L'11
luglio 2003, all'interno del carcere "Le Sughere" di Livorno,
viene brutalmente ucciso a colpi di percosse dalla polizia
penitenziaria un giovane di 29 anni di nome Marcello Lonzi. Il suo
caso non è altro che l'ennesima lampante testimonianza di
come l'istituzione carceraria sia uno dei mezzi più violenti
che uno Stato ha per annientare chiunque esca dai ranghi della
sottomissione e del consenso al suo ordine costituito. Soprattutto,
la storia di Marcello è un esempio evidente dell'ipocrisia
e
delle contraddizioni che si celano dietro la facciata garantista
di ogni Stato democratico. Infatti, ogni democrazia propugna ad
alta voce di aborrire ogni tipo di violenza e di prevaricazione
e di difendere i diritti umani di ogni cittadino, pur non potendo
fare
a meno di mantenere la propria esistenza con mezzi coercitivi che
risultano essere violenti di per sé (come il carcere, la
polizia,
gli eserciti
) e utili soltanto alla sussistenza del dominio
e di chi lo gestisce. Di fronte a fatti come questo crolla ogni
pretesa di
trasparenza e di coerenza da parte della "nostra bella democrazia"
e viene fuori, in tutto il suo marciume, la sua vera natura fatta
di oscurantismo e di morte. Chi crede che certi episodi succedano
esclusivamente in altre parti del mondo e si sente protetto,
tutelato, al sicuro immerso nella tranquillità apparente
di questa società, tra le sue merci e le sue icone, non sa
quindi di aver
preso un grosso abbaglio.
Quella che segue è una raccolta di testimonianze, articoli
di giornale, comunicati, immagini e altri documenti riguardanti
la storia
di Marcello dalla sua morte fino ad oggi.
Latina, Agosto 2004.
MARCELLO
LONZI UN GIOVANE LIVORNESE COLPITO A MORTE DALLO STATO.
PER NON DIMENTICARLO...
Marcello Lonzi è stato ucciso l'11 luglio del 2003. L'amministrazione
penitenziaria dice che è morto d'infarto. In carcere non
c'era mai stato, doveva scontare poco più di quattro mesi
in quanto la giustizia lo condannò per tentato furto. Marcellino,
conosciuto in tutta Livorno, aveva 29 anni quando è stato
ammazzato dai secondini. Tutti i detenuti della 6° sezione del
carcere
sono a conoscenza di questo fatto mentre l'autopsia eseguita dal
medico legale Bassi Luciani ha stabilito clamorosamente che le
cause della morte sono state naturali e dovute ad un infarto.
Tanto per iniziare: perché i familiari sono stati avvertiti
dodici ore dopo la morte? E perché lo hanno tenuto tanto
tempo
all'interno del carcere?
Perché se è morto d'infarto hanno spostato il corpo
nel corridoio?
Le foto dell'autopsia smentiscono le menzogne del medico legale
Bassi e in maniera oggettiva mostrano un corpo che ha perso
molto sangue ed ha subito diversi colpi riportando ecchimosi sulla
schiena, ferite sul volto, sulla testa e in particolare una
profonda fino all'osso: le guardie gli potrebbero aver sbattuto
la testa sull'inferriata. Si vedono il sangue sul pavimento,
nonostante le pulizie del penitenziario per occultare la verità.
Chi le ha provocate?
Coloro che difendono il potere e la tortura hanno avuto il coraggio
di dire che sono state causate dalla caduta di Marcello
contro le grate della cella al momento dell'infarto. Aguzzini!
I signori medici, complici degli assassini, hanno prelevato alcuni
organi vitali e dei tessuti per sottoporli ad esami tossicologici,
esami che dovevano essere eseguiti nell'arco di sei mesi perché
poi i frammenti non sarebbero più stati buoni, ma che non
sono
mai stati eseguiti; questi organi si trovano ancora a medicina legale
a Pisa. Allora perché sono stati prelevati?
L'autopsia è stata eseguita senza avvertire nessuno dei familiari
per evitare la nomina di un consulente di parte.
Il signor Bassi è lo stesso medico che nel mese di settembre
dell'anno scorso verbalizzò l'ennesima "morte d'infarto"
per coprire
la verità su di un trentenne, detenuto e morto nel carcere
di Pisa perché portato al soffocamento, rinchiuso in isolamento
e senza
nebulizzatore; dopo una crisi asmatica e cinque ore di agonia, ad
aprirgli la cella sono stati gli stessi che lo hanno ammazzato!
La madre di Marcello, Maria Ciuffi, non ha mai creduto alla versione
"ufficiale" delle istituzioni stilata su suo figlio; due
giorni
dopo il decesso ha visto il corpo che perdeva ancora sangue e sporcava
la camicia come se ci fosse una emorragia interna.
La denuncia querela della madre scattò subito contro i secondini
della 6° sezione che si trovavano in servizio dalla mattina
fino
all'ora della morte.
Un detenuto ha detto che dopo il pestaggio i soccorsi sono arrivati
in ritardo. L'omissione di soccorso è visibile anche dagli
orari sui verbali della pubblica assistenza, che sono stati manomessi
e corretti più volte.
Le foto confermano il pestaggio e danno un'altra versione dei fatti
rispetto a quella del dottor Bassi, tanto che, dopo alcuni
dubbi di Maria, ripetutamente evidenziati sulla stampa tramite delle
dichiarazioni, la procura di Livorno non ha potuto fare a
meno di aprire un indagine contro ignoti, con il reato d'omicidio
e mancato soccorso. Indagine conclusa pochi giorni fa dal
sostituto procuratore Pennisi che inizialmente ha preso tempo, ha
negato i confronti e gli interrogatori ed infine il 2 luglio ha
iniziato la procedura d'archiviazione per "suicidio o morte
accidentale".
Se leggiamo gli articoli che sono usciti su questo argomento, possiamo
notare che i giornalisti hanno trattato questa vicenda
con le mani di velluto, come se la verità scoperta grazie
all'impegno della madre fosse un'opinione tutta sua. Eppure è
risaputo
che molte persone detenute vengono torturate e uccise per mano dei
secondini e il carcere è una struttura di morte e
annientamento delle persone.
Nelle ultime settimane abbiamo assistito proprio a questo. Tre detenuti
ammazzati nel carcere di "Sollicciano", una persona
morta nel lager "Le Sughere" e, secondo quello che viene
riportato da "Il Tirreno", questo detenuto si sarebbe
impiccato con
una cintola, quando le cintole e le stringhe vengono tutte ritirate
al momento del sequestro nel carcere e riconsegnate all'uscita.
La mancanza di libertà propria dell'attuale società
democratica e estremizzata con la tortura all'intero di carcere,
con la
privazione dell'intimità e con la tremenda sensazione di
essere alla mercé di gente senza scrupoli, un domani potrebbe
essere
solo un brutto sogno.
Nessuno di noi decide le regole di questa società, secondo
quale logica assurda dovremmo continuare a rispettare la legge,
cioè il volere degli oppressori?
La solidarietà allora va a tutti/e coloro che subiscono la
repressione dello Stato e che sono rinchiusi e isolati nelle galere.
Su questo foglio non troverete alcune parole che legittimano queste
strutture di morte, ma una ferma condanna verso chi le
mantiene in piedi, tanto meno troverete riferimenti a diritti o
a porcherie proprie del linguaggio giuridico che illudono le persone
e proteggono il potere. Solo con percorsi diversi da quelli affini
alla legge e lontani dagli schieramenti verticali delle istituzioni,
possiamo illuminare un sentiero chiaro e visibile dal basso, associandosi
tra i senza potere, per abbattere la prigionia voluta da
quella casta di mostri che vuole continuamente comandare, sfruttare
e dichiarare guerra ai popoli, avvelenare la natura e
distruggere la vita degli esseri viventi.
Pierpaolo D'Andria, direttore del carcere: "il decesso è
avvenuto alle 19,40, Lonzi era in cella con un altro detenuto che
in quel
momento dormiva. Ma si è svegliato e l'ha visto per terra.
Ha chiesto aiuto ed i soccorsi sono scattati subito. È intervenuto
il
nostro medico che ha iniziato le pratiche di rianimazione."
INTERVISTA -TESTIMONIANZA DI UNA PERSONA DETENUTA AL CARCERE "LE
SUGHERE" DI LIVORNO.
Domanda - Quanto tempo sei stato nel carcere di Livorno?
Risposta - Attualmente un mese e mezzo, in totale cinque anni.
D - Ci vuoi raccontare qual è la realtà nelle celle
di questo carcere?
R - La realtà della cella è invivibile
le celle
sono di tre metri e dentro ognuna ci sono 4 o 5 detenuti, non si
resiste
D - C'è anche un bagno?
R - Sì, c'è, ma è impossibile entrarci perché
è sporco.
D - Quindi c'è anche un problema di sporcizia
R - Sì.
D - Cosa fate all'interno di queste celle così piccole?
R - Niente
ognuno sta nel suo letto, si addormenta o guarda
la tv. Sennò c'è l' "ora d'aria" o una saletta
dove andiamo a
giocare a carte. Basta.
D - Una delle realtà che più ci ha colpiti, anche
alla luce del caso di Marcello Lonzi, è il regime di disciplina
all'interno del
carcere livornese
R - Sì
D - Qual è l'atteggiamento delle guardie nei confronti dei
detenuti?
R - La Polizia penitenziaria a Livorno comanda troppo, fa ai detenuti
quello che vuole. Se qualcuno chiede qualcosa alle
guardie, come ad esempio una "spesa anticipata" o dei
fogli per compilare le "domandine", assumono un atteggiamento
alterato
e, a seconda di come gli viene risposto, il detenuto viene immobilizzato
con le braccia rigirate dietro la schiena, portato giù
all'isolamento, e qui isolato, o pestato, o rinchiuso nella "cella
liscia".
D - La Polizia penitenziaria ha quindi un atteggiamento molto duro
nei confronti dei detenuti?
R - Sì, nei confronti dei detenuti si.
D - Tu sei stato nella cella d'isolamento delle "Sughere"?
R - Sì, sono stato nella "cella liscia".
D - E cosa è successo?
R - Mi hanno preso perché, giunto da un altro carcere, avevo
chiesto una "spesa anticipata". Sono venuti a muso duro
davanti
alla cella e mi hanno detto: "Se non stai zitto ti si prende
e ti si attacca al muro". Siccome io non sono una persona che
si
zittisce così, gli ho risposto a tono e così sono
tornati in 5, mi hanno preso e portato giù alla "cella
liscia", spogliato in mutande,
e tenuto così per 4 giorni, con solo il materasso.
D - Quindi tu sei stato tutti questi giorni nudo, in mutande, in
una cella liscia che non ha nulla, solo il materasso?
R - Sì, solamente con un materasso in terra.
D - Cosa hai provato?
R - Ci si sente proprio a terra. Oltretutto viene chiuso sia il
cancello, sia il blindato, e non puoi chiamare neanche le guardie,
perché se le chiami entrano dentro e ti riempiono di botte.
Non puoi fare nulla, questo te lo dicono appena entri con minacce
dirette, non puoi aprire nemmeno la bocca.
D - Sei stato picchiato durante l'isolamento?
R - Io sì.
D - Vuoi raccontarci cos'è successo?
R - Nella "cella liscia" mi hanno picchiato ed io ho risposto,
così sono venuti in 6 o 7 e non ho più potuto far
nulla, mi hanno
spaccato la faccia. Quando ti picchiano puoi pure rispondere, ma
al massimo puoi colpirne uno, spintonarne un altro e poi sei
finito, ti accerchiano e ti seppelliscono di cazzotti e pedate,
fino ad ammazzarti. Io mi sono rivoltato e gliel'ho detto: tanto
vi
prendo fuori quando siete "in borghese".
D - Sei stato picchiato a mani nude?
R - Loro avevano i guanti, guanti e scarponi con la punta in ferro
che fa molto male.
D - Cosa si prova quando sei in isolamento e ti entrano 6 guardie
dentro per picchiarti?
R - Uno se ne accorge subito, perché quando vengono a picchiarti
chiudono i cancelli dietro e intorno a sé, cancelli e blindati.
Se il tuo rimane aperto, stai tranquillo che prima o poi arrivano
6 o 7 guardie a picchiarti. A quel punto cosa fai, ti metti in un
angolo, o in fondo alla parete, e sai già a cosa andrai incontro.
Io mi metto in fondo, in un angolo, e se ne prendo uno bene,
sennò me le piglio tutte io.
D - Ci sono altre persone nel carcere di Livorno che hanno subito
lo stesso trattamento?
R - Sì, ne ho viste, portate via e anche picchiate nel corridoio.
Ho visto detenuti prenderne da 4 o 5 guardie, anche davanti a
tutti.
D - Hai visto rientrare qualcuno dalla cella d'isolamento?
R - Sì, avevano la faccia rotta, gli mancavano i denti.
D - Ultimamente c'è un incremento della violenza nei confronti
delle persone
detenute o no?
R - Sì, c'è un incremento. Forse dipende dal fatto
che ci sono troppi detenuti o perché il carcere cade a pezzi,
le sezioni
cadono a pezzi, in una cella dormono in 6 o 7, mentre prima ci dormivano
in 2. Aumentano i detenuti e aumentano i pestaggi.
Questa è una testimonianza sulla realtà del carcere
di Livorno, dove è morto Marcello Lonzi, di 29 anni, morto
dopo essere
stato messo in isolamento. Marcello è morto in una realtà
di violenza quotidiana, di violenza come abitudine e prassi.
anarchici e anarchiche, via del cuore 1 PISA, 7 luglio 2004
Rassegna stampa 2003
Detenuto morto a Livorno, madre lancia appello a Ciampi
Ansa, 2 ottobre 2003
Un aiuto per impedire che "prevalga la volontà di nascondere
la verità": è quanto chiede, in una lettera a
Ciampi, la madre
di un detenuto morto a Livorno. L'autopsia compiuta sul corpo di
Marcello Lonzi, 29 anni, in carcere per scontare una pena
a 8 mesi di reclusione per tentato furto e in attesa di usufruire
dell'indultino, aveva attribuito la morte a un infarto fulminante.
Ma la madre, Maria Ciuffi, è convinta che il figlio sia stato
ucciso in carcere.
Nuovo esposto della madre del giovane morto nel carcere di Livorno
La Nazione, 18 novembre 2003
Prosegue la battaglia di Maria Ciuffi, che abita nella nostra città,
la madre di Marcello Lonzi, il giovane morto a 29 anni l'11
luglio mentre era detenuto alle Sughere. La morte secondo l'autopsia,
disposta dal Pm Roberto Pennisi, è avvenuta per cause
naturali. Ma la donna ritiene che la morte sia conseguente ad pestaggio.
Per questo ha presentato una denuncia e il pubblico
ministero Roberto Pennisi ha aperto un fascicolo contro ignoti per
omicidio.
Nei giorni scorsi la donna dopo aver parlato ancora con il magistrato
ha deciso con il suo legale di fiducia, l'avvocato Fabrizio
Bianchi di Pisa, di presentare alla sezione di polizia giudiziaria
della Procura un altro esposto contro gli agenti di polizia
penitenziaria in servizio l'11 luglio dalle 14 nel settore dove
c'era suo figlio. Maria Ciuffi non si rassegna alla morte in cella
del
figlio e vuole andare fino in fondo, perché ritiene che il
giovane sia stato ucciso. Per questo la madre di Marcello Lonzi
ha
anche scritto un'accorata lettera al Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi.
Nel documento la signora Ciuffi spiegava la vicenda di suo figlio
e del suo tragico epilogo, per lei ancora inspiegabile.
"Adesso ho paura - affermava la donna -. Paura che su questa
vicenda non venga mai fatta chiarezza, ho paura che
prevalga la volontà di nascondere la verità, di nascondere
uno scandalo. Quelle che umilmente Le chiedo è di aiutarmi
a
impedire che accada tutto questo, consentendo a una madre che ha
perso il suo unico figlio in un carcere dello Stato
italiano di sapere come ciò sia potuto accadere, come tutto
ciò sia stato possibile.
Marcello Lonzi: verità per la morte di un detenuto
Luigi Manconi
L'Unità, 25 novembre 2003
Marcello Lonzi morto tra le 19.50 e le 20.14 dell'11 luglio 2003,
nel carcere delle Sughere di Livorno. Era detenuto per
tentato furto (4 mesi di reclusione ancora da scontare). È
stato trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione
non hanno dato alcun esito. I familiari sono stati avvertiti 12
ore dopo il decesso. Nel frattempo, sul corpo di Marcello Lonzi,
erano stati effettuati i primi esami autoptici. L'esito di queste
analisi ha indicato in un'aritmia maligna la causa più probabile
della morte. Ma ci sono troppe cose che non tornano, in questa vicenda.
Sul volto del giovane l'autopsia ha riscontrato tre
gravi ferite, prodottesi con tutta probabilità "simultaneamente".
Sul suo torace, una strana escoriazione a forma di "V".
La relazione di consulenza tecnica medico legale, predisposta dal
Tribunale di Livorno, imputa le ferite al viso alla dinamica del
decesso: Marcello Lonzi sarebbe stato colto da malore e,
cadendo, avrebbe violentemente picchiato il volto contro un termosifone
o contro lo stipite della porta. Alla stessa origine
viene ricondotta l'escoriazione sul torace, mentre altri "fatti
traumatici" vengono attribuiti ai tentativi di rianimazione
(come
la frattura della seconda costola di sinistra in sede iuxta - cartilaginea).
Tutto regolare, dunque; tutto spiegabile, in apparenza, secondo
le indagini sin qui svolte. Ma, in verità, qualcosa non torna.
Sulla morte di Marcello Lonzi nasce un caso, nel quale è
la determinazione della madre, Maria Ciuffi, a giocare un ruolo
fondamentale.
Fin dal primo istante, la donna non ha creduto all'ipotesi della
morte per esclusive cause naturali; e fin dal primo istante ha
cercato di documentare le voci, sempre più insistenti, che
circolano all'interno del carcere, e che adombrano un'altra
ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica della morte.
Lonzi era un ragazzo sano e di costituzione robusta; le uniche alterazioni
riscontrate nella sua fisiologia e giudicate,
dall'autopsia del tribunale, "relativamente modeste",
sono a carico dell'apparato cardiaco (riduzione del calibro di un
ramo
coronario); ma non sono state rilevate occlusioni che potessero
portare all'infarto del miocardio.
L'ipertrofia ventricolare è, ad oggi, la causa di morte più
accreditata, semplicemente perché non lascia tracce nell'organismo;
semplicemente perché, non potendosi dimostrare alcuna altra
patologia, se ne ipotizza una che non ha bisogno di "prove".
Quanto alle ferite rinvenute sul cadavere, è la loro entità
a sollevare dubbi. Una raggiunge l'osso sottostante, un'altra penetra
profondamente fino a comunicare con il vestibolo. Per queste ragioni,
l'avvocato della famiglia chiede se sia "compatibile la
gravità e profondità di simili lesioni con una mera
caduta da fermo"; e se non sia necessaria una ulteriore spinta
o pressione per
produrre tali conseguenze".
Nel frattempo, Maria Ciuffi ha ricevuto numerose telefonate anonime,
da qualcuno che - considerata la precisione nel riferire
dettagli e particolari - potrebbe essere una fonte bene informata.
Le è stato detto che suo figlio, durante l'isolamento, è
stato ripetutamente picchiato; e le è stato riferito di scontri
con altri
detenuti e con il personale penitenziario. È probabile che
Marcello Lonzi non sia stato ucciso dai traumi conseguenti a questi
fatti, se questi fatti si sono effettivamente verificati. Ma la
stessa aritmia maligna sin qui ipotizzata potrebbe essere insorta
- è
un'ipotesi medica plausibile - come reazione alle eventuali percosse.
Maria Ciuffi ha scritto al Ministro della Giustizia, si è
rivolta ad alcuni parlamentari e allo stesso capo dello Stato: vuole
la
verità.
E che sia convincente. C'è un giudice a Livorno? (C'è:
e ha aperto un fascicolo). C'è un parlamentare che voglia
andare fino in
fondo?
Maggio - Giugno 2004
Per
salvare ciò che è rimasto del 35nne Gioacchino Fontanella
di S. Antonio Abate (NA).
Non ricevo più sue notizie e nemmeno i familiari.
Come ricorderete è stato relegato in totale isolamento nelle
celle sotterranee del carcere di Cuneo, reo di aver, appunto,
denunciato all'autorità giudiziaria l'uso indiscriminato
di tali celle da basso medioevo.
E' oramai in sciopero della fame e della sete dal 10 maggio.
Prego chiunque ne sappia qualcosa di farsi vivo, magari anche qualche
detenuto,visto e considerato che è finito là proprio
per
protestare per quello che capitava agli altri.
Ricordo che quando mi curavo di Surace anche un suo sbadiglio faceva
notizia e si mobilitavano tutti i mezzi d'informazione.
Fontanella non fa notizia, allora cerchiamo di farla noi, cerchiamo
di farla noi prima che ci arrivi un altro comunicato di morte
per infarto come nel caso di Marcello Lonzi.
Ricordo che quando nel 98 mi recavo in questo carcere a far colloquio
con i detenuti al 41 bis, dovevo stare curvo su me
stesso perché le panche dove sedevano gli avvocati erano
messe così vicine al divisorio col detenuto che non avevo
la
possibilità di stendere le gambe, insomma, l'idea esatta
che me ne feci era quella di un "pollaio", tanto erano
spesse le griglie
delle celle per i colloqui e la posizione che dovevano assumere
avvocati e detenuti.
A Novara non si sta meglio, dato che i Gom lì sono molto
addestrati ...
Ricordo pure che nel 99, proprio per aver denunciato le condizioni
di vita dei detenuti al 41 bis in quel di Cuneo, su iniziativa
della locale procura della repubblica venni sottoposto a procedimento
disciplinare da parte del consiglio dell'ordine degli
avvocati di Napoli, che poi archiviò il tutto.
Napoli,
26 maggio 2004
Anno
IV° dell'era berlusconiana.
Avvocato Vittorio Trupiano
Ieri
mattina l'avvocato Vittorio Trupiano ha preso ufficialmente la difesa
della Signora Maria Ciuffi, parte offesa nel
procedimento a carico di ignoti per la morte di suo figlio Marcello
Lonzi, avvenuta nel carcere livornese delle Sughere
l'11 luglio 2003. Il legale, accompagnato dalla Ciuffi, ha depositato
al p.m. Pennisi richiesta finalizzata a conoscere se è stata
mai espletata la disposta perizia tossicologica sugli organi espianti
dal cadavere del detenuto, e, in caso positivo, quale esito
la stessa abbia avuto, mentre, in caso negativo, quale sia stato
l'impedimento.
Nel corso di un'improvvisata conferenza stampa svoltasi all'interno
del Tribunale di Livorno, Trupiano ha dichiarato ai
giornalisti che, all'esito della risposta al quesito formulato,
si riserva di richiedere la riesumazione della salma.
Ha inoltre fatto presente di avere gli stessi poteri investigativi
del p.m. e che per questi motivi svolgerà indagini a 180
gradi
anche e soprattutto nell'ambito del DAP, partendo "da molto
in alto".
Trupiano ha concluso affermando che "si può sopportare,
al momento, che si indaghi contro ignoti, ma non che si ipotizzi
un
decesso dovuto a cause naturali".
12/6/2004
Il
corpo di Lonzi riesumato?
LIVORNO
- L'avvocato Vittorio Trupiano, legale di Maria Ciuffi, la madre
di Marcello Lonzi deceduto l'11 luglio 2003 alle
Sughere, ieri mattina ha depositato una richiesta per il magistrato
Roberto Pennisi titolare dell'indagine sulla morte del giovane.
L'avvocato Trupiano chiede se è stata fatta una perizia tossicologica
sugli organi asportati dal cadavere di Marcello Lonzi, in
caso positivo di conoscerne l'esito ed in caso negativo di conoscerne
le ragioni. "Posso accettare che si proceda contro
ignoti- ha spiegato Trupiano- ma non posso accettare l'ipotesi che
Marcello Lonzi sia morto per cause accidentali.
Per questo motivo se sarà necessario chiederò la riesumazione
del cadavere e fatto tutte le indagini che oggi può fare
un
avvocato. Contatterò alcune persone". Dopo l'incontro
con Maria Ciuffi, l'avvocato Trupiano è andato in carcere
per
parlare con un detenuto.
quotidiano.net
Lunedì 14 giugno 2004
Luglio 2004
Verso
l'archiviazione il caso Lonzi
La Nazione, 2 luglio 2004
Il pubblico ministero Roberto Pennisi ha avanzato la richiesta di
archiviazione del procedimento aperto contro ignoti sulla
morte di Marcello Lonzi, il giovane di 29 anni deceduto l'11 luglio
scorso nel carcere delle Sughere dove era detenuto.
Una decisione duramente contestata dalla madre del ragazzo, Maria
Ciuffi - che ha appreso la notizia telefonando alla
cancelleria del tribunale, e dal suo legale, Vittorio Trupiano.
Che presenterà immediatamente ricorso - spiega - "suggerendo
al
giudice per le indagini preliminari di delegare il pubblico ministero
alla riesumazione, che ritengo indispensabile, della salma di
Lonzi".
Nei giorni scorsi l'avvocato Trupiano aveva chiesto l'effettuazione
della perizia tossicologica sui resti di alcuni organi del
giovane deceduto conservati - come si legge nell'autopsia - esattamente
a questo scopo: "Non ho ricevuto alcuna risposta -
spiega il legale - e mi chiedo come sia possibile. Soprattutto ora
che vi è la richiesta di archiviazione mentre io attendo
ancora
l'esito della mia domanda".
"La mia battaglia - dichiara amareggiata Maria Cuffi, comincia
ora. E possono stare sicuri che non mi fermerò. Ho perso
un
figlio e niente e nessuno potrà ridarmelo, ma oggi non sono
più sola".
Sabato 10 luglio, anniversario della morte di Marcello Lonzi, dalle
15 alle 19 si terrà un presidio davanti al carcere livornese.
"Stanno arrivando tante adesioni - spiega ancora la madre -
perché non è solo per me e mio figlio che io cerco
la verità su
quanto accaduto in quella cella.
Secondo
il titolare delle indagini, il sostituto procuratore presso il Tribunale
di Livorno Roberto Pennisi, Marcello Lonzi è
morto per cause accidentali e, comunque, non è stato né
percosso, né ucciso.
Per questi motivo ha richiesto al giudice delle indagini preliminari
presso il tribunale di Livorno l'archiviazione.
Avverso tale richiesta verrà prontamente proposta opposizione
dal difensore della parte lesa Maria Ciuffi, avvocato Vittorio
Trupiano, sulla quale dovrà decidere proprio il Gip di Livorno.
Intanto, sempre nel carcere livornese, martedì scorso sì
è registrato un altro decesso, quello di Domenico Bruzzanti,
50 anni,
morto per impiccagione.
Vittorio
Trupiano
Maria
Ciuffi espone uno striscione: "Secondini, la verità
vi fa paura"
Il Tirreno, 5 luglio 2004
"Secondini, la verità vi fa paura": Maria Ciuffi,
madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto un anno fa per arresto
cardiaco nel
carcere delle Sughere a Livorno, continua la sua battaglia contro
l'archiviazione del caso, sintetizzando la sua rabbia e la sua
delusione in una scritta affidata a un lenzuolo appeso da ieri mattina
alla finestra della sua abitazione a Pisa.
Maria Ciuffi ha sempre sostenuto che il figlio sarebbe morto in
seguito a un pestaggio subito in cella, un fatto che sarebbe
dimostrato anche dalle foto che la signora ha reso visibili a tutti
attraverso Internet. Ma, a pochi giorni dal primo anniversario
della morte - Lonzi è deceduto l'11 luglio 2003 - il Pm Roberto
Pennisi ha ritenuto che non vi siano responsabili per quel
tragico evento. A fianco della signora Ciuffi, contro l'archiviazione
si batte l'avvocato Vincenzo Trupiano, che ha già
preannunciato la sua volontà di opporsi e di chiedere il
proseguimento delle indagini. "Troppe cose strane avvengono
nelle
carceri italiane - dice la donna - e in particolare in quello delle
Sughere dove alcuni giorni fa è morto un altro detenuto,
trovato
impiccato a una cintura per pantaloni. Ma si sa benissimo che in
carcere non sono permesse né cinture, né altro".
La Ciuffi ha
inviato anche una lettera al ministro Roberto Castelli chiedendo
di "aprire gli occhi".
Invito tutte le persone che conoscevano mio figlio Marcellino e
chi vuole starmi vicino a partecipare al presidio di sabato 10
luglio - ore 15 - davanti al carcere Le Sughere di Livorno ad un
anno dalla sua morte avvenuta per pestaggio.
Un grazie particolare agli amici de Il Silvestre di Pisa e del Godzilla
di Livorno che mi sono stati vicino e che mi hanno aiutato
ad organizzare il presidio.
Maria
Ciuffi
Martedì
6 luglio 2004
"Marcellino fu ucciso"
T. T.
il manifesto, 10 luglio 2004
Il giovane fu trovato morto nel carcere di Livorno.
Un anno fa, precisamente lo scorso 12 luglio, moriva al carcere
"Le Sughere" di Livorno Marcello Lonzi, livornese di 29
anni.
Fu trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione
non dettero alcun esito. I familiari furono avvertiti dodici ore
dopo il decesso. "Marcellino", così era conosciuto
in città, era detenuto per tentato furto e avrebbe dovuto
scontare altri
quattro mesi di reclusione. Gli esami autoptici indicarono in una
aritmia maligna la causa più probabile della morte. Sul volto
del giovane, il medico legale riscontrò anche tre gravi ferite,
"prodottesi con tutta probabilità simultaneamente".
La relazione di
consulenza tecnica medico-legale, predisposta dal Tribunale di Livorno,
imputò le lesioni al viso alla dinamica del decesso:
Lonzi sarebbe stato colto da malore e, cadendo, avrebbe violentemente
picchiato il volto contro un termosifone o contro lo
stipite della porta. Alla stessa origine venne ricondotta una strana
escoriazione sul torace a forma di "V", mentre altri "fatti
traumatici" furono attribuiti ai tentativi di rianimazione.
Le foto del cadavere, in circolazione anche sul web, mostrano il
viso
tumefatto e il torace segnato da profonde ferite.
Inizia ad interessarsi direttamente della vicenda la madre del giovane,
Maria Ciuffi. E la sua determinazione nella ricerca della
verità gioca un ruolo fondamentale, tanto che sulla morte
di Marcello Lonzi (né la prima né l'ultima a "Le
Sughere", molte morti
sono ancora avvolte dal mistero) nasce un caso. Fin dal primo istante,
la donna ha rigettato l'ipotesi del decesso per cause
naturali. E fin dal primo istante ha cercato di documentare le voci,
sempre più insistenti, che circolano all'interno del carcere
e
vedrebbero una diversa ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica
della morte.
Nel frattempo emergono le prime verità: si viene a sapere
che il medico di turno non era presente la notte del decesso e che
il
medico legale ha compilato due relazioni completamente diverse tra
loro. Maria Ciuffi comincia a ricevere numerose telefonate
anonime. Dall'altra parte della cornetta c'è sempre qualcuno
che, considerata la precisione nel riferire dettagli e particolari,
potrebbe essere una fonte bene informata. Le dicono che suo figlio,
durante l'isolamento, è stato ripetutamente picchiato sia
da
altri detenuti, sia dal personale penitenziario.
Si impossessa dell'inchiesta il pm livornese Roberto Pennisi. Il
magistrato prende tempo, nega i confronti e gli interrogatori.
Quindi chiede l'archiviazione del procedimento in quanto non ritiene
vi siano responsabili per quel tragico evento. L'avvocato
Vincenzo Trupiano, legale di Maria Ciuffi, chiede invece il proseguimento
delle indagini. "Nelle scorse settimane avevamo
presentato un'istanza per avere risposte sulla perizia tossicologica
- ha spiegato il legale - ma Pennisi non si è neppure degnato
di risponderci. Ora ci opporremo alla richiesta di archiviazione,
perché il magistrato deve sapere che non sarà né
lui né io a
decidere come andrà a finire questa brutta storia, bensì
un giudice che si esprimerà dopo aver preso visione degli
atti".
Due detenuti vicini di cella di Lonzi avrebbero raccontato a un
avvocato livornese che il decesso sarebbe dovuto a un
violentissimo pestaggio operato dai secondini. Ma a testimoniare
non ci andranno mai: nelle carceri l'omertà regna ancora
incontrastata.
Un lager chiamato " Le Sughere"
Verità per la morte di Marcello Lonzi
Centro sociale Godzilla, 10 luglio 2004
Nella città considerata una delle più rosse d'Italia
esiste un carcere, le Sughere, che negli anni ha assunto sempre
più le
sembianze di un lager: un non-luogo fisicamente molto vicino a noi,
ma lontanissimo quando si cerca di capire o
semplicemente di sapere cosa accade al suo interno. In questo carcere
avvengono pestaggi e torture quotidiane, i detenuti
vivono in condizioni a dir poco disastrose: si parla di celle di
3 metri in cui vivono 4 o 5 persone.
L'undici luglio dell'anno scorso alle Sughere un ragazzo, Marcello
Lonzi, è morto: era dentro per tentato furto, quattro mesi
ancora da scontare.
Il motivo della morte? Per la giustizia: suicidio o morte accidentale.
Marcellino, così lo chiamavano, è stato trovato sdraiato
davanti alla porta della sua cella, aveva ferite e lividi su tutto
il corpo,
una costola e lo sterno fratturato, una ferita in testa talmente
profonda da raggiungere il cranio. La causa della morte: arresto
cardiaco.
I familiari sono stati avvertiti più di 12 ore dopo: l'autopsia
già iniziata, la causa della morte già decisa.
La madre del ragazzo non ci sta, non serve essere un ispettore per
capire che su quella vicenda c'è qualcosa che non quadra.
Il referto medico sulla morte è stato firmato da un medico
che quella notte non era neanche nel carcere, è stato corretto
a
penna l'orario perché non corrispondente con la chiamata
al 118 (evidentemente se ne sono accorti dopo).
La causa della morte è dovuta ad una tipologia d'arresto
cardiaco: l'unica non dimostrabile scientificamente.
Quella notte nel carcere c'è stata una protesta spontanea
dei detenuti della sezione sei: cosa alquanto insolita per una morte
"apparentemente naturale". Le prove più importanti,
quelle che avrebbero potuto inchiodare i colpevoli, sono le testimonianze
dei detenuti e le foto scattate la notte stessa. Queste ultime mostrano
segni evidenti di colluttazione all'interno della cella: un
secchio spaccato, vestiti per terra, le mani di Marcello a coprirsi
il volto e le costole come a proteggersi da qualcosa, una scia
di sangue pulita alla meglio davanti alla cella, che dimostra come
il ragazzo vi sia stato trascinato successivamente. Poi il
racconto dei detenuti alla madre che parlano di un pestaggio, iniziato
già nell'ora d'aria e poi continuato in isolamento.
Ancora le testimonianze dei detenuti della cella accanto, del compagno
di cella ed infine una telefonata anonima,
probabilmente di una guardia carceraria, che conferma la nuova versione:
Marcellino è stato ammazzato!
È morto dopo un pestaggio durato delle ore, dove i secondini
hanno dato il meglio di loro, pestando un ragazzo di vent'otto
anni e poi lasciandolo morire in cella.
Ciò che ci lascia più sconcertati è che di
fronte a queste prove palesi (la maggior parte raccolte dalla madre),
di fronte a
testimonianze ufficiali, di fronte a delle incongruenze talmente
manifeste che almeno avrebbero dovuto far sorgere qualche
dubbio, per questo caso è stata fatta domanda di archiviazione
, il primo di luglio dal P.M. Roberto Pennisi. Dopo un anno
di indagini quasi inesistenti, un anno in cui quest'uomo non ha
dimostrato il minimo interesse a risolvere questo caso, di fronte
a testimonianze e prove certe, la sua decisione era già stata
pronunciata da tempo.. Noi pensiamo che la "giustizia"
non darà
mai un nome ai responsabili, come è sempre successo, da Piazza
Fontana ad oggi.
Pennisi, per chi non lo sapesse è anche il responsabile delle
due rocambolesche perquisizioni dei giorni scorsi ai danni centro
sociale Godzilla e del C.P 1921 risoltesi in un buco nell'acqua.
Dove avrà trovato mai il tempo, ci domandiamo, per risolvere
il caso Lonzi, per trovare la verità sulla morte di un ragazzo
in carcere?
Ad un anno dalla morte di Marcello, dopo la scandalosa domanda di
archiviazione del caso: partecipiamo al presidio di
sabato 10 luglio alle 15:30 davanti al carcere delle Sughere.
DIFESA, QUELLE FERITE INCOMPATIBILI CON RICOSTRUZIONE PM
(ANSA)
- LIVORNO, 23 LUG - Nel fascicolo sulla morte del detenuto livornese
Marcello Lonzi ''ci sono almeno una
ventina di fotografie, che la difesa non aveva mai visto, nelle
quali si vede il corpo del giovane con ferite profonde e del tutto
incompatibili con l' ipotesi della morte accidentale procurata dall'
infarto e dalla conseguente caduta''. Lo ha rivelato l' avvocato
Vittorio Trupiano, che assiste Maria Ciuffi, la madre di Marcello
Lonzi, il detenuto morto in carcere a Livorno l' anno scorso.
Il legale ha depositato questa mattina alla cancelleria del Gip,
Rinaldo Merani, l' opposizione alla richiesta di archiviazione dell'
indagine contro ignoti per omicidio avanzata dal pubblico ministero
Roberto Pennisi. Ora sarà il giudice per le indagini
preliminari, probabilmente a settembre, a decidere se continuare
a indagare o chiudere il caso.
Lonzi, 29 anni, morì in seguito a un infarto e secondo la
procura le cause della sua morte sarebbero state naturali, mentre
la
madre ha sempre sostenuto che il figlio era rimasto vittima di un
pestaggio da parte degli agenti della polizia penitenziaria.
''In quelle foto - ha spiegato Trupiano - si vedono sulla parte
posteriore del corpo di Marcello vistose ecchimosi provocate
dalle manganellate. Noi siamo certi che sia stato vittima di un
pestaggio prolungato e doloroso. Quel che e' certo e' che le ferite
sulle natiche, sulla parte posteriore delle gambe e sulla schiena
non sono certo compatibili con la caduta provocata dall'infarto''.
Maria Ciuffi ha poi presentato nei giorni scorsi una querela nei
confronti di una persona da identificare che avrebbe tentato di
investirla vicino alla sua abitazione, nella zona di San Giusto
a Pisa, con una 'Ford Ka' grigia metallizzata. ''In quei giorni
- ha
aggiunto la donna - sono stata sottoposta anche a prolungati pedinamenti''.
Infine, Trupiano ha manifestato l' intenzione di far
trasferire gli atti del procedimento a un' altra procura ''affinché
si faccia piena luce sulla morte di Marcello. Mi aspettavo - ha
concluso il legale - che una città dalle forti tradizioni
democratiche come Livorno facesse di tutto per chiarire una vicenda
come questa e di non trovare qui quegli atteggiamenti insabbiatori
spesso presenti in alcune procure siciliane. Se il Gip
rimetterà gli atti al Pm e chiederà un supplemento
d' indagine invocheremo il legittimo sospetto per poter trasferire
l' indagine
altrove. Non credo che la Procura di Livorno voglia davvero fare
chiarezza sulla morte di Lonzi''.
Marcello Lonzi, altre prove dell'omicidio e intimidazioni contro
la madre
Anarcotico, 24 luglio 2004
Venerdì 23 luglio 2004 la madre di Marcello Lonzi, il giovane
ucciso nel carcere delle Sughere di Livorno l'11 luglio 2003, e
il
suo avvocato Vittorio Trupiano, hanno tenuto una conferenza stampa
a Livorno per illustrare le sconcertanti novità emerse sul
caso Lonzi, a seguito delle quali la richiesta di archiviazione
presentata dal Pm Pennisi suona ancor più come un atto volontario
di insabbiamento.
Durante la conferenza sono state mostrate 13 foto che documentano
in modo inoppugnabile l'infondatezza della versione sulle
cause della morte di Marcello diffusa dalle autorità. Secondo
l'allora responsabile del carcere, il tristemente famoso difensore
dei GOM, Cacurri, Marcello colto da infarto sarebbe caduto contro
le sbarre procurandosi una serie di ferite e lacerazioni.
L'avvocato Trupiano, 'esperto' di barbarie carcerarie per i numerosi
casi di violenza sui detenuti seguiti, ha dichiarato di non
essersi mai imbattuto in un caso di brutalità così
efferata e sconcertante.
In una foto scattata in obitorio al cadavere di Marcello riverso
su un fianco, sono visibili 20 segni di vergate (presumibilmente
prodotte con manganelli) dislocate dal collo alle ginocchia.
Trupiano sottolinea la presenza su queste aree del corpo di lacerazioni
e tumefazioni verosimilmente prodottesi durante una
violenta colluttazione, che la presenza di oggetti rotti e sparsi
nella cella tenderebbe ad avvalorare.
A riprova dell'esistenza di emorragie interne non segnalate dal
medico legale, la foto n°4 mostra che il lenzuolo disposto al
disotto del corpo di Marcello era completamente sporco di sangue.
La morte del giovane sarebbe stata provocata da un colpo molto profondo
ricevuto al cranio.
Durante la conferenza sono stati inoltre denunciati tentativi di
intimidazione portati avanti da 'ignoti' contro Maria Ciuffi, la
madre di Marcello, che ha recentemente subito un tentato investimento
ed è stata soggetta a strani pedinamenti.
Verranno depositati entro il 31 luglio nella cancelleria del g.i.p.
i motivi a sostegno dell'opposizione avverso la richiesta di
archiviazione del p.m. Roberto Pennisi.
Nessun dubbio sulla causa del decesso: Marcello Lonzi è stato
picchiato a lungo e con inaudita violenza con manganellate
infertegli a partire dal collo fino alle ginocchia.
Il dolore e la sofferenza che ne è seguita hanno provocato
l'arresto cardio-circolatorio, sicchè hanno ben pensato di
simulare la
disgrazia della caduta sbattendolo violentemente, già morto,
con la testa verosimilmente dentro le sbarre della propria cella.
Una lunga agonia ha preceduto la morte, a queste conclusioni è
giunto il difensore avvocato Vittorio Trupiano che le illustrerà
dettagliatamente nei motivi d'opposizione.
Trupiano ha pure stigmatizzato come il p.m. abbia chiesto l'archiviazione
pure dell'ipotesi di reato dell'omissione di soccorso e
pur in presenza di un "vuoto" di tempo davvero ingiustificabile.
Vittorio
Trupiano
Martedì
27 luglio 2004
Capita che vengono pubblicati due articoli in cui chi li firma non
si limita a fare la parte del notaio, tipo il p.m. dice questo,
l'avvocato dice il contrario, ed è finita quì.
No, fare il giornalista implica il diritto di operare commenti,
recenzioni, in buona sostanza, prendere posizione,ed è quanto
hanno fatto T. T. del "Il Manifesto" e D. F. del "Il
Tirreno".
Risultato? LONZI E' STATO AMMAZZATO, ED ANCHE IN MANIERA BRUTALE,
ERA ORA CHE QUALCUNO
LO SCRIVESSE!
Vittorio
Trupiano
Due
strane morti archiviate, un solo pm
I casi Romeo a Reggio Calabria e Lonzi a Livorno. Per quest'ultimo
spuntano foto inedite
Francesco
Romeo, un 28enne di oltre cento chili per un metro e 85 di altezza,
muore il 7 ottobre 1997 nel carcere di Reggio
Calabria. Un paio di settimane prima, nell'ultimo colloquio col
fratello, aveva riferito di essere oggetto di pesanti pressioni
volte
a farlo "collaborare". Dagli atti giudiziari emerge che
il 29 settembre Romeo sarebbe stato aggredito da almeno cinque persone
e il suo corpo trasportato sotto un muro per simulare un tentativo
di evasione. Una maldestra messinscena smascherata dalla
consulenza medico-legale, che ha dichiarato l'assoluta incompatibilità
delle lesioni con la precipitazione da un'altezza di
neanche quattro metri. La causa diretta della morte sarebbe infatti
un violento pestaggio a colpi di bastone o manganello che
avrebbe provocato la frattura del cranio. Le lesioni alle braccia
avrebbero evidenziato un tentativo di protezione del volto;
quelle allo scroto e al coccige una tortura inferta prima dei colpi
mortali. Un caso per molti versi simile a quello di Marcello
Lonzi, il giovane livornese deceduto nel carcere Le Sughere per
cause ancora da chiarire. Notizia di ieri è che l'avvocato
che
assiste la madre di Lonzi è entrato in possesso di una ventina
di fotografie per lui inedite, allegate al fascicolo relativo alla
morte, nelle quali si vedono la schiena e i glutei del giovane segnati
da profonde ferite, oggettivamente incompatibili con
l'ipotesi ufficiale che parla di morte accidentale procurata da
un infarto e dalla conseguente caduta faccia a terra.
Ma torniamo al caso Romeo. La Corte d'Appello di Reggio Calabria,
il 6 marzo 2003, ha confermato la condanna nei
confronti del comandante e di un agente della Polizia penitenziaria
del carcere reggino, ma con una sostanziale modifica del
titolo di reato. Il primo è infatti passato da concorso omissivo
doloso (è al corrente di quanto accade, ha l'obbligo di intervenire
ma non interviene) ad agevolazione colposa (non è al corrente
di quanto accade ma organizza il servizio in modo tale da
agevolare inconsapevolmente gli autori dell'omicidio); il secondo
da favoreggiamento a false dichiarazioni al pm.
Il processo, celebrato con rito abbreviato, ha portato all'assoluzione
di 19 imputati su 21 perché le dichiarazioni degli indagati
subito dopo il linciaggio furono rilasciate in assenza dei propri
legali. Resta misterioso il motivo per cui il pm li abbia iscritti
nel
registro delle notizie di reato il giorno successivo al rinvenimento
del corpo, ascoltandoli successivamente in qualità di persone
informate sui fatti. Ci vorranno un anno e otto mesi perché
siano ascoltati come imputati (e tutti, tranne uno, si avvarranno
della
facoltà di non rispondere). Nessuno ha poi voluto interrogare
i compagni di cella e dell'ora d'aria. Questi ultimi in particolare
avrebbero potuto riferire se Romeo alle 9 del mattino sia mai realmente
entrato nel cortile esterno (in tre non lo ricordano
presente). E' stata inoltre accertata, all'interno del carcere,
la presenza dei Gom, i Gruppi operativi mobili. Ad alimentare
ulteriori sospetti sono poi una serie di domande che non hanno trovato
risposta: perché il comandante, proprio quella mattina,
priva di adeguata custodia alcuni punti chiave del carcere? Perché
sposta cinque uomini per sostituire un solo agente in
malattia? Perché modifica le proprie mansioni alle 9 dopo
la conferenza di servizio delle 7,50? Perché affida il controllo
di due
posti chiave (primo cancello e garitta cortile passeggio) a un solo
agente? Perché questi non fa scattare l'allarme che avrebbe
permesso la registrazione automatica dei filmati a circuito chiuso?
Perché l'agente preposta ai monitor della sala regia non
vede
niente sino alle 10? E perché nessun agente, dalle 9 alle
10, vuole risultare al proprio posto? Il pm Roberto Pennisi, lo
stesso
che ha chiesto l'archiviazione del caso Lonzi, non ha saputo dare
risposta a nessuna di queste domande, limitandosi a chiedere
l'assoluzione per i vizi formali riportati in precedenza.
T.
T. Il Manifesto
"Marcello
è stato ucciso: queste fotografie lo dimostrano"
Maria Ciuffi si oppone alla richiesta di archiviazione della Procura
sulla morte del figlio
LIVORNO.
"Vogliamo la verità su Marcello": lo striscione
bianco e rosso, ben visibile, è stato appeso per tutta la
mattina di
ieri sull'esterno della scala del palazzo comunale. All'interno
Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi deceduto un anno fa, a
soli 29 anni, all'interno delle Sughere dove scontava una pena di
quattro mesi. E il suo avvocato, Vittorio Trupiano, arrivato a
Livorno per presentare l'opposizione alla richiesta di archiviazione
- avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi - del
fascicolo a carico di ignoti.
Sul lato opposto della strada, un presidio per ricordare la morte
in carcere di Marcello. E un opuscolo, curato da un gruppo
di giovani pisani, contenente la testimonianza di un detenuto sulla
situazione delle Sughere e le foto agghiaccianti del cadavere
del ragazzo deceduto nel luglio scorso.
Proprio le foto di Marcello sono al centro della richiesta di un
supplemento di indagini che l'opposizione all'archiviazione porta
con sè. Alle immagini del cadavere già note si sono
aggiunte quelle contenute nelle carte del pubblico ministero. Maria
Ciuffi,
ieri mattina, ha avuto modo di vederle e qualcuno, in tribunale,
si è preoccupato che la signora non si sentisse male.
"In quelle foto - spiega l'avvocato Trupiano - il cadavere
di Marcello è girato di schiena. E, sulla schiena, ci sono
i segni di vere
e proprie vergate, striature viola sulla pelle gonfia e rialzata,
dal collo fin sotto i glutei. Ecchimosi che possono essere state
fatte
solo con un bastone, un manganello. Certo, non sono i segni di una
caduta".
Perfino nelle copie in bianco e nero la schiena di Marcello Lonzi
appare segnata: una striscia bianca, proprio in mezzo al collo,
e poi giù fino alla cosce, con un parallelismo quasi geometrico.
"Nonostante queste foto - ha detto ancora l'avvocato Trupiano
ai giornalisti convocati all'uscita dal tribunale - si preferisce
archiviare la morte di Marcello Lonzi, parlando di morte naturale
o,
addirittura, di suicidio. Da una città con una tradizione
democratica come quella di Livorno mi aspettavo davvero ben altro".
L'udienza camerale per la decisione sulla richiesta del Pm si terrà,
presumibilmente, ai primi di settembre. "Si procede di solito
a porte chiuse - spiega l'avvocato della madre di Marcello - ma
io chiederò l'autorizzazione affinchè la discussione
sia fatta in
presenza del pubblico". Se l'opposizione sarà accolta
e gli atti torneranno al Pm Pennisi - ha concluso Trupiano - "non
escludo
di invocare, nei suoi confronti, il legittimo sospetto per poter
trasferire l'indagine".
Nel corso dell'incontro con i giornalisti, è stata resa nota
anche la denuncia contro ignoti presentata da Maria Ciuffi alla
Procura di Pisa: la madre di Marcello scrive, circostanziando luogo
e ora, di pedinamenti a suo carico e di un'auto che
avrebbe tentato di spaventarla, se non addirittura investirla.
D.
F. Il Tirreno
Agosto
2004
Napoli,
5 agosto 2004
In
pari data ho provveduto ad inoltrare ricorso alla Corte Europea
per la difesa dei diritti dell'uomo, con sede in Strasburgo,
nonchè alla Commissione Anti-Tortura in seno alla stessa,
copia di tutto il fascicolo pendente presso il Tribunale di Livorno,
lamentando la lesione dei fondamentali diritti dell'uomo, quali
quello alla vita e ad un trattamento non umiliante e degradante.
Ho anche denunciato all'Organo di Giustizia Europea anche tutta
la lunga serie di morti e di presunti suicidi, precedente e
successiva a quella di Marcello Lonzi, verificatisi nel carcere
livornese delle Sughere.
A breve, quindi, farò confluire nel fascicolo livornese anche
gli relativi all'istruttoria della Corte Europea.
Avvocato
Vittorio Trupiano
Due delle venti fotografie del cadavere di Marcello Lonzi allegate
alla consulenza medico-legale presentata dall'avvocato Vittorio
Trupiano.
CASSA ANARCHICA DI SOLIDARIETA' ANTICARCERARIA
La cassa di
solidarietà, per i detenuti rivoluzionari e non solo, è
volta prima di tutto a creare una rete di
§ contatti tra l'interno e l'esterno del carcere, per spezzare
l'isolamento in cui viene costretto un detenuto
e per svilupparsi come riferimento, non solo economico, ma anche
controinformativo e di lotta.
La Cassa vuole essere un supporto di solidarietà contro tutte
le carceri, con i compagni anarchici,
rivoluzionari in genere, ribelli sociali e con tutte quelle individualità,
sequestrate nei lager di Stato, che,
pur non avendo particolari caratterizzazioni politiche, maturino
proposte e si facciano partecipi della
prospettiva di sviluppare insieme, nella varietà che caratterizza
ognuno/a, percorsi di lotta comuni.
Per ulteriori
informazioni, copie o altro contattare
- Cassa Anarchica di Solidarietà Anticarceraria
via dei messapi 55, 04100 LATINA
e-mail: agitazione@hotmail.com
2 EURO BENEFIT CASSA ANARCHICA DI SOLIDARIETA' ANTICARCERARIA
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