L'apertura dell'Incontro dei Popoli Indigeni d'America
Giovedì 11 ottobre 2007, da TmCrew
Arrivare
a Vicam significa, venendo da Sud, attraversare gran parte
del Messico, più di 24 ore di pulman dalla Capitale,
lungo una litoranea infinita che costeggia il Pacifico e
accarezza ininterrotte catene montuose, sorprendentemente
verdi in questa stagione. Da nord, cioè dagli Stati
Uniti, bisogna solcare un deserto arido e spietato, lo stesso
che ogni anno infrange i sogni di migliaia di migranti.
In entrambi i casi per raggiungere questo angolo di Messico
nello stato di Sonora, il compagno di viaggio insostituibile
è il caldo torrido.
Stazione
di Vicam, paese del territorio della Tribù Yaqui,
si trova in una polverosa spianata di vari chilometri che
dal mare corre fino alle pendici di monti aspri e ricoperti
da un fitto manto di arbusti. Percorsa da strade sterrate,
assediata da raffinerie dall'aspetto decadente, Vicam è
cresciuta attorno a una stazione abbandonata con tanto di
carrozza arruginita, che giace riversa tra l'erbaccia stepposa
come sfiancata dal tempo. Siamo nell'avamposto del deserto,
più per l'aria trasandata e indolente che vi si respira
che per esatta ubicazione geografica.
Eppure
i Yaqui che ci ospitano sono tutt'altro che i pigri personaggi
della caricatura del nortegno messicano. Sono una tribù
che è riuscita a mantenere il controllo del suo territorio
a prezzi inumani, nonostante le guerre di sterminio attuate
da tutti i governi della Repubblica. Difendono questi acri
polverosi con una guardia armata propria e un ferreo rispetto
della tradizione, che non sfugge a forti influenze sincretiche
cattoliche.
Nel
mezzo di un'ampia spianata hanno eretto, con l'aiuto di
tutti i presenti, dei vasti tendoni per riparare il pubblico
dal sole implacabile. Circa un migliaio di persone, molte
del luogo, ronzano attorno al palco, piazzato di fronte
ai teloni che riparano gli ascoltatori. A metà mattino
irrompe la Commissione Sesta dell'Ezln, cioè il Subcomandante
Marcos e alcuni collaboratori. Dopo una rapida discussione
con le Autorità Tradizionali della Tribù Yaqui,
la Commissione Sesta e altri importanti delegati dei popoli
indigeni presenti, sono saliti sul palco, intonando l'inno
messicano e dando l'avvio ufficiale ai lavori.
L'evento
prende vita con le parole di benvenuto delle Autorità
degli Otto Popoli della Nazione Yaqui, del subcomandante
Marcos che, attraverso il racconto della luna che illumina
la notte e rappresenta la luce che fende l'oscurità
in cui si trovano i popoli indigeni, ha esortato all'unione
dei popoli "color de la tierra"; ha concluso l'anziano
J. Chavez per il Congreso Nacional Indigena, con un formale
ringraziamento ha tutte le organizzazioni e i popoli che
hanno indetto l'evento, nonostante le difficoltà
della distanza, quelle politiche, quelle economiche e quelle
linguistiche. Inizia il più grande incontro di nativi
d'America, il primo autoconvocato e dichiaratamente anticapitalista.