PARTE TERZA.
LA STESSA VECCHIA STORIA.
Capitolo 7.
VECCHI E NUOVI ORDINI MONDIALI.
La dottrina della 'deviazione temporanea' è solo uno dei metodi che l'intellettuale in cerca di rispettabilità e prestigio deve imparare ad usare con destrezza; alcuni li abbiamo già esaminati, di altri parleremo ora. Cominciamo da quelle ingegnose nozioni incontrate nel capitolo precedente, così essenziali per l'aspirante intellettuale: 'miracolo economico', 'un vero successo americano', 'il trionfo del libero mercato', eccetera. Concetti sfuggenti che richiedono un po' di attenzione.
Il termine 'miracolo economico' si riferisce ad un complesso di positivi dati statistici a livello macroeconomico, come gli enormi profitti per gli investitori stranieri ed una vita di lusso per le élite locali ai quali usualmente corrisponde, ma non si dice apertamente, una miseria crescente per gran parte della popolazione. Non ci si può meravigliare quindi che questi 'miracoli' siano così ammirati dai commentatori ufficiali nella stampa ed altrove. Finché la loro facciata luminosa rimane in piedi, queste società costituiscono 'un vero successo americano', 'trionfi del capitalismo e del libero mercato' ma, quando crolla, i medesimi esempi si trasformano in dimostrazioni della pericolosità dei trabocchetti dello statalismo, del socialismo, del marxismo-leninismo, e di altri peccati del genere.
Il caso Brasile illustra bene questa tendenza. Gerald Haines non è stato il solo a celebrare il trionfo del capitalismo e dell'ingegno americano in Brasile, anche se il momento da lui scelto, il 1989, era un po' fuori tempo. I brillanti trionfi dei generali e dei loro consiglieri tecnocratici e benpensanti fecero del Brasile "il beniamino latinoamericano della comunità internazionale degli affari", scrisse il "Business Latin America" nel 1972. Arthur Burns, presidente della "Federal Reserve Bank", era sempre pieno di elogi per l'opera 'miracolosa' di Delfim. Un anno dopo - ricorda David Felix - i 'Chicago Boys' (monetaristi seguaci della Scuola di Chicago, N.d.C.) vennero invitati in Cile da un altro gruppo di assassini fascisti che aveva appena rovesciato il presidente Allende, mentre l'economista della Scuola di Chicago, Arnold Harberger, indicava il Brasile "come l'esempio di un futuro glorioso sotto il liberismo economico". In una successiva intervista del 1980, lo stesso Harberger plaudì ai successi conseguiti da Pinochet seguendo quella politica economica. "Santiago non ha mai avuto un aspetto migliore. Sono disponibili beni di consumo di ogni parte del mondo a prezzi contenuti"; c'erano persino nuovi posti di lavoro per chi aveva i requisiti adatti, come torturatore nelle stazioni di polizia. E' vero, ammettono i sostenitori del 'miracolo', i salari reali erano crollati, ma il valore delle importazioni era salito del 38% nel 1980, grazie all'aumento del 276% dei beni di lusso arrivati dall'estero mentre l'afflusso di capitali era anch'esso diminuito vertiginosamente. Il debito estero in quegli anni era salito alle stelle (per essere saldato poi dai poveri), mentre sindacati e movimenti contadini erano stati repressi in un'ondata di terrore. Ma i ricchi stavano benissimo; il Cile era ormai, come il Brasile, sulla retta via grazie alla corretta applicazione delle giuste teorie economiche.
Con i primi anni '80, l'economia brasiliana cominciò a scivolare verso il disastro, ed il tono cambiò. Il Brasile fu così eliminato dall'elenco dei "successi neoliberisti", osservò Felix nel 1986, anche se alcuni non colsero subito il messaggio. Tra questi il professore di Harvard Frances Hagopian che, nel 1989, durante una discussione sul regime militare brasiliano espresse ancora, come Haines, la sua ammirazione per "l'impressionante successo dei militari nel raggiungere i loro obiettivi economici" ed i suoi dubbi che questo 'impressionante successo' economico avesse avuto realmente bisogno della repressione e della tortura (37)
Quando il 'miracolo economico' procedeva allegramente per la sua strada, i trionfi brasiliani erano celebrati come una dimostrazione delle meraviglie del capitalismo del libero mercato, l'esito felice della guida e della gentile assistenza Usa. Dopo il crollo, il Brasile divenne invece la dimostrazione di quanto può succedere se i consigli Usa ed i sani principi del liberismo economico non vengono applicati correttamente. Il disastro brasiliano venne così imputato alle deviazioni stataliste dall'ortodossia economica. In tal modo veniva ulteriormente provata la superiorità del capitalismo e del libero mercato. Così oggi, per spiegare lo stato miserevole del Brasile, possiamo quindi evocare quelle misure che cercarono di porre riparo al 'trionfo del libero mercato', quando tutti erano ancora abbagliati dal 'miracolo economico': il permanente controllo sui salari istituito dall'apprezzatissimo economista neoliberista Delfim, le società statali create per superare la severa recessione causata dalle strategie monetariste e per evitare la completa acquisizione dell'economia da parte delle società straniere, e la strategia di sostituzione delle importazioni che mantenne a galla l'economia alla metà degli anni '80.
Tutto questo per dimostrare, ancora una volta, quanto in abili mani possa essere flessibile lo strumento dell'ideologia.
Su questo sfondo di rovine gli Usa tirarono un profondo sospiro di sollievo quando, nel 1989, l'affascinante rappresentante dell'élite brasiliana, Fernando Collor de Mello, vinse delle elezioni presidenziali nelle quali le differenze tra i due candidati potevano essere, per una volta, individuate senza bisogno di un microscopio, dal momento che l'altro era il leader sindacale Luis In cio da Silva ('Lula'). Collor riuscì ad assicurarsi una vittoria di misura avendo avuto la via spianata dalle sue ingenti risorse finanziarie e da un intervento dei padroni del paese. Questi infatti fecero chiaramente intendere di essere pronti a mandare il Brasile in malora se le elezioni avessero avuto l'esito sbagliato. Nell'attesa di un altro 'vero successo americano', le istituzioni dottrinarie Usa salutarono con entusiasmo i primi passi fatti da Collor sulla prescritta via neoliberista. Una via piuttosto breve. L'economia brasiliana passò da un positivo tasso di crescita del 3,3% nel 1989 ad uno negativo, meno 4,6% nel 1990. Il reddito pro capite calò del 6% dal 1990 al 1992 mentre la produzione continuò a scendere, le spese sanitarie furono tagliate del 33%, quelle per l'istruzione ancora di più, mentre il prelievo fiscale sui salari dei lavoratori dipendenti aumentò del 60%. Alla metà del 1992, riferisce James Brooke, "le fallite politiche economiche del signor Collor" stavano ormai "alimentando il malcontento del paese". Inoltre, Collor stava per essere messo sotto accusa per una vicenda di corruzione, anch'essa da primato (38).
'I successi del capitalismo e della democrazia', come nel caso del Brasile, vengono celebrati come tali a prescindere dal fatto che siano frutto di politiche economiche del tutto diverse da quella ufficiale. La strategia di sostituzione delle importazioni che salvò il Brasile dalla rovina completa fu un elemento essenziale anche dei 'miracoli economici' dell'area del Pacifico. Questi miracoli si realizzarono sotto regimi fortemente autoritari che intervennero massicciamente nella pianificazione economica e mantennero uno stretto controllo (con il terrore se necessario, come nella città sud-coreana di Kwanju le cui proteste vennero soffocate nel sangue) non solo sulla forza-lavoro, come di norma, ma anche sul capitale. I risultati conseguiti dai paesi di nuova industrializzazione, con il loro 'miracolo economico', illustrerebbero invece, secondo la propaganda ufficiale, le virtù della democrazia e del libero mercato. Il "New York Times" porta l'esempio della Corea del Sud, di Taiwan, Singapore ed Hong Kong per dimostrarci "l'importanza della democrazia nel funzionamento dell'economia". Ed il socialista democratico Dennis Wrong può arrivare a scrivere con ammirazione degli "impressionanti successi" delle grandi democrazie asiatiche "che hanno economie capitalistiche libere dal controllo di traballanti governi autoritari" - esatto, ma nel senso che i governi di quei paesi a capitalismo di stato erano efficienti, potenti ed interventisti, e per nulla 'traballanti' (Cuba, Nicaragua ed altri 'nemici ufficiali', spiega Wrong, che si ispirano agli stessi principi economici vengono portati come dimostrazione del fallimento del dogma marxista-leninista, senza ricordare le ragioni della loro drammatica situazione, tra cui l'aggressione e l'assedio Usa). Il commentatore del "Washington Quarterly", Brad Roberts, sostiene da parte sua che "i governi non democratici si sono nel complesso dimostrati incapaci di fornire la cornice necessaria per la flessibilità economica...". Che si riferisca ai paesi di nuova industrializzazione come la Corea del Sud o, in anni passati, alla Germania di Hitler? - anche se, in questo caso, bisognerebbe chiedergli esattamente cosa intenda con la parola 'democratici', vista la sua adesione incondizionata "all'impegno Usa per esportare la democrazia" ed "il rispetto dei diritti umani", particolarmente negli anni '80 (39).
I 'miracoli economici', ammettono comunque le vestali del sistema, presentano alcuni difetti marginali. Discutendo del 'miracolo Menem' in Argentina, il giornalista inglese John Simpson nota che "quel miracolo non è perfetto". Vi sono "spiacevoli segnali di corruzione", "grossi settori della classe media sono affondati senza lasciare traccia" mentre "i nuovi imprenditori e gli antichi ricchi" spensieratamente fanno spese nei "negozi di lusso", ed in tutto il paese c'è molta povertà. Liberi dai condizionamenti ufficiali, James Petras e Pablo Pozzi aggiungono qualche altro dettaglio. Dall'inizio del 'miracolo Menem', nel 1989, "il saccheggio neoliberista da parte dei privati ha costruito un sistema in cui la ricchezza individuale dipende dallo sfacelo pubblico e dalla regressione economica", con circa il 40% della popolazione attiva disoccupata o sottoccupata, baraccopoli in crescita, fabbriche chiuse senza essere rimpiazzate da nuove imprese, sfruttamento dello stato come "strumento per l'arricchimento personale ed il saccheggio", riduzione ai minimi storici della spesa sanitaria, scolastica e per l'assistenza sociale, ritmi di crescita negativi, calo del saggio annuale degli investimenti e declino dei salari reali. Attualmente, più del 60% dei 12 milioni di abitanti di Buenos Aires non è ancora collegato al sistema fognario ed è questa una delle ragioni del ritorno di malattie che erano state sradicate decenni fa. L'"economia speculativa, incoraggiata dalle politiche economiche neoliberiste, mentre distruggeva il mercato interno e la capacità produttiva dell'Argentina, ha impoverito la maggior parte della popolazione e, sullo sfondo di una grande scarsità di risorse, ha generato un mondo hobbesiano, una lotta selvaggia per la sopravvivenza mentre l'élite continua a ricavare enormi profitti". La "minoranza privilegiata, la cui ricchezza, i livelli di consumo e di vita hanno prosperato" è entusiasta delle dottrine neoliberiste. Il 'miracolo Menem' include anche le 'privatizzazioni', la nuova parola magica, ma con una forzatura: il governo argentino ha venduto il monopolio dei telefoni a società statali spagnole ed italiane, la compagnia aerea di bandiera a quella nazionale spagnola "Iberia", così che "la dirigenza è stata trasferita dai burocrati argentini a quelli spagnoli e italiani", osserva David Felix (40).
Veramente un 'miracolo'.
Le conseguenze dell'attuazione di queste dottrine economiche sono evidenti anche nel caso del Messico, dove sarebbe in corso un altro (gradito agli Usa) 'miracolo economico' il quale però, come sostiene un titolo di prima pagina di un giornale della capitale, "stenta ancora a raggiungere i messicani più poveri". Poi, studiando la situazione, scopriamo che i salari hanno toccato i loro minimi storici dal momento che, a causa delle politiche neoliberiste degli anni '80, sono diminuiti del 60% (secondo l'Istituto di Ricerche Economiche dell'Università Nazionale Autonoma, "Unam", ed altri economisti); veniamo quindi a sapere che la metà dei neonati a Città del Messico hanno nel loro sangue abbastanza piombo da danneggiare il loro sviluppo neurologico e fisico, e che i livelli di nutrizione sono calati drammaticamente. Il prodotto interno lordo è aumentato dal 1987, osservano gli economisti dell'"Unam", "ma questa maggiore produzione di ricchezza ha riguardato solo alcuni, mentre milioni di messicani si sono andati impoverendo" dal momento che essa si è concentrata "nelle mani degli uomini d'affari". Il censimento del 1990 riferisce che il 60% delle famiglie non erano in grado di soddisfare i loro bisogni primari. Malgrado la crescita della produzione "maquila" (in mani straniere, orientata all'esportazione, N.d.C.), "il settore industriale impiega meno persone oggi di un decennio fa", scrive l'economista David Barkin, e la percentuale del lavoro dipendente sui redditi complessivi è calata dal 36% della metà degli anni '70 al 23% nel 1992, mentre i profitti per i ricchi e per gli investitori stranieri sono "favolosi" e hanno "risvegliato l'ammirazione della stampa internazionale".
Cercando di allettare gli investitori stranieri, il ministro del Commercio ha più volte fatto notare quanto sia calato in Messico il costo del lavoro, sceso da 1,38 dollari all'ora nel 1982 a 0,45 nel 1990, un dato molto attraente per la G.M., la "Ford", la "Zenith" ed altre grandi imprese straniere, insieme a quello dell'assenza di efficaci regolamenti per la difesa dell'ambiente. Il basso livello dei salari è del resto assicurato dalla brutale repressione governativa dei diritti dei lavoratori, grazie anche alla presenza di capi sindacali corrotti e strettamente legati ad uno stato praticamente a partito unico. Gli anni '80 sono stati particolarmente bui sotto questo aspetto. Tipica la vicenda dei lavoratori di uno dei maggiori impianti della "Ford" a proposito della quale Dan LaBotz, nel 1987, in una ricerca sui diritti dei lavoratori in Messico scriveva: "L'azienda ha licenziato tutti, abolito il contratto sindacale, e poi riassunto i lavoratori ad un salario molto più basso. Quando gli operai tentarono di ottenere sia il diritto di eleggere democraticamente i loro rappresentanti sindacali, che di lottare per i benefici sociali previsti dalla legge, furono soggetti a pestaggi, sequestri di persona ed omicidi, grazie alla complicità tra la Ford Motor Company" ed i funzionari sindacali legati al partito di governo. Questi sono aspetti poco discussi ma fondamentali del "North America Free Trade Agreement" ("Nafta", Accordo Nord Americano di Libero Scambio) costruito in modo da garantire condizioni favorevoli al profitto, qualunque ne sia il costo umano.
Il debito estero del Messico aumenta di pari passo con il disavanzo commerciale, le frodi elettorali, con la repressione governativa per impedire la nascita di organizzazioni sindacali o contestazioni pubbliche (l'assassinio di vari giornalisti ogni anno rende il messaggio ancora più chiaro), e con la tortura che, secondo Amnesty International, è "endemica". L'accordo Nafta "renderà superflua la maggior parte dei messicani", afferma Barkin in uno studio sulla crisi attuale che risulta essere il frutto dei "successi registrati in Messico, negli ultimi trentacinque anni, dallo sviluppo capitalista", orientato a favore degli interessi dei ricchi locali e del capitale straniero. Ma gli investitori stranieri sono felici, come anche il locale mondo degli affari che ne trae tutti i vantaggi. Perciò il Messico fu presentato dall'ex segretario di Stato James Baker come un 'modello' di riforma per l'Europa dell'Est ed il Terzo Mondo, un autentico 'miracolo economico' (41).
Grossi titoli sui giornali propagano la buona novella: "Una boccata di fresca aria economica porta il cambiamento in America Latina", anche se scopriamo che "il debito estero latinoamericano continua a salire malgrado gli accordi" (Nathaniel Nash, "New York Times"). Un altro articolo recita: "I sudamericani trovano che la riforma economica ha dei costi sociali iniziali e la gente sostiene che la nuova ricchezza è lenta a diffondersi verso il basso" (Thomas Kamm, "Wall Street Journal"). Ma, se abbiamo pazienza, tutto si aggiusterà. Come al solito, questi articoli non ci dicono che le famose politiche "trickle down", della diffusione spontanea di gocce di ricchezza nella società, in passato hanno prodotto un gocciolio di benessere veramente minimo e, leggendo attentamente la situazione, si capisce perché ci si possa aspettare lo stesso risultato anche questa volta. Gli indicatori, visti da Washington e dall'Europa, sembrano ottimi, sostiene Kamm, ma nascondono una rapida concentrazione della ricchezza, una povertà crescente con molti nuclei familiari al di sotto della soglia di sopravvivenza, una diminuzione dei salari reali e le solite conseguenze di tali 'miracoli'. L'ex presidente brasiliano, Josè Sarney, scrive che "in ogni paese" dell'America Latina le banche straniere e gli altri usuali beneficiari mietono i loro profitti, "e quel che resta è la disoccupazione, salari da schiavitù ed indicatori sociali terribili". "I ricchi continuano ad arricchirsi, il divario tra di loro e le classi medie e basse si approfondisce", e nessuna delle politiche che sembravano così promettenti "è stata capace di cancellare la povertà" (Nash). Un fallimento strano ed inaspettato, ci è dato di capire (42).
Il successo più fenomenale del capitalismo in America Latina è quello del Cile, con la sua "prospera economia da libero mercato prodotta dal generale Augusto Pinochet" (Nash). Si tratta di una verità consolidata e da tutti ripetuta: è vero, Pinochet era un duro, ma il 'miracolo economico' portato avanti dai suoi 'Chicago Boys' dal 1974 al 1989 è sotto gli occhi di tutti. Da ammirare quindi, sempre che non lo si guardi troppo da vicino.
Il 'miracolo' di Pinochet si sarebbe poi misteriosamente trasformato in meno di dieci anni nella "catastrofe cilena", scrive David Felix. Se guardiamo da vicino la situazione cilena scopriamo ad esempio che, nel tentativo di salvare l'economia, il governo di Pinochet si impossessò praticamente dell'intero sistema bancario del paese, portando alcuni a descrivere la transizione da Allende a Pinochet come "un passaggio dal socialismo utopico a quello scientifico, visto che i mezzi di produzione stanno finendo nelle mani dello stato" (Felix), oppure "la strada di Chicago al socialismo". Il periodico antisocialista "Economist Intelligence Unit" di Londra scrisse a questo proposito che "il presidente Pinochet, fedele seguace del libero mercato, aveva un controllo molto più completo sulle 'chiavi dell'economia' di quanto il presidente Allende non avesse mai sognato". Dopo che lo stato rivendette a prezzi stracciati al settore privato sia le imprese che aveva precedentemente acquistato sull'orlo del fallimento e risanate, sia le industrie pubbliche più efficienti e redditizie, che generavano il 25% delle entrate del governo; la parte di economia controllata dal governo nel 1983, notano Joseph Collins e John Lear, era paragonabile per estensione a quella dei tempi di Allende. Le società multinazionali guadagnarono molto in questo processo, assumendo il controllo di ampi settori dell'economia del paese. Citando degli economisti cileni, James Petras e Steve Vieux riferiscono che "nell'ondata di privatizzazioni del 1986-87 furono concessi agli acquirenti finanziamenti per circa 600 milioni di dollari", anche nel caso di "attività gestite in modo efficiente e che producevano utili". Si prevede inoltre che le privatizzazioni ridurranno le entrate dello stato nel periodo 1990-1995 tra i 100 ed i 165 milioni di dollari.
Continuando ad esaminare i dati del 'miracolo' vediamo come solo nel 1980, il prodotto interno lordo pro capite in Cile raggiunse il livello del 1972 (all'epoca di Allende) e, nel corso dei sette anni precedenti, gli investimenti si mantennero inferiori a quelli della fine degli anni '60, mentre la disoccupazione era di molto cresciuta. Inoltre, tra il 1973 ed il 1985, la spesa sanitaria pro capite venne più che dimezzata innescando l'esplosiva diffusione di malattie legate alla povertà come il tifo e l'epatite virale. Dal 1973, i consumi della popolazione cilena diminuirono del 30% per il 20% più povero della popolazione di Santiago, mentre aumentarono del 15% per il 20% più ricco. Ospedali privati mettevano orgogliosamente in mostra le loro attrezzature ad alta tecnologia per i ricchi, mentre quelli pubblici offrivano appuntamenti a mesi di distanza e medicine che la gente non poteva permettersi. L'educazione universitaria, aperta a tutti sotto Allende, adesso è riservata ai soli privilegiati; questi ultimi non saranno più influenzati dai 'sovversivi' che sono stati eliminati, ma frequenteranno corsi di "sociologia, scienze politiche ed economia... paragonabili ad una sorta di catechismo sulla verità rivelata del libero mercato e del pericolo rosso" (Tina Rosenberg). Proprio come in Brasile sotto i generali, o in altri posti a noi familiari. Non certo più brillanti sono i dati macroeconomici degli anni di Pinochet, generalmente peggiori di quelli dei due decenni precedenti; la crescita media del prodotto nazionale lordo dal 1974 al 1979 fu pari alla metà di quella del periodo tra il 1961 ed il 1971, mentre dal 1972 il P.N.L. pro capite diminuì del 6,4% e calarono del 23% i consumi (pro capite). La capitale Santiago adesso è "tra le città più inquinate del mondo", osserva Nathaniel Nash, grazie al modello monetarista del libero mercato di Friedman con il suo slogan "Produrre, produrre, produrre", succeda quel che succeda - un atteggiamento che in altri contesti, e quando ci fa comodo, denunciamo come 'stalinista'. E quel che 'successe' fu proprio il determinarsi di una situazione caratterizzata dagli "spaventosi costi del disinquinamento... e dagli spaventosi costi del lasciare le cose come stanno" in un paese con "alcune delle fabbriche più sporche del mondo", nessun regolamento, una grave contaminazione delle falde acquifere ed una rovina generale dell'ambiente, con le relative temute conseguenze per la salute della popolazione.
E grazie al 'miracolo cileno', insieme ad una piccola spinta data dagli Usa
per 'costringere l'economia alla resa' sotto il governo Allende, la proporzione
della popolazione caduta al di sotto della soglia di povertà (il reddito
minimo necessario all'alimentazione ed alla casa) è salita dal 20% del
1970 al 44,4% del 1987.
"Non esattamente un miracolo", sottolinea Edward Herman (43).
Una volta, ci dicono i commentatori sulla base delle verità ufficiali del 1992, i nostri pupilli latinoamericani non ascoltavano i nostri saggi consigli. Adesso, però, con la vittoria mondiale del liberismo economico e del libero scambio, hanno compreso finalmente la saggezza delle nostre parole. Il coro di autoadulazioni non è turbato dal fatto che noi stessi non abbiamo mai seguito quel modello, come del resto tutti i paesi sviluppati (tranne che in alcuni casi quando ciò era vantaggioso) e che, a differenza di quanto si sostiene, l'America Latina ha generalmente seguito i nostri consigli, come illustra l'esempio del Brasile. E non si tratta di un caso isolato. L'Alleanza per il Progresso delle amministrazioni Kennedy e Johnson ne è un altro. Uno dei suoi successi più famosi fu il Nicaragua di Somoza. Il 'miracolo' fu talmente catastrofico da fornire una solida base popolare alla rivoluzione sandinista del 1979. L'economista nicaraguense più stimato durante la guerra Usa contro il Nicaragua, Francisco Mayorga, diventò lo zar dell'economia sotto il nuovo governo della Uno appoggiato dagli Usa (ma fu presto dimenticato quando le politiche di risanamento da lui avviate con l'incoraggiamento degli Stati Uniti si rivelarono un completo fallimento). In ogni caso, nei suoi giorni di gloria, i media e tutti coloro che tessevano le lodi di Mayorga ignorarono deliberatamente la sua principale opera accademica. In questa interessante ricerca del 1986, Mayorga esaminava il fallimento del 'modello monetarista' predicato ed appoggiato entusiasticamente dagli Usa che, alla vigilia della rivoluzione sandinista del 1979, aveva portato l'economia "sull'orlo del collasso", forse irreversibile, a prescindere da qualunque politica economica fosse stata seguita e persino senza l'immenso prezzo pagato dal Nicaragua per il terrorismo e la guerra economica statunitense (44).
Ignorando tranquillamente i dati più importanti della situazione (e soprattutto, l'innominabile responsabilità degli Usa), gli specialisti sull'America Latina ci informano dalle colonne dei giornali che ora "per i pionieri commerciali dell'era post-sandinista, il Nicaragua è maturo per un ritorno [degli investitori esteri] dopo un decennio di cattiva amministrazione rivoluzionaria e due anni di riabilitazione fiscale sotto il presidente Violeta Chamorro" (Pamela Constable). E' vero, gli uomini d'affari vedono tuttora dei problemi, nota Constable: "La continua minaccia di violenze da parte dei sindacati" e delle fazioni armate nelle campagne, e "l'irrisolto status delle proprietà" confiscate dai sandinisti. Ma i 'pionieri commerciali' sono ottimisti. Particolarmente sollevati sono i banchieri ed i loro clienti. I sandinisti avevano nazionalizzato le banche "e cominciato a concedere i prestiti statali ai contadini, alle cooperative rurali ed alla piccola industria ad alto rischio" scrive Tim Johnson sul "Miami Herald". Ma per fortuna ora è finita e, come commenta un banchiere privato: "Il pubblico comincia a esigere più servizi dagli istituti di credito".
Per 'pubblico' non si intendono certo i contadini, la cui marcia contro la fame veniva riportata pochi giorni dopo dalla stampa messicana, o l'esercito dei disoccupati, o i bambini che fiutano la colla, o le figure che, in condizioni subumane, celebrano la vittoria del capitalismo e della democrazia cercando rifiuti nel mondezzaio di Managua.
Poco dopo l'insediamento del nuovo presidente, la Banca Nazionale per lo Sviluppo (B.N.D.), governativa, annunciò una nuova politica del credito varata in seguito alle pressioni delle istituzioni internazionali creditrici: "Sotto il governo sandinista - scrive il "Central America Report" - la B.N.D. forniva sussidi e prestiti a basso tasso di interesse alle cooperative ed ai piccoli agricoltori con pochissime condizioni, ma quei giorni sono finiti". Adesso ci saranno "solo prestiti garantiti a clienti in grado di fornire solide garanzie, lasciando la maggior parte dei contadini in mezzo ad una strada". Un'altra caratteristica della nuova politica del credito dovrebbe essere quella "di rendere impossibile ai lavoratori il pagamento dei debiti e delle rate mensili per l'acquisto di aziende nelle quali lavorano", condizione questa imposta dagli Usa per sospendere la loro guerra economica. In tal modo si supererà un 'serio' difetto del processo di privatizzazione: il fatto che il passaggio delle aziende ai privati, sotto la diabolica influenza dei sandinisti, aveva permesso alla classe sbagliata - i lavoratori - di ottenere una parte della proprietà. Questo non è affatto corretto e contraddice la nozione di 'miracolo economico'.
Comunque non c'è da preoccuparsi. Il tradizionale idealismo Usa farà sì che le politiche del libero mercato non vengano portate alle estreme conseguenze: "La B.N.D. sta considerando la possibilità di finanziare i produttori più grossi... fino al 70% dei costi di produzione", nota il CAR.
La mano degli Usa si intravede anche nelle misure per superare 'l'irrisolto problema dello status della proprietà' che turba i 'pionieri commerciali' ed i loro sostenitori nella stampa americana. Il giornale "Envio" scrive che "il rivolgersi delle banche statali verso le attività produttive medio-grandi diventò evidente nel 1991, quando la B.N.D. chiuse 16 uffici locali nelle piccole città delle regioni centrali del paese. Meccanismi tradizionali di finanziamento come il credito a usura, le vendite anticipate e la mezzadria - i cui costi per i contadini sono noti - stanno tornando in voga". I contadini saranno costretti a lasciare le loro terre, e queste ritorneranno ai loro proprietari originari.
Per incoraggiare questa evoluzione naturale della situazione, l'esercito e la polizia nazionale - scrive il CAR - stanno "utilizzando ogni forma di violenza ed umiliazione" per evacuare i contadini dalle terre che erano state date loro sulla base di decreti costituzionali introdotti dai sandinisti, con i quali "terre coltivate ed altre proprietà abbandonate o liquidate... erano distribuite ai braccianti nella forma di piccoli appezzamenti per l'autoconsumo o fattorie-cooperative". Nel giugno del 1992, 21 fattorie furono 'ripulite' con la violenza dalle forze di sicurezza, per essere riconsegnate ai loro proprietari precedenti; in 11 casi, secondo il Centro per i Diritti Umani del Nicaragua ("Cenidh"), a membri della famiglia Somoza. Il 30 giugno - continua il CAR - 300 tra poliziotti e soldati "hanno sfrattato con la forza 40 famiglie di contadini" aizzando loro contro cani feroci, bastonando uomini, donne e bambini, minacciando di uccidere coloro che non se ne volevano andare, bruciando case e raccolti, e arrestando attivisti dell'Associazione dei Lavoratori Rurali. Inoltre, secondo le accuse del "Cenidh", le forze di sicurezza avrebbero imposto "un clima di paura e di ricatto" per impedire ai contadini di organizzarsi.
C'è da ricordare, a tale riguardo, che secondo alcune statistiche la polizia sarebbe ora per metà costituita da ex Contra. Tuttavia, il fatto che gli Usa non siano riusciti ad ottenere il pieno controllo delle forze di sicurezza nicaraguensi ha suscitato il forte sdegno di Washington e della stampa. Uno degli obiettivi principali della guerra condotta dagli Stati Uniti contro il Nicaragua era stato quello di ripristinare il loro tradizionale controllo sull'esercito in modo da metterlo in grado di imporre ancora una volta, come ai tempi di Somoza, i 'principi regionali' tipici del Salvador, del Guatemala e dell'Honduras (45).
A questo proposito, scrive il CAR, va rilevato che da quando il governo della Uno, appoggiato dagli Usa, ha vinto le elezioni del 1990, la povertà nelle zone rurali è "aumentata drammaticamente" a causa dell'accelerazione delle politiche neoliberiste, che hanno "rovinato i piccoli e medi agricoltori nicaraguensi". Nelle campagne la gente "diventa ogni giorno più disperata: più del 70% dei bambini soffre per la malnutrizione, mentre la percentuale di disoccupati oscilla tra il 65% e 1'89% degli abili al lavoro". Nella regione della costa atlantica, "non soffrono solo i contadini, ma anche i pescatori che stanno perdendo l'80% dei loro guadagni a favore delle compagnie straniere, alle quali il governo della Uno ha concesso l'autorizzazione di pescare nelle acque costiere". Gravi malattie che erano state eliminate sotto i sandinisti adesso si stanno di nuovo diffondendo nella regione, dove il 90% degli abitanti non è in grado di soddisfare i suoi più elementari bisogni. Un rappresentante del Sindacato Nazionale dei Contadini e degli Allevatori di Bestiame ("Unag") sostiene che le restrizioni nella concessione dei prestiti ai contadini "ci stanno uccidendo": "Le grosse fattorie non tradizionali ricevono tutti i finanziamenti necessari, ma il contadino che coltiva fagioli o granturco per sfamare la sua famiglia viene abbandonato alla bancarotta ed alla carestia". Secondo l'"Unag" 32 mila famiglie sopravvivono mangiando "radici e vuote tortille al sale". L'apertura dell'economia, tramortita dall'embargo Usa e dalla guerra terroristica, osserva John Otis, ha "costretto le industrie locali del Nicaragua alla concorrenza con le gigantesche imprese multinazionali". Mentre il paese viene sommerso dai prodotti stranieri, il numero delle piccole industrie è diminuito dalle 3800 ancora in vita ai tempi dell'insediamento della Chamorro alle 2500 di due anni dopo; il Nicaragua ora importa dal Wisconsin, con un'etichetta nicaraguense, persino la propria birra nazionale. Insieme alle imprese estere, a favore delle quali sono state elaborate quelle politiche, fioriscono adesso gli importatori, gli intermediari, i negozi di lusso e gli arricchiti locali. Gli altri, compreso quel 50% e forse più di disoccupati, possono aspettare che qualche 'goccia di ricchezza' arrivi fino a loro (46).
In Nicaragua, dalla caduta dei sandinisti ad oggi, il reddito pro capite è precipitato ai livelli del 1945; i salari reali corrispondono al 13% del loro valore del 1980, e sono ancora in diminuzione. La mortalità infantile e le nascite di bambini sottopeso sono in aumento, ribaltando così le tendenze precedenti. La riduzione del 40% della spesa sanitaria, nel marzo del 1991, ha seriamente compromesso le già insufficienti forniture di medicinali. Gli ospedali pubblici funzionano a malapena, anche se i ricchi possono avere comunque quello di cui hanno bisogno: il paese sta così tornando al 'modello centroamericano'. "Il diritto all'assistenza sanitaria non esiste più nel Nicaragua postbellico", a parte coloro che possono permetterselo, sostiene un rapporto della Chiesa Evangelica ("Cepad"). Una ricerca sul fenomeno della prostituzione rivela che l'80% di coloro che la esercitano, tra cui molte adolescenti, hanno iniziato a lavorare da non più di un anno. Nel maggio del 1992, il Congresso Usa sospese l'erogazione di circa 100 milioni di dollari di aiuti già approvati, a causa della presunta assistenza governativa ad organizzazioni sandiniste ed alla mancata restituzione delle proprietà ai precedenti padroni. "Ufficiosamente", riportava a questo proposito la stampa messicana, "si è saputo che il governo darà priorità ai cittadini degli Stati Uniti, ai principali uomini d'affari nicaraguensi ed ai capi degli ex Contra", in particolare la "North American Rosario Mining Company", che reclama le miniere d'oro nel nord-est. Il problema centrale, osserva Lisa Haugaard dell'Istituto Storico Centroamericano, è "se le oltre 100 mila famiglie di contadini che avevano ricevuto dai sandinisti i titoli di proprietà sulle terre dove lavoravano potranno conservarle", come la Uno aveva promesso, oppure no, come chiesto dagli Usa.
Un altro problema è costituito dall'indipendenza delle forze di sicurezza. Secondo una politica consolidata, Washington vuole che siano sotto il suo controllo - che gli ufficiali sandinisti siano licenziati, per usare le parole d'ordine preferite dalla propaganda dei media e del governo Usa. Altri paesi industrializzati, non avendo interesse a dominare "la nostra piccola regione laggiù", ritengono assurda questa richiesta e considerano il fronte sandinista come "un [partito] dalla struttura solida e dal rilevante peso politico", l'unico partito del paese con una vasta base popolare (Detlev Nolte, capo dell'Istituto Tedesco per gli Studi Iberoamericani). Essi accusano inoltre la politica Usa, come aggiunge un altro specialista tedesco dell'America Latina, di "polarizzare nuovamente la situazione nicaraguense". In linea con il suo profondo impegno ad impedire persino la minima dimostrazione d'indipendenza da parte del Nicaragua, anche quando il Congresso dette il via libera agli aiuti per Managua, l'amministrazione Bush li bloccò di nuovo (47).
Mentre contempliamo quel che abbiamo realizzato ed il glorioso futuro che ci aspetta, possiamo essere orgogliosi di "essere serviti da ispirazione per il trionfo della democrazia nella nostra epoca", come esultava il mensile "New Republic" dopo la vittoria della 'parte giusta' nelle elezioni in Nicaragua. Una "strada già spianata" dalla dura minaccia di Washington secondo cui qualsiasi altro esito delle elezioni presidenziali avrebbe comportato la continuazione dello strangolamento economico e del terrore. Possiamo cosi unirci alla stampa nel suo elogio della violenza e del terrorismo di Washington, assegnando "buoni voti a Reagan & Co" per i gratificanti mucchi di cadaveri mutilati e le orde di bambini affamati del Centroamerica e, come ci hanno consigliato, riconoscere che dobbiamo dare assistenza militare "ai fascisti stile latino... senza riguardo al numero delle vittime" perché "le priorità americane sono più importanti dei diritti umani salvadoregni" (48).
Ricordiamo che secondo la dottrina ufficiale, la catastrofe economica registratasi negli ultimi anni in America Latina è conseguenza dello statalismo, del populismo, del marxismo ed altre malvagità del genere, e che quindi ora vi si può mettere riparo con le appena riscoperte virtù del monetarismo e del libero mercato. Questo scenario è "completamente falso", rilevano James Petras e Steve Vieux. I nuovi rimedi, ora così celebrati, sono in realtà le ricette che in passato hanno portato alla catastrofe - con il grande contributo del terrorismo, sponsorizzato dagli Usa, e della guerra economica. Inoltre, non va dimenticato che in realtà il dogma neoliberista impera da anni in queste 'aree da esperimenti' economici e politici sotto il controllo degli Usa. Basti ricordare che le spese sociali sono diminuite fortemente dal 1980, portando al disastro della sanità pubblica e al decadimento del sistema scolastico, tranne che per quei settori riservati ai ricchi; la crescita si è fermata o è andata calando. C'è stata una sola area nella quale si registrano progressi: quella delle privatizzazioni che hanno portato grandi vantaggi ai settori benestanti nazionali ed esteri, e diminuito ancor più le entrate statali quando, come in Cile, furono vendute 'attività gestite in modo efficiente, che producevano utili'. "I brutali programmi di austerità degli anni '80 erano opera di neoliberisti dottrinari", continuano Petras e Vieux, ed i "tristi risultati" derivano direttamente dal loro fervore ideologico. L'enorme debito, accumulato in seguito agli stretti rapporti tra le élite nazionali economico-militari e le banche straniere inondate di petrodollari, va pagato dai poveri. "I lavoratori salariati sono quelli che più si sono sacrificati nel produrre gli utili necessari per poter pagare il debito estero", osserva la "World Economic Survey 1990" delle Nazioni Unite.
"L'America Latina più di qualsiasi altra area geografica del mondo - scrive il giornalista Marc Cooper - ha preso sul serio la rivoluzione reaganiana" - ma non certo per sua scelta. Il decennio è stato segnato dalle privatizzazioni, dalla "deregulation", dal 'libero scambio', dalla distruzione dei sindacati e delle organizzazioni popolari, dall'apertura delle risorse naturali (inclusi parchi e riserve nazionali) agli investitori stranieri, e da tutto quel che ne consegue. Gli effetti, come si poteva prevedere, sono stati disastrosi (49).
Anche la celebrazione di queste politiche nell'establishment culturale è del tutto prevedibile. La colpa delle catastrofi passate deve essere data ad altri. Qualsiasi ruolo giocato dai padroni Usa è, per natura, tutt'al più marginale, attribuibile alle necessità della guerra fredda. E mentre le vecchie dottrine producono nuovi 'miracoli economici', gli ideologi del privilegio hanno tutte le ragioni di applaudire, come hanno sempre fatto, e come continueranno a fare finché il potere assegnerà loro questo compito.
Note:
N. 37. Skidmore, Evans, Felix, op. cit. Hagopian, recensione di Skidmore,
"Politics", "Fletcher Forum", estate 1990. Sul Cile, Herman,
"Real Terror Network", 189n. (Citando l'intervista con Harberger,
Norman Gall, "Forbes", 31 marzo 1980).
N. 38. James Petras e Steve Vieux, 'Myths and Realities: Latin America's Free
Markets', "Monthly Review", maggio 1992; aggiornamento, m.s., SUNY
Binghamton. CIIR, "Brazil". Brooke, "New York Times", 28
agosto 1992.
N. 39. James Markham, "New York Times Week in Review", 25 settembre
1988. Wrong, "Dissent", primavera 1989. Roberts, 'Democracy and World
Order', "Fletcher Forum", estate 1991.
N. 40. Simpson, "Spectator", 21 marzo 1992. Petras e Pozzi, "Against
the Current", marzo-aprile 1992. Felix, 'Reflections on Privatizing and
Rolling Back the Latin American State', m.s., Washington University, luglio
1991.
N. 41. David Clark Scott, "Christian Science Monitor", 30 luglio 1992.
Salvador Corro, "Proceso" (Messico), 18 novembre 1991 (LANU, gennaio
1992). U.N. Report on the Environment, "Associated Press", 7 maggio
1992. La Botz, "Mask", p. 165, 158. Andrew Reding e Christopher Whaien,
"Fragile Stability"; "Mexico Project", World Policy Institute,
1991. Barkin, "Report on the Americas" (NACLA), maggio 1991; 'Salinastroika',
m.s., agosto 1992. Baker, "Washington Post", 10 settembre 1991, citato
in Reding e Whalen.
N. 42. Nash, "New York Times", 13 novembre 1991; 1ø agosto
1992. Kamm, "The Wall Street Journal", 16 aprile 1992.
N. 43. Felix, 'Financial Blowups', 'Reflections on Privatizing', 'Latin American
Monetarism in Crisis', in "'Monetarism' and the Third World", Institute
of Development Studies, Sussex, 1981. Dati compilati dall'economista cileno
Patricio Mueller; UN ECLA Poverty Study, Santiago, 1990, (Felix, p.c.). Petras
e Vieux, 'Myths and Realities'. "Economist Intelligence Unit" citato
in Doug Henwood, "Left Business Observer", n. 50, 7 luglio 1992. Collins
e Lear, 'Pinochet's Giveaway', "Multinational Monitor", maggio 1991.
Rosenberg, "Dissent", estate 1989. Herman, lettera, "Washington
Report on the Hemisphere", 3 giugno 1992. Nash, "New York Times",
6 luglio 1992.
N. 44. Mayorga, "Nicaraguan Economic Experience". Per ulteriori discussioni
vedi Chomsky, "Deterring Democracy".
N. 45. Constable, "Boston Globe", 4 marzo, p. 150. Golden, "Miami
Herald", 5 marzo. Agenzie di stampa, "Excelsior". 12 marzo 1992
("Central America Newspak"). "Central America Report", 31
luglio 1992.
N. 46. "Central America Report", 18 ottobre 1991; 8 maggio 1992. Otis,
"San Francisco Chronicle", 1ø agosto 1992.
N. 47. "Links" (National Central American Health Rights Network),
estate 1992. "CEPAD Report", genn.-febbraio 1992. "Excelsior",
11 giugno 1992 ("Central America Newspak"). Haugaard, CAHI, Georgetown
University; "Inter Press Service", 9 agosto 1992 ("Central America
Newspak").
N. 48. Per approfondimenti, vedi Chomsky, "Turning the Tide", cap.
3.9; "Deterring Democracy", cap. 10.
N. 49. Petras e Vieux, 'Myths and Realities'. Cooper, "New Statesman &
Society", Londra, 7 agosto 1992. Sui progetti F.M.I.-Usa nei Caraibi, vedi
Deere, "In the Shadows". McAfee, "Storm Signals". Per informazioni
regolari sul Centroamerica, vedi Chomsky, "Political Economy and Human
Rights", "Towards a New Cold War", "Turning the Tide",
"Culture of Terrorism", "Necessary Illusions", "Deterring
Democracy", ed altre fonti già citate .