' fatta di pensiero di azione e di linguaggio.

Scrive Susan Sontang: (Interpretazioni tendeziose)

"......non basta mutare le leggi discriminatorie nei confronti della donna, devono essere mutate le forme di lavoro, le abitudini sessual,i l'idea della vita familiare, la lingua stessa."


Se si fa risalire la prostituzione ad un mestiere, bisogna risalire a molto tempo fa, quando nell'antichità, il mito della prima donna che andò a coincidere con il mito della Terra, depositaria di ogni seme e forza vitale, dette luogo alla prostituzione ritualizzata in una duplice versione. Sotto forma di culto della fecondità (parto e allattamento - animale - donna - selvaggina - preda, inseguita da cacciatori umani e divini), oppure di dono all'ospite come gesto di generosità o esibizione del dare, ma soprattutto come reiterazione del dono con cui gli dei avevano creato il mondo e dato la vita.

Il poeta Esiodo, VIII sec. a.C., parlando di "dannoso genere femminile nell'ambito culturale della Grecia antica in cui sesso e fecondità aleggiano come mistero mai penetrato, dà luogo a quella perpetua oscillazione tra esaltazione e negativizzazione della donna.

Tale cultura adotterà la logica maschile che confinerà la donna o nel ruolo rassicurante di sposa, madre o sacerdotessa, oppure immagine portatrice di disordine, perché in grado di esprimere con il corpo forti cariche di desiderio ma rifiutandosi, nel contempo, di assoggettarsi alle regole di una società regolata dall'uomo.

La prostituta era comunque oggetto di grande rispetto. Erodoto narra che "in tempi passati la prostituta era una sacerdotessa dedicata agli dei e dandosi a qualcuno essa compiva un atto di adorazione. Era trattata con rispetto e gli uomini nell'usare di lei la onoravano". E presso i babilonesi era legge "che almeno una volta nella vita le donne dovessero recarsi al tempio di Isktar (Afrodite) e lì concedersi allo straniero che, scegliendole tra le altre, gettava loro delle monete".

Provvidero i Padri della chiesa a fare ordine di quelle pratiche. Da Sant'Agostino a Tommaso d'Aquino sarà tutta una serie di invettive che bollano la prostituzione tra gli atti più immondi e a paragonarla alle fogne del palazzo "le fogne restano fogne, ma sono necessarie".

Da allora le prostitute sono sempre state trattate come feccia della società; poco contava che fossero utili al Palazzo, erano invisibilmente presenti, condannate di giorno e frequentate di notte. (ricerca del periodo di passaggio dall'antichità al nostro secolo).......

Con il pio Carlo Magno si passa dalle parole ai fatti. L'imperatore, constatando che molti ginecei dei centri feudali erano ricettacoli di prostitute e la stessa reggia di Aquisgrana ne fosse infestata, emana nell' 809 il capitolare "De disciplina palazii aquisgraniensis" per effetto del quale le indesiderate ospiti vengono condotte nella pubblica piazza e fustigate. I Carolingi aggravarono via via le pene passando al taglio delle orecchie, al marchio col ferro rovente, all'immersione nell'acqua gelida.

Finalmente il mercato del sesso entra nel mondo del mercato del lavoro.

Enrico II a Londra nel 1161, Filippo Augusto in Francia agli inizi del XIII sec. riscoprono il "Ditterio", istituito a suo tempo da Solone (un vero e proprio ente di stato le cui entrate venivano versate nelle casse dell'erario), e inaugurarono i postriboli.

In tutta Europa si diffonderà un'ondata di legalizzazione postribolare connessa alle crescenti esigenze di autofinanziamento degli stati.

Tra il XVI e il XVII sec. la prostituzione diventa espressione generalizzata di marginalità sociale. Le trasformazioni dell'agricoltura, l'aggravio persistente sui piccoli proprietari terrieri dei diritti signorili, il notevole aumento demografico fanno crescere, ponendoli fuori dalla società, una massa di diseredati.

Alla prostituzione "professionale e censita" si assomma una prostituzione coatta, latente e ubiqua: un esercito di prostitute di riserva oggetto, nel ‘600, di quella che Focault chiamerà la grande reclusione" che riempirà gli istituti di correzione, gli ospizi, le navi dei deportati nei possedimenti d'oltremare.

In questo periodo e ininterrottamente sino ad oggi ci una sarà una correlazione, che andrà ingigantendosi in proporzioni geometriche, tra aumento delle classi povere e diffusione della prostituzione.

E arriviamo così alla metà del nostro secolo: la "Legge Merlin" del febbraio 1958 che depenalizza il reato di esercizio della prostituzione, influenzando così il percorso di evoluzione di questo fenomeno.
Dall'utilizzo nelle case chiuse, si passa con una irreversibile trasformazione all'esercizio di strada nella stragrande maggioranza, oppure dalle strade alle abitazioni private.

Negli anni che seguono il secondo dopoguerra e sino alla metà degli anni '80, in Italia e in Europa, la prostituzione, considerata fenomeno inalienabile, è stata sempre più concepita come comportamento individuale lecito, lasciato alla libera scelta delle persone che la esercitano; l'ampia affermazione dei diritti della donna nell'ultimo quindicennio ha garantito anche alle prostitute un'appropriazione del proprio corpo, restituendo loro più ampi diritti personali e rendendole artefici della libera commercializzazione del proprio sesso, imprimendo così una spinta soggettiva ad un mestiere da sempre passivo, accettato come mezzo equilibratore tra persone (corpi), famiglia e società.
Questa situazione però non ha mai sufficientemente evitato e tutelato le donne che si prostituiscono, dalle forme di sfruttamento organizzato, e fattore ancora più disastrante, la caratteristica di "tratta delle donne" per lo sfruttamento sessuale.


Indice "Le Sex Workers"