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             L'11 
              luglio 2003, all'interno del carcere "Le Sughere" di Livorno, 
              viene brutalmente ucciso a colpi di percosse dalla polizia  
              penitenziaria un giovane di 29 anni di nome Marcello Lonzi. Il suo 
              caso non è altro che l'ennesima lampante testimonianza di 
               
              come l'istituzione carceraria sia uno dei mezzi più violenti 
              che uno Stato ha per annientare chiunque esca dai ranghi della  
              sottomissione e del consenso al suo ordine costituito. Soprattutto, 
              la storia di Marcello è un esempio evidente dell'ipocrisia 
              e  
              delle contraddizioni che si celano dietro la facciata garantista 
              di ogni Stato democratico. Infatti, ogni democrazia propugna ad 
               
              alta voce di aborrire ogni tipo di violenza e di prevaricazione 
              e di difendere i diritti umani di ogni cittadino, pur non potendo 
              fare 
              a meno di mantenere la propria esistenza con mezzi coercitivi che 
              risultano essere violenti di per sé (come il carcere, la 
              polizia,  
              gli eserciti
) e utili soltanto alla sussistenza del dominio 
              e di chi lo gestisce. Di fronte a fatti come questo crolla ogni 
              pretesa di  
              trasparenza e di coerenza da parte della "nostra bella democrazia" 
              e viene fuori, in tutto il suo marciume, la sua vera natura fatta 
              di oscurantismo e di morte. Chi crede che certi episodi succedano 
              esclusivamente in altre parti del mondo e si sente protetto,  
              tutelato, al sicuro immerso nella tranquillità apparente 
              di questa società, tra le sue merci e le sue icone, non sa 
              quindi di aver  
              preso un grosso abbaglio. 
              Quella che segue è una raccolta di testimonianze, articoli 
              di giornale, comunicati, immagini e altri documenti riguardanti 
              la storia  
              di Marcello dalla sua morte fino ad oggi.  
               
              Latina, Agosto 2004.  
            
            MARCELLO 
              LONZI UN GIOVANE LIVORNESE COLPITO A MORTE DALLO STATO. 
              PER NON DIMENTICARLO... 
               
              Marcello Lonzi è stato ucciso l'11 luglio del 2003. L'amministrazione 
              penitenziaria dice che è morto d'infarto. In carcere non 
               
              c'era mai stato, doveva scontare poco più di quattro mesi 
              in quanto la giustizia lo condannò per tentato furto. Marcellino, 
               
              conosciuto in tutta Livorno, aveva 29 anni quando è stato 
              ammazzato dai secondini. Tutti i detenuti della 6° sezione del 
              carcere  
              sono a conoscenza di questo fatto mentre l'autopsia eseguita dal 
              medico legale Bassi Luciani ha stabilito clamorosamente che le 
              cause della morte sono state naturali e dovute ad un infarto.  
              Tanto per iniziare: perché i familiari sono stati avvertiti 
              dodici ore dopo la morte? E perché lo hanno tenuto tanto 
              tempo  
              all'interno del carcere?  
              Perché se è morto d'infarto hanno spostato il corpo 
              nel corridoio? 
              Le foto dell'autopsia smentiscono le menzogne del medico legale 
              Bassi e in maniera oggettiva mostrano un corpo che ha perso  
              molto sangue ed ha subito diversi colpi riportando ecchimosi sulla 
              schiena, ferite sul volto, sulla testa e in particolare una  
              profonda fino all'osso: le guardie gli potrebbero aver sbattuto 
              la testa sull'inferriata. Si vedono il sangue sul pavimento,  
              nonostante le pulizie del penitenziario per occultare la verità. 
               
              Chi le ha provocate?  
              Coloro che difendono il potere e la tortura hanno avuto il coraggio 
              di dire che sono state causate dalla caduta di Marcello  
              contro le grate della cella al momento dell'infarto. Aguzzini! 
              I signori medici, complici degli assassini, hanno prelevato alcuni 
              organi vitali e dei tessuti per sottoporli ad esami tossicologici, 
              esami che dovevano essere eseguiti nell'arco di sei mesi perché 
              poi i frammenti non sarebbero più stati buoni, ma che non 
              sono  
              mai stati eseguiti; questi organi si trovano ancora a medicina legale 
              a Pisa. Allora perché sono stati prelevati? 
              L'autopsia è stata eseguita senza avvertire nessuno dei familiari 
              per evitare la nomina di un consulente di parte. 
              Il signor Bassi è lo stesso medico che nel mese di settembre 
              dell'anno scorso verbalizzò l'ennesima "morte d'infarto" 
              per coprire 
              la verità su di un trentenne, detenuto e morto nel carcere 
              di Pisa perché portato al soffocamento, rinchiuso in isolamento 
              e senza 
              nebulizzatore; dopo una crisi asmatica e cinque ore di agonia, ad 
              aprirgli la cella sono stati gli stessi che lo hanno ammazzato! 
              La madre di Marcello, Maria Ciuffi, non ha mai creduto alla versione 
              "ufficiale" delle istituzioni stilata su suo figlio; due 
              giorni  
              dopo il decesso ha visto il corpo che perdeva ancora sangue e sporcava 
              la camicia come se ci fosse una emorragia interna.  
              La denuncia querela della madre scattò subito contro i secondini 
              della 6° sezione che si trovavano in servizio dalla mattina 
              fino  
              all'ora della morte.  
              Un detenuto ha detto che dopo il pestaggio i soccorsi sono arrivati 
              in ritardo. L'omissione di soccorso è visibile anche dagli 
               
              orari sui verbali della pubblica assistenza, che sono stati manomessi 
              e corretti più volte. 
              Le foto confermano il pestaggio e danno un'altra versione dei fatti 
              rispetto a quella del dottor Bassi, tanto che, dopo alcuni  
              dubbi di Maria, ripetutamente evidenziati sulla stampa tramite delle 
              dichiarazioni, la procura di Livorno non ha potuto fare a  
              meno di aprire un indagine contro ignoti, con il reato d'omicidio 
              e mancato soccorso. Indagine conclusa pochi giorni fa dal  
              sostituto procuratore Pennisi che inizialmente ha preso tempo, ha 
              negato i confronti e gli interrogatori ed infine il 2 luglio ha 
               
              iniziato la procedura d'archiviazione per "suicidio o morte 
              accidentale". 
              Se leggiamo gli articoli che sono usciti su questo argomento, possiamo 
              notare che i giornalisti hanno trattato questa vicenda 
              con le mani di velluto, come se la verità scoperta grazie 
              all'impegno della madre fosse un'opinione tutta sua. Eppure è 
              risaputo 
              che molte persone detenute vengono torturate e uccise per mano dei 
              secondini e il carcere è una struttura di morte e  
              annientamento delle persone. 
              Nelle ultime settimane abbiamo assistito proprio a questo. Tre detenuti 
              ammazzati nel carcere di "Sollicciano", una persona  
              morta nel lager "Le Sughere" e, secondo quello che viene 
              riportato da "Il Tirreno", questo detenuto si sarebbe 
              impiccato con  
              una cintola, quando le cintole e le stringhe vengono tutte ritirate 
              al momento del sequestro nel carcere e riconsegnate all'uscita. 
               
              La mancanza di libertà propria dell'attuale società 
              democratica e estremizzata con la tortura all'intero di carcere, 
              con la  
              privazione dell'intimità e con la tremenda sensazione di 
              essere alla mercé di gente senza scrupoli, un domani potrebbe 
              essere  
              solo un brutto sogno.  
              Nessuno di noi decide le regole di questa società, secondo 
              quale logica assurda dovremmo continuare a rispettare la legge, 
               
              cioè il volere degli oppressori? 
              La solidarietà allora va a tutti/e coloro che subiscono la 
              repressione dello Stato e che sono rinchiusi e isolati nelle galere. 
               
              Su questo foglio non troverete alcune parole che legittimano queste 
              strutture di morte, ma una ferma condanna verso chi le  
              mantiene in piedi, tanto meno troverete riferimenti a diritti o 
              a porcherie proprie del linguaggio giuridico che illudono le persone 
              e proteggono il potere. Solo con percorsi diversi da quelli affini 
              alla legge e lontani dagli schieramenti verticali delle istituzioni, 
               
              possiamo illuminare un sentiero chiaro e visibile dal basso, associandosi 
              tra i senza potere, per abbattere la prigionia voluta da  
              quella casta di mostri che vuole continuamente comandare, sfruttare 
              e dichiarare guerra ai popoli, avvelenare la natura e  
              distruggere la vita degli esseri viventi. 
              Pierpaolo D'Andria, direttore del carcere: "il decesso è 
              avvenuto alle 19,40, Lonzi era in cella con un altro detenuto che 
              in quel 
              momento dormiva. Ma si è svegliato e l'ha visto per terra. 
              Ha chiesto aiuto ed i soccorsi sono scattati subito. È intervenuto 
              il  
              nostro medico che ha iniziato le pratiche di rianimazione." 
              INTERVISTA -TESTIMONIANZA DI UNA PERSONA DETENUTA AL CARCERE "LE 
              SUGHERE" DI LIVORNO. 
              Domanda - Quanto tempo sei stato nel carcere di Livorno? 
              Risposta - Attualmente un mese e mezzo, in totale cinque anni. 
              D - Ci vuoi raccontare qual è la realtà nelle celle 
              di questo carcere? 
              R - La realtà della cella è invivibile
 le celle 
              sono di tre metri e dentro ognuna ci sono 4 o 5 detenuti, non si 
              resiste
 
              D - C'è anche un bagno? 
              R - Sì, c'è, ma è impossibile entrarci perché 
              è sporco. 
              D - Quindi c'è anche un problema di sporcizia
 
              R - Sì. 
              D - Cosa fate all'interno di queste celle così piccole? 
              R - Niente
 ognuno sta nel suo letto, si addormenta o guarda 
              la tv. Sennò c'è l' "ora d'aria" o una saletta 
              dove andiamo a  
              giocare a carte. Basta. 
              D - Una delle realtà che più ci ha colpiti, anche 
              alla luce del caso di Marcello Lonzi, è il regime di disciplina 
              all'interno del  
              carcere livornese
 
              R - Sì
 
              D - Qual è l'atteggiamento delle guardie nei confronti dei 
              detenuti? 
              R - La Polizia penitenziaria a Livorno comanda troppo, fa ai detenuti 
              quello che vuole. Se qualcuno chiede qualcosa alle  
              guardie, come ad esempio una "spesa anticipata" o dei 
              fogli per compilare le "domandine", assumono un atteggiamento 
              alterato 
              e, a seconda di come gli viene risposto, il detenuto viene immobilizzato 
              con le braccia rigirate dietro la schiena, portato giù  
              all'isolamento, e qui isolato, o pestato, o rinchiuso nella "cella 
              liscia". 
              D - La Polizia penitenziaria ha quindi un atteggiamento molto duro 
              nei confronti dei detenuti? 
              R - Sì, nei confronti dei detenuti si. 
              D - Tu sei stato nella cella d'isolamento delle "Sughere"? 
              R - Sì, sono stato nella "cella liscia". 
              D - E cosa è successo? 
              R - Mi hanno preso perché, giunto da un altro carcere, avevo 
              chiesto una "spesa anticipata". Sono venuti a muso duro 
              davanti 
              alla cella e mi hanno detto: "Se non stai zitto ti si prende 
              e ti si attacca al muro". Siccome io non sono una persona che 
              si 
              zittisce così, gli ho risposto a tono e così sono 
              tornati in 5, mi hanno preso e portato giù alla "cella 
              liscia", spogliato in mutande,  
              e tenuto così per 4 giorni, con solo il materasso. 
              D - Quindi tu sei stato tutti questi giorni nudo, in mutande, in 
              una cella liscia che non ha nulla, solo il materasso? 
              R - Sì, solamente con un materasso in terra. 
              D - Cosa hai provato? 
              R - Ci si sente proprio a terra. Oltretutto viene chiuso sia il 
              cancello, sia il blindato, e non puoi chiamare neanche le guardie, 
               
              perché se le chiami entrano dentro e ti riempiono di botte. 
              Non puoi fare nulla, questo te lo dicono appena entri con minacce 
               
              dirette, non puoi aprire nemmeno la bocca. 
              D - Sei stato picchiato durante l'isolamento? 
              R - Io sì. 
              D - Vuoi raccontarci cos'è successo? 
              R - Nella "cella liscia" mi hanno picchiato ed io ho risposto, 
              così sono venuti in 6 o 7 e non ho più potuto far 
              nulla, mi hanno  
              spaccato la faccia. Quando ti picchiano puoi pure rispondere, ma 
              al massimo puoi colpirne uno, spintonarne un altro e poi sei 
              finito, ti accerchiano e ti seppelliscono di cazzotti e pedate, 
              fino ad ammazzarti. Io mi sono rivoltato e gliel'ho detto: tanto 
              vi  
              prendo fuori quando siete "in borghese". 
              D - Sei stato picchiato a mani nude? 
              R - Loro avevano i guanti, guanti e scarponi con la punta in ferro 
              che fa molto male. 
              D - Cosa si prova quando sei in isolamento e ti entrano 6 guardie 
              dentro per picchiarti? 
              R - Uno se ne accorge subito, perché quando vengono a picchiarti 
              chiudono i cancelli dietro e intorno a sé, cancelli e blindati. 
               
              Se il tuo rimane aperto, stai tranquillo che prima o poi arrivano 
              6 o 7 guardie a picchiarti. A quel punto cosa fai, ti metti in un 
               
              angolo, o in fondo alla parete, e sai già a cosa andrai incontro. 
              Io mi metto in fondo, in un angolo, e se ne prendo uno bene,  
              sennò me le piglio tutte io. 
              D - Ci sono altre persone nel carcere di Livorno che hanno subito 
              lo stesso trattamento? 
              R - Sì, ne ho viste, portate via e anche picchiate nel corridoio. 
              Ho visto detenuti prenderne da 4 o 5 guardie, anche davanti a  
              tutti. 
              D - Hai visto rientrare qualcuno dalla cella d'isolamento? 
              R - Sì, avevano la faccia rotta, gli mancavano i denti. 
              D - Ultimamente c'è un incremento della violenza nei confronti 
              delle persone  
              detenute o no? 
              R - Sì, c'è un incremento. Forse dipende dal fatto 
              che ci sono troppi detenuti o perché il carcere cade a pezzi, 
              le sezioni  
              cadono a pezzi, in una cella dormono in 6 o 7, mentre prima ci dormivano 
              in 2. Aumentano i detenuti e aumentano i pestaggi. 
              Questa è una testimonianza sulla realtà del carcere 
              di Livorno, dove è morto Marcello Lonzi, di 29 anni, morto 
              dopo essere  
              stato messo in isolamento. Marcello è morto in una realtà 
              di violenza quotidiana, di violenza come abitudine e prassi. 
              anarchici e anarchiche, via del cuore 1 PISA, 7 luglio 2004 
              Rassegna stampa 2003 
              Detenuto morto a Livorno, madre lancia appello a Ciampi 
              Ansa, 2 ottobre 2003 
              Un aiuto per impedire che "prevalga la volontà di nascondere 
              la verità": è quanto chiede, in una lettera a 
              Ciampi, la madre 
              di un detenuto morto a Livorno. L'autopsia compiuta sul corpo di 
              Marcello Lonzi, 29 anni, in carcere per scontare una pena 
              a 8 mesi di reclusione per tentato furto e in attesa di usufruire 
              dell'indultino, aveva attribuito la morte a un infarto fulminante. 
               
              Ma la madre, Maria Ciuffi, è convinta che il figlio sia stato 
              ucciso in carcere. 
              Nuovo esposto della madre del giovane morto nel carcere di Livorno 
              La Nazione, 18 novembre 2003 
              Prosegue la battaglia di Maria Ciuffi, che abita nella nostra città, 
              la madre di Marcello Lonzi, il giovane morto a 29 anni l'11  
              luglio mentre era detenuto alle Sughere. La morte secondo l'autopsia, 
              disposta dal Pm Roberto Pennisi, è avvenuta per cause 
              naturali. Ma la donna ritiene che la morte sia conseguente ad pestaggio. 
              Per questo ha presentato una denuncia e il pubblico  
              ministero Roberto Pennisi ha aperto un fascicolo contro ignoti per 
              omicidio. 
              Nei giorni scorsi la donna dopo aver parlato ancora con il magistrato 
              ha deciso con il suo legale di fiducia, l'avvocato Fabrizio 
              Bianchi di Pisa, di presentare alla sezione di polizia giudiziaria 
              della Procura un altro esposto contro gli agenti di polizia  
              penitenziaria in servizio l'11 luglio dalle 14 nel settore dove 
              c'era suo figlio. Maria Ciuffi non si rassegna alla morte in cella 
              del  
              figlio e vuole andare fino in fondo, perché ritiene che il 
              giovane sia stato ucciso. Per questo la madre di Marcello Lonzi 
              ha 
              anche scritto un'accorata lettera al Presidente della Repubblica 
              Carlo Azeglio Ciampi. 
              Nel documento la signora Ciuffi spiegava la vicenda di suo figlio 
              e del suo tragico epilogo, per lei ancora inspiegabile.  
              "Adesso ho paura - affermava la donna -. Paura che su questa 
              vicenda non venga mai fatta chiarezza, ho paura che  
              prevalga la volontà di nascondere la verità, di nascondere 
              uno scandalo. Quelle che umilmente Le chiedo è di aiutarmi 
              a  
              impedire che accada tutto questo, consentendo a una madre che ha 
              perso il suo unico figlio in un carcere dello Stato  
              italiano di sapere come ciò sia potuto accadere, come tutto 
              ciò sia stato possibile. 
              Marcello Lonzi: verità per la morte di un detenuto 
              Luigi Manconi 
              L'Unità, 25 novembre 2003 
              Marcello Lonzi morto tra le 19.50 e le 20.14 dell'11 luglio 2003, 
              nel carcere delle Sughere di Livorno. Era detenuto per 
              tentato furto (4 mesi di reclusione ancora da scontare). È 
              stato trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione 
               
              non hanno dato alcun esito. I familiari sono stati avvertiti 12 
              ore dopo il decesso. Nel frattempo, sul corpo di Marcello Lonzi, 
               
              erano stati effettuati i primi esami autoptici. L'esito di queste 
              analisi ha indicato in un'aritmia maligna la causa più probabile 
               
              della morte. Ma ci sono troppe cose che non tornano, in questa vicenda. 
              Sul volto del giovane l'autopsia ha riscontrato tre 
              gravi ferite, prodottesi con tutta probabilità "simultaneamente". 
              Sul suo torace, una strana escoriazione a forma di "V". 
              La relazione di consulenza tecnica medico legale, predisposta dal 
               
              Tribunale di Livorno, imputa le ferite al viso alla dinamica del 
              decesso: Marcello Lonzi sarebbe stato colto da malore e,  
              cadendo, avrebbe violentemente picchiato il volto contro un termosifone 
              o contro lo stipite della porta. Alla stessa origine 
              viene ricondotta l'escoriazione sul torace, mentre altri "fatti 
              traumatici" vengono attribuiti ai tentativi di rianimazione 
              (come 
              la frattura della seconda costola di sinistra in sede iuxta - cartilaginea). 
              Tutto regolare, dunque; tutto spiegabile, in apparenza, secondo 
              le indagini sin qui svolte. Ma, in verità, qualcosa non torna. 
               
              Sulla morte di Marcello Lonzi nasce un caso, nel quale è 
              la determinazione della madre, Maria Ciuffi, a giocare un ruolo 
               
              fondamentale. 
              Fin dal primo istante, la donna non ha creduto all'ipotesi della 
              morte per esclusive cause naturali; e fin dal primo istante ha  
              cercato di documentare le voci, sempre più insistenti, che 
              circolano all'interno del carcere, e che adombrano un'altra  
              ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica della morte. 
              Lonzi era un ragazzo sano e di costituzione robusta; le uniche alterazioni 
              riscontrate nella sua fisiologia e giudicate, 
              dall'autopsia del tribunale, "relativamente modeste", 
              sono a carico dell'apparato cardiaco (riduzione del calibro di un 
              ramo  
              coronario); ma non sono state rilevate occlusioni che potessero 
              portare all'infarto del miocardio. 
              L'ipertrofia ventricolare è, ad oggi, la causa di morte più 
              accreditata, semplicemente perché non lascia tracce nell'organismo; 
               
              semplicemente perché, non potendosi dimostrare alcuna altra 
              patologia, se ne ipotizza una che non ha bisogno di "prove". 
               
              Quanto alle ferite rinvenute sul cadavere, è la loro entità 
              a sollevare dubbi. Una raggiunge l'osso sottostante, un'altra penetra 
               
              profondamente fino a comunicare con il vestibolo. Per queste ragioni, 
              l'avvocato della famiglia chiede se sia "compatibile la  
              gravità e profondità di simili lesioni con una mera 
              caduta da fermo"; e se non sia necessaria una ulteriore spinta 
              o pressione per 
              produrre tali conseguenze". 
              Nel frattempo, Maria Ciuffi ha ricevuto numerose telefonate anonime, 
              da qualcuno che - considerata la precisione nel riferire  
              dettagli e particolari - potrebbe essere una fonte bene informata. 
              Le è stato detto che suo figlio, durante l'isolamento, è 
              stato ripetutamente picchiato; e le è stato riferito di scontri 
              con altri  
              detenuti e con il personale penitenziario. È probabile che 
              Marcello Lonzi non sia stato ucciso dai traumi conseguenti a questi 
               
              fatti, se questi fatti si sono effettivamente verificati. Ma la 
              stessa aritmia maligna sin qui ipotizzata potrebbe essere insorta 
              - è  
              un'ipotesi medica plausibile - come reazione alle eventuali percosse. 
              Maria Ciuffi ha scritto al Ministro della Giustizia, si è 
              rivolta ad alcuni parlamentari e allo stesso capo dello Stato: vuole 
              la 
              verità. 
              E che sia convincente. C'è un giudice a Livorno? (C'è: 
              e ha aperto un fascicolo). C'è un parlamentare che voglia 
              andare fino in 
              fondo? 
              Maggio - Giugno 2004 
            Per 
              salvare ciò che è rimasto del 35nne Gioacchino Fontanella 
              di S. Antonio Abate (NA). 
              Non ricevo più sue notizie e nemmeno i familiari. 
              Come ricorderete è stato relegato in totale isolamento nelle 
              celle sotterranee del carcere di Cuneo, reo di aver, appunto,  
              denunciato all'autorità giudiziaria l'uso indiscriminato 
              di tali celle da basso medioevo. 
              E' oramai in sciopero della fame e della sete dal 10 maggio. 
              Prego chiunque ne sappia qualcosa di farsi vivo, magari anche qualche 
              detenuto,visto e considerato che è finito là proprio 
              per  
              protestare per quello che capitava agli altri. 
              Ricordo che quando mi curavo di Surace anche un suo sbadiglio faceva 
              notizia e si mobilitavano tutti i mezzi d'informazione. 
              Fontanella non fa notizia, allora cerchiamo di farla noi, cerchiamo 
              di farla noi prima che ci arrivi un altro comunicato di morte  
              per infarto come nel caso di Marcello Lonzi. 
              Ricordo che quando nel 98 mi recavo in questo carcere a far colloquio 
              con i detenuti al 41 bis, dovevo stare curvo su me  
              stesso perché le panche dove sedevano gli avvocati erano 
              messe così vicine al divisorio col detenuto che non avevo 
              la  
              possibilità di stendere le gambe, insomma, l'idea esatta 
              che me ne feci era quella di un "pollaio", tanto erano 
              spesse le griglie  
              delle celle per i colloqui e la posizione che dovevano assumere 
              avvocati e detenuti. 
              A Novara non si sta meglio, dato che i Gom lì sono molto 
              addestrati ... 
              Ricordo pure che nel 99, proprio per aver denunciato le condizioni 
              di vita dei detenuti al 41 bis in quel di Cuneo, su iniziativa  
              della locale procura della repubblica venni sottoposto a procedimento 
              disciplinare da parte del consiglio dell'ordine degli  
              avvocati di Napoli, che poi archiviò il tutto. 
            Napoli, 
              26 maggio 2004 
            Anno 
              IV° dell'era berlusconiana. 
              Avvocato Vittorio Trupiano 
            Ieri 
              mattina l'avvocato Vittorio Trupiano ha preso ufficialmente la difesa 
              della Signora Maria Ciuffi, parte offesa nel  
              procedimento a carico di ignoti per la morte di suo figlio Marcello 
              Lonzi, avvenuta nel carcere livornese delle Sughere  
              l'11 luglio 2003. Il legale, accompagnato dalla Ciuffi, ha depositato 
              al p.m. Pennisi richiesta finalizzata a conoscere se è stata 
              mai espletata la disposta perizia tossicologica sugli organi espianti 
              dal cadavere del detenuto, e, in caso positivo, quale esito 
              la stessa abbia avuto, mentre, in caso negativo, quale sia stato 
              l'impedimento. 
              Nel corso di un'improvvisata conferenza stampa svoltasi all'interno 
              del Tribunale di Livorno, Trupiano ha dichiarato ai  
              giornalisti che, all'esito della risposta al quesito formulato, 
              si riserva di richiedere la riesumazione della salma.  
              Ha inoltre fatto presente di avere gli stessi poteri investigativi 
              del p.m. e che per questi motivi svolgerà indagini a 180 
              gradi  
              anche e soprattutto nell'ambito del DAP, partendo "da molto 
              in alto". 
              Trupiano ha concluso affermando che "si può sopportare, 
              al momento, che si indaghi contro ignoti, ma non che si ipotizzi 
              un  
              decesso dovuto a cause naturali". 
            12/6/2004 
            Il 
              corpo di Lonzi riesumato?  
            LIVORNO 
              - L'avvocato Vittorio Trupiano, legale di Maria Ciuffi, la madre 
              di Marcello Lonzi deceduto l'11 luglio 2003 alle  
              Sughere, ieri mattina ha depositato una richiesta per il magistrato 
              Roberto Pennisi titolare dell'indagine sulla morte del giovane. 
              L'avvocato Trupiano chiede se è stata fatta una perizia tossicologica 
              sugli organi asportati dal cadavere di Marcello Lonzi, in  
              caso positivo di conoscerne l'esito ed in caso negativo di conoscerne 
              le ragioni. "Posso accettare che si proceda contro 
              ignoti- ha spiegato Trupiano- ma non posso accettare l'ipotesi che 
              Marcello Lonzi sia morto per cause accidentali.  
              Per questo motivo se sarà necessario chiederò la riesumazione 
              del cadavere e fatto tutte le indagini che oggi può fare 
              un  
              avvocato. Contatterò alcune persone". Dopo l'incontro 
              con Maria Ciuffi, l'avvocato Trupiano è andato in carcere 
              per  
              parlare con un detenuto.  
            quotidiano.net 
              Lunedì 14 giugno 2004 
              Luglio 2004 
            Verso 
              l'archiviazione il caso Lonzi 
              La Nazione, 2 luglio 2004 
              Il pubblico ministero Roberto Pennisi ha avanzato la richiesta di 
              archiviazione del procedimento aperto contro ignoti sulla  
              morte di Marcello Lonzi, il giovane di 29 anni deceduto l'11 luglio 
              scorso nel carcere delle Sughere dove era detenuto. 
              Una decisione duramente contestata dalla madre del ragazzo, Maria 
              Ciuffi - che ha appreso la notizia telefonando alla 
              cancelleria del tribunale, e dal suo legale, Vittorio Trupiano. 
              Che presenterà immediatamente ricorso - spiega - "suggerendo 
              al  
              giudice per le indagini preliminari di delegare il pubblico ministero 
              alla riesumazione, che ritengo indispensabile, della salma di  
              Lonzi". 
              Nei giorni scorsi l'avvocato Trupiano aveva chiesto l'effettuazione 
              della perizia tossicologica sui resti di alcuni organi del  
              giovane deceduto conservati - come si legge nell'autopsia - esattamente 
              a questo scopo: "Non ho ricevuto alcuna risposta - 
              spiega il legale - e mi chiedo come sia possibile. Soprattutto ora 
              che vi è la richiesta di archiviazione mentre io attendo 
              ancora  
              l'esito della mia domanda". 
              "La mia battaglia - dichiara amareggiata Maria Cuffi, comincia 
              ora. E possono stare sicuri che non mi fermerò. Ho perso 
              un  
              figlio e niente e nessuno potrà ridarmelo, ma oggi non sono 
              più sola". 
              Sabato 10 luglio, anniversario della morte di Marcello Lonzi, dalle 
              15 alle 19 si terrà un presidio davanti al carcere livornese. 
              "Stanno arrivando tante adesioni - spiega ancora la madre - 
              perché non è solo per me e mio figlio che io cerco 
              la verità su  
              quanto accaduto in quella cella. 
            Secondo 
              il titolare delle indagini, il sostituto procuratore presso il Tribunale 
              di Livorno Roberto Pennisi, Marcello Lonzi è  
              morto per cause accidentali e, comunque, non è stato né 
              percosso, né ucciso. 
              Per questi motivo ha richiesto al giudice delle indagini preliminari 
              presso il tribunale di Livorno l'archiviazione. 
              Avverso tale richiesta verrà prontamente proposta opposizione 
              dal difensore della parte lesa Maria Ciuffi, avvocato Vittorio 
              Trupiano, sulla quale dovrà decidere proprio il Gip di Livorno. 
              Intanto, sempre nel carcere livornese, martedì scorso sì 
              è registrato un altro decesso, quello di Domenico Bruzzanti, 
              50 anni, 
              morto per impiccagione. 
            Vittorio 
              Trupiano 
            Maria 
              Ciuffi espone uno striscione: "Secondini, la verità 
              vi fa paura" 
              Il Tirreno, 5 luglio 2004 
              "Secondini, la verità vi fa paura": Maria Ciuffi, 
              madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto un anno fa per arresto 
              cardiaco nel 
              carcere delle Sughere a Livorno, continua la sua battaglia contro 
              l'archiviazione del caso, sintetizzando la sua rabbia e la sua  
              delusione in una scritta affidata a un lenzuolo appeso da ieri mattina 
              alla finestra della sua abitazione a Pisa. 
              Maria Ciuffi ha sempre sostenuto che il figlio sarebbe morto in 
              seguito a un pestaggio subito in cella, un fatto che sarebbe  
              dimostrato anche dalle foto che la signora ha reso visibili a tutti 
              attraverso Internet. Ma, a pochi giorni dal primo anniversario  
              della morte - Lonzi è deceduto l'11 luglio 2003 - il Pm Roberto 
              Pennisi ha ritenuto che non vi siano responsabili per quel  
              tragico evento. A fianco della signora Ciuffi, contro l'archiviazione 
              si batte l'avvocato Vincenzo Trupiano, che ha già  
              preannunciato la sua volontà di opporsi e di chiedere il 
              proseguimento delle indagini. "Troppe cose strane avvengono 
              nelle  
              carceri italiane - dice la donna - e in particolare in quello delle 
              Sughere dove alcuni giorni fa è morto un altro detenuto, 
              trovato 
              impiccato a una cintura per pantaloni. Ma si sa benissimo che in 
              carcere non sono permesse né cinture, né altro". 
              La Ciuffi ha  
              inviato anche una lettera al ministro Roberto Castelli chiedendo 
              di "aprire gli occhi". 
              Invito tutte le persone che conoscevano mio figlio Marcellino e 
              chi vuole starmi vicino a partecipare al presidio di sabato 10 
              luglio - ore 15 - davanti al carcere Le Sughere di Livorno ad un 
              anno dalla sua morte avvenuta per pestaggio. 
              Un grazie particolare agli amici de Il Silvestre di Pisa e del Godzilla 
              di Livorno che mi sono stati vicino e che mi hanno aiutato 
              ad organizzare il presidio. 
            Maria 
              Ciuffi 
            Martedì 
              6 luglio 2004 
              "Marcellino fu ucciso" 
              T. T. 
              il manifesto, 10 luglio 2004 
              Il giovane fu trovato morto nel carcere di Livorno. 
              Un anno fa, precisamente lo scorso 12 luglio, moriva al carcere 
              "Le Sughere" di Livorno Marcello Lonzi, livornese di 29 
              anni.  
              Fu trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione 
              non dettero alcun esito. I familiari furono avvertiti dodici ore 
              dopo il decesso. "Marcellino", così era conosciuto 
              in città, era detenuto per tentato furto e avrebbe dovuto 
              scontare altri  
              quattro mesi di reclusione. Gli esami autoptici indicarono in una 
              aritmia maligna la causa più probabile della morte. Sul volto 
              del giovane, il medico legale riscontrò anche tre gravi ferite, 
              "prodottesi con tutta probabilità simultaneamente". 
              La relazione di 
              consulenza tecnica medico-legale, predisposta dal Tribunale di Livorno, 
              imputò le lesioni al viso alla dinamica del decesso: 
              Lonzi sarebbe stato colto da malore e, cadendo, avrebbe violentemente 
              picchiato il volto contro un termosifone o contro lo  
              stipite della porta. Alla stessa origine venne ricondotta una strana 
              escoriazione sul torace a forma di "V", mentre altri "fatti 
               
              traumatici" furono attribuiti ai tentativi di rianimazione. 
              Le foto del cadavere, in circolazione anche sul web, mostrano il 
              viso  
              tumefatto e il torace segnato da profonde ferite. 
              Inizia ad interessarsi direttamente della vicenda la madre del giovane, 
              Maria Ciuffi. E la sua determinazione nella ricerca della  
              verità gioca un ruolo fondamentale, tanto che sulla morte 
              di Marcello Lonzi (né la prima né l'ultima a "Le 
              Sughere", molte morti  
              sono ancora avvolte dal mistero) nasce un caso. Fin dal primo istante, 
              la donna ha rigettato l'ipotesi del decesso per cause  
              naturali. E fin dal primo istante ha cercato di documentare le voci, 
              sempre più insistenti, che circolano all'interno del carcere 
              e 
              vedrebbero una diversa ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica 
              della morte. 
              Nel frattempo emergono le prime verità: si viene a sapere 
              che il medico di turno non era presente la notte del decesso e che 
              il  
              medico legale ha compilato due relazioni completamente diverse tra 
              loro. Maria Ciuffi comincia a ricevere numerose telefonate 
              anonime. Dall'altra parte della cornetta c'è sempre qualcuno 
              che, considerata la precisione nel riferire dettagli e particolari, 
               
              potrebbe essere una fonte bene informata. Le dicono che suo figlio, 
              durante l'isolamento, è stato ripetutamente picchiato sia 
              da 
              altri detenuti, sia dal personale penitenziario. 
              Si impossessa dell'inchiesta il pm livornese Roberto Pennisi. Il 
              magistrato prende tempo, nega i confronti e gli interrogatori.  
              Quindi chiede l'archiviazione del procedimento in quanto non ritiene 
              vi siano responsabili per quel tragico evento. L'avvocato  
              Vincenzo Trupiano, legale di Maria Ciuffi, chiede invece il proseguimento 
              delle indagini. "Nelle scorse settimane avevamo  
              presentato un'istanza per avere risposte sulla perizia tossicologica 
              - ha spiegato il legale - ma Pennisi non si è neppure degnato 
              di risponderci. Ora ci opporremo alla richiesta di archiviazione, 
              perché il magistrato deve sapere che non sarà né 
              lui né io a  
              decidere come andrà a finire questa brutta storia, bensì 
              un giudice che si esprimerà dopo aver preso visione degli 
              atti". 
              Due detenuti vicini di cella di Lonzi avrebbero raccontato a un 
              avvocato livornese che il decesso sarebbe dovuto a un  
              violentissimo pestaggio operato dai secondini. Ma a testimoniare 
              non ci andranno mai: nelle carceri l'omertà regna ancora 
               
              incontrastata. 
              Un lager chiamato " Le Sughere"  
              Verità per la morte di Marcello Lonzi  
              Centro sociale Godzilla, 10 luglio 2004 
              Nella città considerata una delle più rosse d'Italia 
              esiste un carcere, le Sughere, che negli anni ha assunto sempre 
              più le  
              sembianze di un lager: un non-luogo fisicamente molto vicino a noi, 
              ma lontanissimo quando si cerca di capire o  
              semplicemente di sapere cosa accade al suo interno. In questo carcere 
              avvengono pestaggi e torture quotidiane, i detenuti  
              vivono in condizioni a dir poco disastrose: si parla di celle di 
              3 metri in cui vivono 4 o 5 persone.  
              L'undici luglio dell'anno scorso alle Sughere un ragazzo, Marcello 
              Lonzi, è morto: era dentro per tentato furto, quattro mesi 
               
              ancora da scontare.  
              Il motivo della morte? Per la giustizia: suicidio o morte accidentale. 
               
              Marcellino, così lo chiamavano, è stato trovato sdraiato 
              davanti alla porta della sua cella, aveva ferite e lividi su tutto 
              il corpo,  
              una costola e lo sterno fratturato, una ferita in testa talmente 
              profonda da raggiungere il cranio. La causa della morte: arresto 
              cardiaco.  
              I familiari sono stati avvertiti più di 12 ore dopo: l'autopsia 
              già iniziata, la causa della morte già decisa.  
              La madre del ragazzo non ci sta, non serve essere un ispettore per 
              capire che su quella vicenda c'è qualcosa che non quadra. 
              Il referto medico sulla morte è stato firmato da un medico 
              che quella notte non era neanche nel carcere, è stato corretto 
              a  
              penna l'orario perché non corrispondente con la chiamata 
              al 118 (evidentemente se ne sono accorti dopo).  
              La causa della morte è dovuta ad una tipologia d'arresto 
              cardiaco: l'unica non dimostrabile scientificamente.  
              Quella notte nel carcere c'è stata una protesta spontanea 
              dei detenuti della sezione sei: cosa alquanto insolita per una morte 
               
              "apparentemente naturale". Le prove più importanti, 
              quelle che avrebbero potuto inchiodare i colpevoli, sono le testimonianze 
               
              dei detenuti e le foto scattate la notte stessa. Queste ultime mostrano 
              segni evidenti di colluttazione all'interno della cella: un  
              secchio spaccato, vestiti per terra, le mani di Marcello a coprirsi 
              il volto e le costole come a proteggersi da qualcosa, una scia 
              di sangue pulita alla meglio davanti alla cella, che dimostra come 
              il ragazzo vi sia stato trascinato successivamente. Poi il  
              racconto dei detenuti alla madre che parlano di un pestaggio, iniziato 
              già nell'ora d'aria e poi continuato in isolamento.  
              Ancora le testimonianze dei detenuti della cella accanto, del compagno 
              di cella ed infine una telefonata anonima,  
              probabilmente di una guardia carceraria, che conferma la nuova versione: 
              Marcellino è stato ammazzato!  
              È morto dopo un pestaggio durato delle ore, dove i secondini 
              hanno dato il meglio di loro, pestando un ragazzo di vent'otto  
              anni e poi lasciandolo morire in cella.  
              Ciò che ci lascia più sconcertati è che di 
              fronte a queste prove palesi (la maggior parte raccolte dalla madre), 
              di fronte a 
              testimonianze ufficiali, di fronte a delle incongruenze talmente 
              manifeste che almeno avrebbero dovuto far sorgere qualche  
              dubbio, per questo caso è stata fatta domanda di archiviazione 
              , il primo di luglio dal P.M. Roberto Pennisi. Dopo un anno 
              di indagini quasi inesistenti, un anno in cui quest'uomo non ha 
              dimostrato il minimo interesse a risolvere questo caso, di fronte 
              a testimonianze e prove certe, la sua decisione era già stata 
              pronunciata da tempo.. Noi pensiamo che la "giustizia" 
              non darà  
              mai un nome ai responsabili, come è sempre successo, da Piazza 
              Fontana ad oggi.  
              Pennisi, per chi non lo sapesse è anche il responsabile delle 
              due rocambolesche perquisizioni dei giorni scorsi ai danni centro 
               
              sociale Godzilla e del C.P 1921 risoltesi in un buco nell'acqua. 
              Dove avrà trovato mai il tempo, ci domandiamo, per risolvere 
              il caso Lonzi, per trovare la verità sulla morte di un ragazzo 
              in carcere?  
              Ad un anno dalla morte di Marcello, dopo la scandalosa domanda di 
              archiviazione del caso: partecipiamo al presidio di 
              sabato 10 luglio alle 15:30 davanti al carcere delle Sughere. 
              DIFESA, QUELLE FERITE INCOMPATIBILI CON RICOSTRUZIONE PM  
            (ANSA) 
              - LIVORNO, 23 LUG - Nel fascicolo sulla morte del detenuto livornese 
              Marcello Lonzi ''ci sono almeno una 
              ventina di fotografie, che la difesa non aveva mai visto, nelle 
              quali si vede il corpo del giovane con ferite profonde e del tutto 
              incompatibili con l' ipotesi della morte accidentale procurata dall' 
              infarto e dalla conseguente caduta''. Lo ha rivelato l' avvocato 
              Vittorio Trupiano, che assiste Maria Ciuffi, la madre di Marcello 
              Lonzi, il detenuto morto in carcere a Livorno l' anno scorso. 
              Il legale ha depositato questa mattina alla cancelleria del Gip, 
              Rinaldo Merani, l' opposizione alla richiesta di archiviazione dell' 
              indagine contro ignoti per omicidio avanzata dal pubblico ministero 
              Roberto Pennisi. Ora sarà il giudice per le indagini  
              preliminari, probabilmente a settembre, a decidere se continuare 
              a indagare o chiudere il caso.  
              Lonzi, 29 anni, morì in seguito a un infarto e secondo la 
              procura le cause della sua morte sarebbero state naturali, mentre 
              la  
              madre ha sempre sostenuto che il figlio era rimasto vittima di un 
              pestaggio da parte degli agenti della polizia penitenziaria.  
              ''In quelle foto - ha spiegato Trupiano - si vedono sulla parte 
              posteriore del corpo di Marcello vistose ecchimosi provocate  
              dalle manganellate. Noi siamo certi che sia stato vittima di un 
              pestaggio prolungato e doloroso. Quel che e' certo e' che le ferite 
              sulle natiche, sulla parte posteriore delle gambe e sulla schiena 
              non sono certo compatibili con la caduta provocata dall'infarto''. 
               
              Maria Ciuffi ha poi presentato nei giorni scorsi una querela nei 
              confronti di una persona da identificare che avrebbe tentato di 
               
              investirla vicino alla sua abitazione, nella zona di San Giusto 
              a Pisa, con una 'Ford Ka' grigia metallizzata. ''In quei giorni 
              - ha  
              aggiunto la donna - sono stata sottoposta anche a prolungati pedinamenti''. 
              Infine, Trupiano ha manifestato l' intenzione di far  
              trasferire gli atti del procedimento a un' altra procura ''affinché 
              si faccia piena luce sulla morte di Marcello. Mi aspettavo - ha 
              concluso il legale - che una città dalle forti tradizioni 
              democratiche come Livorno facesse di tutto per chiarire una vicenda 
               
              come questa e di non trovare qui quegli atteggiamenti insabbiatori 
              spesso presenti in alcune procure siciliane. Se il Gip 
              rimetterà gli atti al Pm e chiederà un supplemento 
              d' indagine invocheremo il legittimo sospetto per poter trasferire 
              l' indagine 
              altrove. Non credo che la Procura di Livorno voglia davvero fare 
              chiarezza sulla morte di Lonzi''. 
              Marcello Lonzi, altre prove dell'omicidio e intimidazioni contro 
              la madre  
              Anarcotico, 24 luglio 2004  
              Venerdì 23 luglio 2004 la madre di Marcello Lonzi, il giovane 
              ucciso nel carcere delle Sughere di Livorno l'11 luglio 2003, e 
              il  
              suo avvocato Vittorio Trupiano, hanno tenuto una conferenza stampa 
              a Livorno per illustrare le sconcertanti novità emerse sul 
              caso Lonzi, a seguito delle quali la richiesta di archiviazione 
              presentata dal Pm Pennisi suona ancor più come un atto volontario 
              di insabbiamento.  
              Durante la conferenza sono state mostrate 13 foto che documentano 
              in modo inoppugnabile l'infondatezza della versione sulle 
              cause della morte di Marcello diffusa dalle autorità. Secondo 
              l'allora responsabile del carcere, il tristemente famoso difensore 
              dei GOM, Cacurri, Marcello colto da infarto sarebbe caduto contro 
              le sbarre procurandosi una serie di ferite e lacerazioni.  
              L'avvocato Trupiano, 'esperto' di barbarie carcerarie per i numerosi 
              casi di violenza sui detenuti seguiti, ha dichiarato di non  
              essersi mai imbattuto in un caso di brutalità così 
              efferata e sconcertante.  
              In una foto scattata in obitorio al cadavere di Marcello riverso 
              su un fianco, sono visibili 20 segni di vergate (presumibilmente 
              prodotte con manganelli) dislocate dal collo alle ginocchia.  
              Trupiano sottolinea la presenza su queste aree del corpo di lacerazioni 
              e tumefazioni verosimilmente prodottesi durante una 
              violenta colluttazione, che la presenza di oggetti rotti e sparsi 
              nella cella tenderebbe ad avvalorare.  
              A riprova dell'esistenza di emorragie interne non segnalate dal 
              medico legale, la foto n°4 mostra che il lenzuolo disposto al 
               
              disotto del corpo di Marcello era completamente sporco di sangue. 
               
              La morte del giovane sarebbe stata provocata da un colpo molto profondo 
              ricevuto al cranio.  
              Durante la conferenza sono stati inoltre denunciati tentativi di 
              intimidazione portati avanti da 'ignoti' contro Maria Ciuffi, la 
               
              madre di Marcello, che ha recentemente subito un tentato investimento 
              ed è stata soggetta a strani pedinamenti. 
              Verranno depositati entro il 31 luglio nella cancelleria del g.i.p. 
              i motivi a sostegno dell'opposizione avverso la richiesta di  
              archiviazione del p.m. Roberto Pennisi. 
              Nessun dubbio sulla causa del decesso: Marcello Lonzi è stato 
              picchiato a lungo e con inaudita violenza con manganellate 
              infertegli a partire dal collo fino alle ginocchia. 
              Il dolore e la sofferenza che ne è seguita hanno provocato 
              l'arresto cardio-circolatorio, sicchè hanno ben pensato di 
              simulare la  
              disgrazia della caduta sbattendolo violentemente, già morto, 
              con la testa verosimilmente dentro le sbarre della propria cella. 
              Una lunga agonia ha preceduto la morte, a queste conclusioni è 
              giunto il difensore avvocato Vittorio Trupiano che le illustrerà 
              dettagliatamente nei motivi d'opposizione. 
              Trupiano ha pure stigmatizzato come il p.m. abbia chiesto l'archiviazione 
              pure dell'ipotesi di reato dell'omissione di soccorso e  
              pur in presenza di un "vuoto" di tempo davvero ingiustificabile. 
            Vittorio 
              Trupiano 
            Martedì 
              27 luglio 2004 
             
              Capita che vengono pubblicati due articoli in cui chi li firma non 
              si limita a fare la parte del notaio, tipo il p.m. dice questo, 
               
              l'avvocato dice il contrario, ed è finita quì. 
              No, fare il giornalista implica il diritto di operare commenti, 
              recenzioni, in buona sostanza, prendere posizione,ed è quanto 
               
              hanno fatto T. T. del "Il Manifesto" e D. F. del "Il 
              Tirreno". 
              Risultato? LONZI E' STATO AMMAZZATO, ED ANCHE IN MANIERA BRUTALE, 
              ERA ORA CHE QUALCUNO  
              LO SCRIVESSE! 
            Vittorio 
              Trupiano 
            Due 
              strane morti archiviate, un solo pm  
              I casi Romeo a Reggio Calabria e Lonzi a Livorno. Per quest'ultimo 
              spuntano foto inedite 
            Francesco 
              Romeo, un 28enne di oltre cento chili per un metro e 85 di altezza, 
              muore il 7 ottobre 1997 nel carcere di Reggio  
              Calabria. Un paio di settimane prima, nell'ultimo colloquio col 
              fratello, aveva riferito di essere oggetto di pesanti pressioni 
              volte 
              a farlo "collaborare". Dagli atti giudiziari emerge che 
              il 29 settembre Romeo sarebbe stato aggredito da almeno cinque persone 
               
              e il suo corpo trasportato sotto un muro per simulare un tentativo 
              di evasione. Una maldestra messinscena smascherata dalla  
              consulenza medico-legale, che ha dichiarato l'assoluta incompatibilità 
              delle lesioni con la precipitazione da un'altezza di  
              neanche quattro metri. La causa diretta della morte sarebbe infatti 
              un violento pestaggio a colpi di bastone o manganello che  
              avrebbe provocato la frattura del cranio. Le lesioni alle braccia 
              avrebbero evidenziato un tentativo di protezione del volto;  
              quelle allo scroto e al coccige una tortura inferta prima dei colpi 
              mortali. Un caso per molti versi simile a quello di Marcello  
              Lonzi, il giovane livornese deceduto nel carcere Le Sughere per 
              cause ancora da chiarire. Notizia di ieri è che l'avvocato 
              che  
              assiste la madre di Lonzi è entrato in possesso di una ventina 
              di fotografie per lui inedite, allegate al fascicolo relativo alla 
               
              morte, nelle quali si vedono la schiena e i glutei del giovane segnati 
              da profonde ferite, oggettivamente incompatibili con  
              l'ipotesi ufficiale che parla di morte accidentale procurata da 
              un infarto e dalla conseguente caduta faccia a terra. 
              Ma torniamo al caso Romeo. La Corte d'Appello di Reggio Calabria, 
              il 6 marzo 2003, ha confermato la condanna nei  
              confronti del comandante e di un agente della Polizia penitenziaria 
              del carcere reggino, ma con una sostanziale modifica del  
              titolo di reato. Il primo è infatti passato da concorso omissivo 
              doloso (è al corrente di quanto accade, ha l'obbligo di intervenire 
              ma non interviene) ad agevolazione colposa (non è al corrente 
              di quanto accade ma organizza il servizio in modo tale da  
              agevolare inconsapevolmente gli autori dell'omicidio); il secondo 
              da favoreggiamento a false dichiarazioni al pm. 
              Il processo, celebrato con rito abbreviato, ha portato all'assoluzione 
              di 19 imputati su 21 perché le dichiarazioni degli indagati 
               
              subito dopo il linciaggio furono rilasciate in assenza dei propri 
              legali. Resta misterioso il motivo per cui il pm li abbia iscritti 
              nel  
              registro delle notizie di reato il giorno successivo al rinvenimento 
              del corpo, ascoltandoli successivamente in qualità di persone 
               
              informate sui fatti. Ci vorranno un anno e otto mesi perché 
              siano ascoltati come imputati (e tutti, tranne uno, si avvarranno 
              della 
              facoltà di non rispondere). Nessuno ha poi voluto interrogare 
              i compagni di cella e dell'ora d'aria. Questi ultimi in particolare 
              avrebbero potuto riferire se Romeo alle 9 del mattino sia mai realmente 
              entrato nel cortile esterno (in tre non lo ricordano  
              presente). E' stata inoltre accertata, all'interno del carcere, 
              la presenza dei Gom, i Gruppi operativi mobili. Ad alimentare  
              ulteriori sospetti sono poi una serie di domande che non hanno trovato 
              risposta: perché il comandante, proprio quella mattina, 
              priva di adeguata custodia alcuni punti chiave del carcere? Perché 
              sposta cinque uomini per sostituire un solo agente in  
              malattia? Perché modifica le proprie mansioni alle 9 dopo 
              la conferenza di servizio delle 7,50? Perché affida il controllo 
              di due 
              posti chiave (primo cancello e garitta cortile passeggio) a un solo 
              agente? Perché questi non fa scattare l'allarme che avrebbe 
              permesso la registrazione automatica dei filmati a circuito chiuso? 
              Perché l'agente preposta ai monitor della sala regia non 
              vede 
              niente sino alle 10? E perché nessun agente, dalle 9 alle 
              10, vuole risultare al proprio posto? Il pm Roberto Pennisi, lo 
              stesso 
              che ha chiesto l'archiviazione del caso Lonzi, non ha saputo dare 
              risposta a nessuna di queste domande, limitandosi a chiedere  
              l'assoluzione per i vizi formali riportati in precedenza.  
            T. 
              T. Il Manifesto 
            "Marcello 
              è stato ucciso: queste fotografie lo dimostrano"  
              Maria Ciuffi si oppone alla richiesta di archiviazione della Procura 
              sulla morte del figlio  
            LIVORNO. 
              "Vogliamo la verità su Marcello": lo striscione 
              bianco e rosso, ben visibile, è stato appeso per tutta la 
              mattina di  
              ieri sull'esterno della scala del palazzo comunale. All'interno 
              Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi deceduto un anno fa, a 
               
              soli 29 anni, all'interno delle Sughere dove scontava una pena di 
              quattro mesi. E il suo avvocato, Vittorio Trupiano, arrivato a  
              Livorno per presentare l'opposizione alla richiesta di archiviazione 
              - avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi - del  
              fascicolo a carico di ignoti. 
              Sul lato opposto della strada, un presidio per ricordare la morte 
              in carcere di Marcello. E un opuscolo, curato da un gruppo  
              di giovani pisani, contenente la testimonianza di un detenuto sulla 
              situazione delle Sughere e le foto agghiaccianti del cadavere 
              del ragazzo deceduto nel luglio scorso. 
              Proprio le foto di Marcello sono al centro della richiesta di un 
              supplemento di indagini che l'opposizione all'archiviazione porta 
               
              con sè. Alle immagini del cadavere già note si sono 
              aggiunte quelle contenute nelle carte del pubblico ministero. Maria 
              Ciuffi,  
              ieri mattina, ha avuto modo di vederle e qualcuno, in tribunale, 
              si è preoccupato che la signora non si sentisse male. 
              "In quelle foto - spiega l'avvocato Trupiano - il cadavere 
              di Marcello è girato di schiena. E, sulla schiena, ci sono 
              i segni di vere 
              e proprie vergate, striature viola sulla pelle gonfia e rialzata, 
              dal collo fin sotto i glutei. Ecchimosi che possono essere state 
              fatte 
              solo con un bastone, un manganello. Certo, non sono i segni di una 
              caduta". 
              Perfino nelle copie in bianco e nero la schiena di Marcello Lonzi 
              appare segnata: una striscia bianca, proprio in mezzo al collo, 
              e poi giù fino alla cosce, con un parallelismo quasi geometrico. 
              "Nonostante queste foto - ha detto ancora l'avvocato Trupiano 
               
              ai giornalisti convocati all'uscita dal tribunale - si preferisce 
              archiviare la morte di Marcello Lonzi, parlando di morte naturale 
              o, 
              addirittura, di suicidio. Da una città con una tradizione 
              democratica come quella di Livorno mi aspettavo davvero ben altro". 
              L'udienza camerale per la decisione sulla richiesta del Pm si terrà, 
              presumibilmente, ai primi di settembre. "Si procede di solito 
              a porte chiuse - spiega l'avvocato della madre di Marcello - ma 
              io chiederò l'autorizzazione affinchè la discussione 
              sia fatta in  
              presenza del pubblico". Se l'opposizione sarà accolta 
              e gli atti torneranno al Pm Pennisi - ha concluso Trupiano - "non 
              escludo 
              di invocare, nei suoi confronti, il legittimo sospetto per poter 
              trasferire l'indagine". 
              Nel corso dell'incontro con i giornalisti, è stata resa nota 
              anche la denuncia contro ignoti presentata da Maria Ciuffi alla 
               
              Procura di Pisa: la madre di Marcello scrive, circostanziando luogo 
              e ora, di pedinamenti a suo carico e di un'auto che  
              avrebbe tentato di spaventarla, se non addirittura investirla. 
            D. 
              F. Il Tirreno 
            Agosto 
              2004 
            Napoli, 
              5 agosto 2004 
            In 
              pari data ho provveduto ad inoltrare ricorso alla Corte Europea 
              per la difesa dei diritti dell'uomo, con sede in Strasburgo,  
              nonchè alla Commissione Anti-Tortura in seno alla stessa, 
              copia di tutto il fascicolo pendente presso il Tribunale di Livorno, 
               
              lamentando la lesione dei fondamentali diritti dell'uomo, quali 
              quello alla vita e ad un trattamento non umiliante e degradante. 
              Ho anche denunciato all'Organo di Giustizia Europea anche tutta 
              la lunga serie di morti e di presunti suicidi, precedente e  
              successiva a quella di Marcello Lonzi, verificatisi nel carcere 
              livornese delle Sughere. 
              A breve, quindi, farò confluire nel fascicolo livornese anche 
              gli relativi all'istruttoria della Corte Europea. 
            Avvocato 
              Vittorio Trupiano 
            
            
            
            
            
            
            
            
            
             
               
               
            
              
              
            
             
               
               
            
            
            
            
              
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
            
             
              Due delle venti fotografie del cadavere di Marcello Lonzi allegate 
              alla consulenza medico-legale presentata dall'avvocato Vittorio 
              Trupiano.  
               
            
             
              CASSA ANARCHICA DI SOLIDARIETA' ANTICARCERARIA 
            La cassa di 
              solidarietà, per i detenuti rivoluzionari e non solo, è 
              volta prima di tutto a creare una rete di  
              § contatti tra l'interno e l'esterno del carcere, per spezzare 
              l'isolamento in cui viene costretto un detenuto 
              e per svilupparsi come riferimento, non solo economico, ma anche 
              controinformativo e di lotta.  
              La Cassa vuole essere un supporto di solidarietà contro tutte 
              le carceri, con i compagni anarchici,  
              rivoluzionari in genere, ribelli sociali e con tutte quelle individualità, 
              sequestrate nei lager di Stato, che, 
              pur non avendo particolari caratterizzazioni politiche, maturino 
              proposte e si facciano partecipi della  
              prospettiva di sviluppare insieme, nella varietà che caratterizza 
              ognuno/a, percorsi di lotta comuni. 
               
            
            Per ulteriori 
              informazioni, copie o altro contattare 
              - Cassa Anarchica di Solidarietà Anticarceraria 
              via dei messapi 55, 04100 LATINA 
              e-mail: agitazione@hotmail.com 
            
             
              2 EURO BENEFIT CASSA ANARCHICA DI SOLIDARIETA' ANTICARCERARIA 
               
               
             
           |