guerriero
INCONTRO DEI POPOLI INDIGENI
D'AMERICA

Vicam, Sonora - Mexico. 11/14 Ottobre 2007

Testimonianze del Mesoamerica e Sudamerica,
Venerdì 12 ottobre 2007

Per il pomeriggio del venerdì del Giorno della Razza, come hanno chiamato questa data i governi colonizzatori, una lunga carovana di delegati sfila sul palco, raccogliendo le parole dei fratelli del nord e aggiungendovi le disgrazie, terribilmente simili, patite dai nativi del Sud. Un continente rosso, purtroppo anche rosso sangue. A volte si fatica a concepire la sistematica violenza che ha perpetrato in ogni angolo della terra l'opera di civilizzazione del capitalismo bianco.

Via Campesina HondurasAprono la sessione pomeridiana i delegati di Via Campesina. Berretto verde, bandiera e mani callose, come quasi tutti i quasi 570 delegati indigeni dei 66 popoli presenti. L'attività agricola e la cultura rurale appartengono al comune denominatore dei popoli partecipanti, e dunque le parole "terra" e "territorio" risultano le più argomentate.

Prendono il microfono i Maya del Guatemala del popolo Q'euchì, coi volti segnati di chi ha vissuto 30 anni di guerra civile, una strage che ha mietuto 200.000 vittime tra gli indigeni e ne ha causato la diaspora di altri 500.000. Parla una donna e parla della sua condizione, orfana e analfabeta, contadina senza terra. L'educazione e il diritto alla salute, dice, devono essere la battaglia centrale del movimento campesino, senza dimenticare le donne, le bambine delle comunità più remote, per darle loro gli strumenti per crescere e non rimanere schiavizzate e discriminate tutta la vita.

Dopo alcuni interventi prendono la parola una coppia con una bambina di Maya guatemaltechi Quichè, orfani della guerra civile e profughi in Canada, che con un discorso articolato espongono la complessa situazione del loro paese. Il Guatemala è composto da milioni di indigeni, il 66% della popolazione, eppure continuano ad essere i più discriminati. I trattati di pace firmati nel 1996, tra la guerriglia e il governo, non hanno cambiato di una virgola le prassi di sterminio contro gli indigeni; durante la guerra civile i Maya si scannarono fra loro arruolati a forza o nella guerriglia o, addirittura a 10 anni, nell'esercito che rastrellava i bambini maschi nelle scuole. Oggi i giovani, in crisi di identità, collocano le loro speranze e sfogano la loro violenza nelle pandillas, baby-gang che imperversano per il Paese, uccidendosi per nulla, per il controllo di una via, per un'offesa, per un tiro di crack. Al resto e agli altri ci pensa la droga, l'alcol e l'estrema povertà delle campagne, costantemente devastate dall'azione dei paramilitari. La sinistra parlamentare ha tradito tutte le aspettative.

Mayas profughi del CanadaIn Canada, dicono, coordinano un lavoro di educazione delle bambine nelle comunità e lottano direttamente nel "cuore della bestia", cioè dove hanno sede tutte quelle compagnie che approfittano del Trattato di Libero Commercio per saccheggiare il Guatemala e finanziare lo sterminio dei Maya. "Dobbiamo educare ed educarci" dicono, "perché nel Nord, quando diciamo che siamo Maya ci prendono per bugiardi: 'I Maya sono estinti!', ci rispondono. Dobbiamo lavorare per tornare alla nostra cosmovisione". Dicono di non vergognarsi di parlare in lingua, di diffonderla, di vestirsi col "traje" tipico e mangiare tortillas. "I nostri figli li cresciamo nella cultura del Mais, affinché non debbano passare anche loro, come noi, per il processo di decolonizzazione".

"Sono commosso di essere qui", conclude lui, "però anche un po' triste. Mancano ancora molti popoli, dove sono i Mapuche e tutti i fratelli del sud? Dove sono gli altri 21 popoli Maya del Guatemala? E quelli non Maya? Le frontiere, il permesso di soggiorno, i soldi sono un problema per molti indigeni. Per il prossimo incontro, che propongo più a sud nel continente, dobbiamo farci carico anche di questi ostacoli posti dal sistema coloniale capitalista".

Ritornando ai delegati di Via Campesina, prende la parola una giovane indigena Leinca, dell'Honduras. Parla essenzialmente della questione agraria, di terre assegnate formalmente da 35 anni e non ancora consegnate. Inoltre, una macabra beffa: il 36% di queste terre è minato. Parla di alleanze strategiche nella lotta, come con alcuni settori della Chiesa e dello sciopero, dei blocchi stradali, delle 17 occupazioni che il 28 agosto del 2007 hanno paralizzato il Paese al grido di "Acqua e terra per tutti!".

Per il Nicaragua parla un indigeno Mequito, membro di Via Campesina, che ripercorre le tappe della rivoluzione sandinista fino alla legge di autonomia proclamata nel 1987 ma mai applicata dai successivi governi della destra fino al 1997, quando si sono svolte le prime elezioni autonomiste e le scuole indigene hanno iniziato a impartire lezioni in lingua originaria oltre che in spagnolo. Il delegato definisce l'attuale governo nicaraguese (ancora una volta in mano agli Ortega) un "governo amico".

Sempre della medesima organizzazione di contadini, parla un indigeno del popolo Taino della regione caraibica. Il prologo ormai è noto: più il capitale cresce, più i contadini muoiono di fame e sfruttamento. Lo scopo del Fondo Monetario Nazionale, della Banca Mondiale e della Banca di Sviluppo Interamericano è quello di far sparire la piccola e media proprietà agraria. Si augura un rinascimento politico, come i movimenti indigeni hanno saputo fare in Venezuela (con Chavez), in Ecuador (con Correa) e in Bolivia (con Morales) unendosi con i settori operai e lavoratori, ugualmente colpiti dalla catastrofe neoliberista.

Il canto a Leonard PertierUn altro Taino, della Repubblica Dominicana appartenente però alla combattiva "Warriors Alliance" composta da molte nazioni indigene del nord, si presenta sulle stampelle e con la figlia giocando fra le sue gambe. Forse l'intervento più radicale e più emozionante. Inizia da molto lontano: nella sua isola Colombo calpestò il suolo esattamente 515 anni fa. Il suo popolo fu il primo a scagliargli subito una freccia contro. Iniziò una resistenza secolare, nelle cui file chiamò anche moltissimi schiavi africani fuggiaschi e insieme, nella grande sollevazione del 1868, cacciarono gli spagnoli che comunque non erano mai riusciti, in tre secoli e mezzo, a penetrare l'isola, accontentadosi di installare i propri insediamenti sulla costa. Dove non riuscirono gli iberici, riuscirono gli Stati Uniti, che nel 1898 imposero le riserve e il trasferimento forzato delle comunità. "Quando a noi indigeni ci levano la nostra terra sotto i piedi, allora sì, perdiamo, perché con lei lasciamo la nostra identità". Oggi nella Repubblica Dominicana il sangue Taino scorre nelle vene della maggioranza dei suoi abitanti, "ma le menti sono state occupate dall'invasore e dal suo stile di vita".

Dà vita poi, con lo sguardo fisso all'orizzonte, ad una appassionante arringa: "Dal Polo Nord al Polo Sud, dagli eschimesi ai Mapuche bisogna ricercare l'unità del Popolo Rosso, forgiando le nuove generazioni sull'esempio di Cavallo Pazzo, Nuvola Rossa, Toro Seduto e Geronimo. Perché l'uomo bianco ha voluto affrontarci uno alla volta, sterminandoci uno dopo l'altro: che la prossima battaglia sia invece contro tutti noi messi insieme, e allora sì, vinceremo. [...] Non c'è alternativa, o con noi, o contro di noi. E' una scelta radicale che parte dallo stile di vita: o la città e dunque la legge dell'uomo bianco, o la montagna, dunque la legge della Natura. E' una lotta senza quartiere e siamo disposti a dare la nostra vita: perché il solo fatto di essere indigeni non garantisce il paradiso, solo per chi lotta c'è posto in un mondo migliore".

Il sole tramonta, laggiù lontano nel mare. In un'atmosfera dorata e commossa il guerriero Taino invita a osservare un minuto di silenzio per le centinaia di milioni di indigeni sterminati dalla colonizzazione. Poi un battito di tamburo e una voce melodica, un canto in onore a Leonard Peltier, da 30 anni incarcerato nelle prigioni Yankee per essere un leader dell'American Indian Movement. E con lui, nell'aria tiepida e rosseggiante di Vicam, vengono ricordati tutti i prigionieri politici, i Mapuche, quelli di Oaxaca, quelli di Atenco, di Guerrero, del Chiapas e degli altri popoli nativi dell'America Latina. Battiti di tamburo. Si aggiungono donne sul palco con lo striscione "Free Political Prisoners" e le voci si sommano. Un brivido e un grido attraversa la folla, il sole muore, un popolo risorge: libertà!

Indigena GuaranìIntervengono due signore del popolo Guaranì del Paraguay, in diversi momenti. La prima, membra di Via Campesina e della parte occidentale del Paese, ribadisce essenzialmente la disparità di classe, la forbice tra ricchi e poveri nel Paraguay, una disparità anche etnica visto che i più poveri, come sempre sono indigeni. L'altra signora viene dalla terre orientali e dice che loro non usano delegati, ma messaggeri. Quindi tira fuori dalla tasca un registratore e si sparge una musica e delle voci che parlano in guaranì. E' l'appello di alcuni indigeni in planton, cioè in presidio permanente, nel centro di Asuncion perché qualcuno ascolti la loro giusta richiesta di terre e la voce di uno sciamano, durante una festa, che saluta l'evento, invitando tutti a sognare insieme, perchè nei sogni, dice, s'incontra il giusto cammino nella selva.

Vale la pena citare, pescando fra i tanti popoli che hanno testimoniato le loro lotte e che non abbiamo potuto riportare, l'intervento di Quechua ecuadoregno di Via Campesina. Esordisce con un sorriso e cosciente che le cose cambiano, "per esempio io ho paura delle macchine fotografiche, però ora so che possono esserci utili". Risate del pubblico e lui aggiunge: "E abbiamo avuto paura anche della Croce, che per noi non significa nulla se non il simbolo del massacro". Ripercorrendo la storia del suo popolo, che apparteneva a una tradizionale guardia Inca, afferma: "la storia delle Nazioni Indigene, storia di lotta e civiltà millenarie, è l'orgoglio e la vera ricchezza dell'America Latina: compagni, noi non siamo poveri!".

L'attuale governo, prosegue, sta portando un vento di cambiamento nel riconoscimento dei diritti indigeni ed è frutto del successo ottenuto dall'unione dei 24 popoli ancestrali ecuadoregni; oggi ci sono finalmente scuole in lingua quechua e si stanno organizzando non per una riforma agraria, ma, a questo punto, per una vera e propria rivoluzione agraria che distrugga una volte per tutte il latifondo. Ringrazia gli organizzatori Yaqui e rende omaggio all'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, come hanno fatto tutti i delegati, perché, dice, gli hanno dato modo di scoprire che pure nel Nord esistono indios, cosciente di non essere l'unico a ignorare questa realtà. Invita a costruire una nuova spiritualità, ricordando che gli europei si sbagliano a dire che loro ADORANO la terra, i monti, i fiumi; la realtà è che loro RISPETTANO la terra, i monti, i fiumi. E sigilla: "Per un'America indigena e sovrana, globalizziamo la lotta, globalizziamo la speranza!"

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