Si
chiude l'evento, si apre un sentiero
Domenica 14 ottobre 2007
L'ululato
della conchiglia in cui soffia lo sciamano vibra nell'alba,
scivola tra le rustiche croci di legno del cimitero che
affianca il palco e come un soffio di vento s'intrufola
fra le tende a svegliare i circa 1500 partecipanti. Nell'aria
pallida dell'aurora, come in una visione, si scorge una
costruzione montata nella notte affianco alle sedie del
pubblio: una semisfera di rami intrecciati, ricoperta di
teli, circondata di foglie. Di fronte a questa casupola,c'è
un falò addossato a delle grandi pietre, arroventatesi
per il calore.
Lo
sciamano posa la conchiglia e, accompagnato da un tamburo,
eleva in cielo un canto. Una lunga fila di uomini e donne
si snoda dalla porticina della cupola di rami e tele; sono
indigeni di tutte le etnie, sono messicani, sono internazionali.
I petti nudi e i piedi scalzi rivelano la diversità
del genere umano: contadini, neri, cittadini, meticci, bianchi,
mori, pelli conciate dalla fatica o arrosate dall'abbronzatura
estiva. Prima avviene la benedizione con le erbe aromatiche
e poi, un poco alla volta, le persone entrano nella tenda,
celebrando la cerimonia del Temazcal, il "bagno di
vapore" delle antiche popolazione mesoamericane.
Questa
cerimonia, che ripercorre l'ingresso nel ventre materno,
della Pacha Mama, e che, attraverso l'abbondante sudorazione,
purifica il corpo e la mente dei partecipanti, è
una delle tante forme di resistenza culturale e spirituale
che le popolazioni indigene portano ostinatamente avanti
e che in forma decentralizzata fioriscono nell'evento. Raccontare
degli indigeni senza citare il valore centrale della spiritualità
è come parlare delle nuvole senza dire che sono in
cielo. I canti, le litanie, i battiti ossessivi dei tamburi,
le grida euforiche degli sciamani musicano la domenica fino
al pomeriggio quando, ufficialmente, si chiude l'Incontro.
Gli
Yaqui prendono la parola sul palco e, come saluto al pubblico,
mettono in atto tre danze particolari della loro tradizione,
tra cui la celebre e affascinante danza del "Venado",
del cervo. Il ballo rappresenta il rito della caccia, con
un giovane ballerino che tiene legato in capo una vera testa
di cervo e tutti gli altri danzanti che battono le gambe
a ritmo del tamburo e del violino, scuotendo i semi rinchiusi
nei bossoli di farfalla legati a mucchi sui polpacci.
Successivamente,
di fronte a un pubblico raddoppiato con la presenza degli
abitanti dei villaggi indigeni vicini, danno lettura in
inglese e in spagnolo della Dichiarazione dei Popoli Indigeni
riuniti in Vicam, di cui invitiamo a leggerne una sintesi
esaustiva. Fondamentalmente viene ribadito il principio
di autodeterminazione e riconosciuta la radice dei diversi
mali che affrontano le popolazioni native in America: il
capitalismo.
Si tratta veramente di una guerra totale, quella che le
multinazionali hanno messo in atto contro l'umanità
e, gli indigeni, come custodi delle tradizioni più
vicine all'essenza primitiva della vita, della natura e
delle specie viventi, sono chiamati a organizzarsi per non
scomparire, per non vedere disintegrato, oltre che le loro
vite, l'immenso patrimonio della cosmogonia ancestrale.
L'Incontro di Vicam è stato uno specchiarsi, però
ora, si legge nella Dichiarazione, comincia il lento ma
urgente ricamo delle alleanze, delle azioni comuni, delle
strategie a medio e lungo termine.
Già
da subito partiranno i lavori per programmare un prossimo
evento simile, possibilmente più a sud nel continente,
per dare qualche possibilità in più ai popoli
che non sono potuti intervenire e, almeno secondo il parere
delle Nazioni Indigene del nord, senza la presenza degli
osservatori internazionali e delle telecamere. Si invita
al boicottaggio e alla coordinazione di azioni collettive
contro l'Escalera Nautica nel Mar di Cortes, le Olimpiadi
Invernali in Canada del 2010, la costruzione della litoranea
nel territorio Yaqui e il Piano Puebla Panama.
Anche
le parole del Subcomandante Marcos, intervenuto in qualità
di Delegato Zero della Commissione Sesta e che chiudono
l'incontro, ruotano sulla battaglia campale che come posta
in gioco ha il destino del mondo, l'equilibrio precario
del cosmo gravemente minacciato dall'avidità, priva
di lungimiranza, delle multinazionali e dalla stupidità
dei governi, tutti succubi del pensiero unico neoliberista.
I dolori si sommano in questo Incontro, dice, però
non per generare paura ma per moltiplicare le speranze:
del resto ogni rivoluzione, come anche questo Incontro,
alla sua vigilia suonava impossibile.
La
terra dell'arido campo di Vicam si spande in sbuffi polverosi
per il calpestio di tanti ribelli. Ci sono piedi che hanno
camminato a lungo per giungere ed unirsi ad altre paia di
suole affinché insieme alzino non più nuvolette
di polvere, ma tempeste di sabbia.