Si può discutere sull'interpretazione del termine "socialismo",
ma se ha un significato, questo è il controllo della produzione da parte
dei lavoratori stessi; e di certo non vuol dire il dominio di proprietari e
dirigenti che si impongono su di loro e controllano tutte le decisioni; e ciò
vale sia che si parli di un'impresa capitalistica che di uno stato assolutista.
[40]
Il riferimento all'Unione Sovietica come paese socialista costituisce un interessante
esempio di ambiguità linguistica dottrinale. Il colpo di mano bolscevico
dell'ottobre del 1917 mise il potere statale nelle mani di Lenin e di Trotsky,
che finirono per smantellare le emergenti istituzioni socialiste sorte durante
la rivoluzione popolare dei mesi precedenti - i consigli di fabbrica, i Soviet,
di fatto tutti gli organismi di controllo Popolare - e per convertire la forza
lavoro in quello che loro chiamavano "l'esercito dei lavoratori" al
comando del leader. I bolscevichi quindi distrussero gli elementi esistenti
del socialismo, nell'accezione più vasta e pregnante del termine. Da
allora, nessuna deviazione socialista è più stata consentita.
Tali sviluppi non sorpresero gli intellettuali marxisti più autorevoli
che da anni (come Trotsky) criticavano la dottrina leninista perché prevedeva
un'autorità centralizzata, interamente nelle mani del Partito "d'avanguardia"
e dei suoi leader. In effetti, alcuni decenni prima, il filosofo anarchico Bakùnin
aveva predetto che la classe emergente degli intellettuali aveva davanti a sé
due strade: o avrebbe potuto cercare di sfruttare le lotte popolari per prendere
il potere, trasformandosi quindi in una brutale e oppressiva "burocrazia
rossa"; oppure, se la rivoluzione fosse fallita, gli intellettuali stessi
sarebbero potuti diventare i manager e gli ideologi di società basate
sul capitalismo di stato. In entrambi i casi, si trattava di una previsione
lungimirante ed acuta.
Non erano molte le cose su cui concordavano i due sistemi di propaganda più
imponenti del mondo, ma una di queste era l'uso del termine "socialismo"
in riferimento ad una realtà determinatasi in seguito alla distruzione
di importanti elementi di socialismo da parte dei bolscevichi. Ciò non
sorprende troppo. I bolscevichi da parte loro, chiamando, "socialista"
il loro sistema sfruttarono il prestigio morale di cui il socialismo godeva.
L'Occidente usò il termine allo stesso modo per il motivo opposto: diffamare
gli ideali libertari accomunandoli alla repressione sovietica, minando la fiducia
che il popolo riponeva nell'idea di un possibile progresso verso una società
più giusta, dove ci fosse un controllo democratico sulle istituzioni
e ci si preoccupasse dei bisogni e dei diritti dell'uomo.
Se socialismo è la dittatura di Lenin o di Stalin, allora la gente di
buon senso dirà "no, grazie". E se è questo socialismo
la sola alternativa al capitalismo industriale di stato, allora molti si sottometteranno
alle strutture autoritarie del secondo, in quanto rappresentano l'unica scelta
ragionevole.
Con il crollo del sistema sovietico, si presenta oggi l'opportunità di
far rinascere il vivace e vigoroso pensiero socialista libertario, che non aveva
saputo resistere agli assalti dottrinali e repressivi dei maggiori sistemi di
potere. Quante speranze si possano riporre in tale opportunità, non è
dato sapere. Ma se non altro è stato rimosso uno degli ostacoli; in tal
senso, possiamo dire che dal punto di vista storico la scomparsa dell'Unione
Sovietica rappresenta oggi per il socialismo un piccolo successo, pari all'incirca
agli esiti della II guerra mondiale.
40. Herman e Chomsky, Manufacturing Consent.