guerriero
INCONTRO DEI POPOLI INDIGENI
D'AMERICA

Vicam, Sonora - Mexico. 11/14 Ottobre 2007

Nella terra invasa dai Soldati Blu
Venerdì 12 ottobre 2007, Tmcrew

Un altra tacca nel calendario della resistenza indigena: 515 anni fa Cristoforo Colombo, col suo carico di pregiudizi, mercenari, preti e corone, mette piede in un'isola dei Caraibi, aprendo la porta a cinque secoli di conflitto genocida, la guerra più lunga della storia dell'umanità. In tutti questi anni, gli abitanti originari del continente, hanno dovuto affinare, modificare, custodire clandestinamente o in luoghi remoti la proprie usanze e customi. Oggi, nessuno di questi popoli, si dà per sconfitto, si lascia mummificare nei testi di antropologia o negli angoli polverosi dei musei. C'è un Popolo che sta organizzando la sua sollevazione, qui, a Vicam...

La rovente mattinata del 12 ottobre è dedicata ai popoli indigeni che secondo la mappatura mondiale colonialista si trovano negli USA, o nei suoi paraggi. Apre la sessione il Popolo Tohono O’Otam, situato in un'area che va dall'Arizona a nord fino a Hermosillo, Sonora, Messico. Leggono una dichiarazione in cui sottolineano che non riconoscono la linea artificiale che l'uomo bianco ha posto nel bel mezzo del loro territorio e per tanto non riconoscono nessuno dei due governi. Ribadiscono che essere indigeni è una responsabilità notevole perché ai nativi spetta il dovere, come custodi ancestrali, mantenere l'equilibrio dell'universo. Danno lettura dei primi esempi di una lista di soprusi, invasioni, saccheggi da parte di governi e multinazionali che avrà fine a sera inoltrata, una staffetta che di abuso in abuso le varie tribù esporranno con un'allucinante e triste continuità.

C'è l'esproprio di un'azienda farmacologica intenzionata a raccogliere e brevettare i semi di quelle piante medicinali che sempre hanno curato gli Otam, prima che le sconosciute malattie dei bianchi ne decimassero la popolazione. Poi c'è un agglomerato turistico che gli impedisce l'accesso alle spiaggie del Pacifico, lo sbocco al mare che sempre avevano avuto. Parlano, infine, di una religione imposta nel 1600, al punto che oggi la maggioranza della tribù si considera cattolica, dimentcando i culti originari.

Autorità OtamDi questo popolo, prende la parola l'autorità tradizionale, un anziano ma prestante indio con capelli lunghi e lisci. Dice che è qui, all'Incontro, per stringere alleanze con la parte degli Otam del sud, del Messico, e con tutti quei popoli con cui sono emerse affinità nel processo di lotta. La proposta, da parte sua, è quella di impugnare la recente dichiarazione dell'ONU sui diritti indigeni (votata contro da USA, Canada, Nuova Zelanda, Australia) come altro punto di forza nelle trattative coi governi per il completo riconoscimento dell'autonomia per i popoli nativi. Importante sottolineare che il popolo Otam costantemente si trova a soccorrere i migranti che tentano di entrare negli USA attraverso il deserto di Sonora, dandole acqua, assistenza e, molte volte, raccogliendo i resti di quanti muoiono nel cammino.

Il popolo successivo è quello degli Hopi, antichissima civiltà delle zone aride del sud. L'agricoltura è il centro assoluto del loro stile di vita e si adoperano da secoli alla ricerca dell'autosufficienza totale, rispettando ancora un proprio calendario basato sui cicli della semina e del raccolto. Ricordano, prima di passare alle proposte politiche, la loro storia: l'ultima volta che hanno ammazzato un uomo bianco (nella rivolta del 1880); il sequestro dei propri bambini nelle scuole governative; il tentativo negli anni '50 di imporre lo stile di vita occidentale, dividendo la comunità; le multinazionali che recentemente stanno finanziando il "governo indigeno" filoamericano al fine di ricevere concessioni per l'estrazione dell'acqua (già carente nella comunità) e per impianti elettrici; il tentativo di realizzare una centrale a carbone in pieno territorio Hopi, tentativo sventato da una lunga lotta, blocchi stradali e occupazioni dei cantieri. Tornano a parlare di agricoltura, che sviluppano con sistemi tradizionali, affinati in milleni di pratica; quegli stessi sistemi che si studiano nella prima scuola di metodo tradizionale impiantata recentemente, dove si apprende anche la lingua e la visione cosmica Hopi. Ricordano che il loro modello di riferimento di autogoverno è quello dei caracoles zapatisti e che a questi, e a tutti i popoli presenti, fanno un invito a viaggiare reciprocamente nelle proprie terre per intercambiare e sviluppare metodi di coltivazione, cioè stimolare l'indipendenza e la sovranità alimentare di ogni popolo.

Sciamano LakotaUn boato e un pubblico in deliro acclama, quando si presenta, un discendente diretto di Cavallo Pazzo, delegato degli Oglala Lakota, della comunità di Wounded Knee, tristemente nota per il massacro del 1890 e per l'occupazione e la repressione negli anni '70. Ricorda con fierezza la battaglia di Little Big Horn, la sconfitta dei soldati di Custer e la successiva repressione che, oltre che decimarli, divise i genitori dai figli, con l'educazione forzata nelle scuole residenziali (di cui una ragazza racconta gli abusi sessuali subiti) e le riserve, secondo la logica dello sradicamento geografico e culturale. Ancora oggi i luoghi sacri, come le Black Hills, sono quotidianamente violati, forati, ursupati, violentati dalle multinazionali e dagli edifici, le vie di comunicazione, i centri commerciali e i giacimenti estrattivi dell'uomo bianco. Ma i giovani si stanno organizzando, si chiamano "Native Resistance, 7th Generation" e non hanno lo sguardo e ne' parole indulgenti per l'uomo bianco, quando chiamano all'unità degli indigeni: un solo Popolo Rosso, per una terra rossa. Fanno appello a partecipare alla marcia che si terrà a partire da febbraio 2008 da San Francisco a Washington, una camminata di 5 mesi e sei mila migla per rivendicare rispetto per la Madre Terra, per i popoli nativi e la fine della folle corsa tecnologica autodistruttiva.

Nel nord della California vive la Nazione Achumawi, sparsi in 11 comunità che raccolgono 12000 indigeni. Questo popolo è stata massacrato dalla caccia all'oro che sconvolse la zona nel XIX secolo: posero taglie sui guerrieri uccisi, violentarono e schiavizzarono nei bordelli le donne, inquinarono i fiumi coi solventi per selezionare l'oro, distrussero i boschi. Dunque gli Achumawi furono costretti a migrare a nord e a negoziare col governo. Dei 18 trattati che si firmarono con lo Stato, neanche uno fu ratificato, rimasero sulle scrivanie degli uffici, perché da sempre le imprese minerarie ed estrattive hanno fatto pressioni perché non gli si riconoscessero le terre, finchè, approfittando di alcune autorità corrotte, del freddo e della fame, riuscirono a comprarsi la zona a tranci di 14 centesimi di dollaro. La gente Achumawi successivamente si è resa conto dell'imbroglio e, organizzandosi, con azioni dirette e occupazioni ha recuperato 1000 ettari, dove attualmente risiede.

Al riprendere possesso della terra resero conto che, non essendoci stati più loro a custodirla, fiumi erano stati deviati e inquinati, e i salmoni, nutrimento base della loro alimentazione, si erano estinti in quei corsi. La proposta di un impianto sciistico su una montagna sacra è stata sventata con la lotta e con una valanga su un versante della montagna stessa, che s'è autodifesa. Adesso proteggono un lago, considerato sacro per le erbe e le alghe medicinali che vi si incontrano, dalle mire dell'industria del turismo. Evidenziano l'inutilità insulsa delle centrali elettriche e delle turbine che devastano il territorio, quando la maggioranza della popolazione vive in case senza luce e senza acqua potabile. Polemicamente si rivolgono agli ambientalisti bianchi, invitandoli a sostenere la lotta zapatista e non a essere complici di riserve concepite solo per il turismo, e con certo disprezzo si rivolgono agli antropologi che riesumano le spoglie dei loro antepassati e addirittura una volta hanno portato all'università il cervello di un loro anziano, considerato l'ultimo selvaggio.

Guerriero NekUn guerriero giovane, bello, lungilineo, elegante e pacato parla per il popolo Nek. Il prologo è una cadenzato ripercorre della storia del mondo, o meglio dei tre mondi, dei loro Prometeo (sono due donne però a consegnare la saggezza e gli strumenti di sopravvivenza all'umanità). Elenca le quattro montagne che delimitano il loro territorio, poste ai quattro punti cardinali. "Quando parlo di limtiti" dice "non intendo confini di proprietà. Noi non siamo padroni della terra, semplicemente queste montagne delimitano lo spazio che è nostro dovere custodire e proteggere. La Madre Terra è la padrona, anche di noi uomini". Gli spagnoli non riusciro a sconfiggere i Nek, mentre nel 1845 gli statunitensi iniziarono un massacro indiscriminato contro chiunque gli capitasse a tiro in quei paraggi. Nel 1864 gli 8.000 furono trasferiti con quella che passò alla storia come la "lunga marcia", quattro mila miglia. Per quattro anni resistettero lontano dalle loro terre, ma poi, con un trattato, ottenero il rientro alle Quattro Montagne. Ancora una volta il "colonialismo energetico" decide di installare lì le sue miniere di carbone, fomentando una guerra intestina nella comunità. Con la scusa dell'ingovernabilità hanno cercato di deubicarli ancora una volta, però un'accanita resistenza ha respinto questo tentativo. In queste terre il potere federale ha riconosciuto un governo indigeno Navaho e Hopi, però, racconta il delegato, loro solo riconoscono la legge della Madre Terra, accusando come strumentali agli interessi delle multinazionali i governi indigeni imposti dal potere. L'attuale obbiettivo è appunto la resistenza all'impiantazione di una centrale elettrica appoggiata dal corrotto governo Navaho e l'impiantazione di un impianto sciistico con neve artificiale, qualcosa che alle loro orecchie suona come una bestemmia.

Un messaggio politico e spirituale, chiude l'intervento del guerriero Nek, che regge in mano una pannocchia di mais: "Come i frutti della terra sono di mille colori, così siamo noi, tutti diversi; però germogliamo da una sola radice, germogliamo tutti dalla stessa terra, fratelli indigeni. Allo stesso modo dobbiamo capire che anche i nostri numerosi mali hanno una sola radice: il capitalismo".

La sessione si chiude con due donne Ticapù, che parlano a nome del movimento chicano, cioè dei messicani migrati negli USA. Però specificano: "Essere 'chicano' non è solo essere e sentirsi un messicano nel Paese dei Gringos, ma significa appartenere alla coscienza indigena continentale: mangiare mais, parlare in lingua, seguire il calendario tradizionale". Il movimento chicano, che abbraccia qualcosa come 13 milioni di migranti, assume su di sè la condizione esemplare dei "desplazados", di quelle culture sradicate dalla propria terra per colpa del processo di spoliazione e saccheggio capitalista e coloniale; sottolineano la presa di coscienza dell'identità indigena da parte dei giovani e una delle due donne racconta: "Mio padre, una volta migrati negli USA, mi diceva sempre: dentro questa casa è Messico, fuori dalla porta, è Messico occupato. Oggi alle mie figlie le dico: dentro questa casa è territorio indigeno, fuori dalla porta è territorio indigeno occupato!".

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Gli Yaqui, la tribù ospitante

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(in spagnolo)

Sito dell'EZLN
(in spagnolo)

 

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