PARTE TERZA.
LA STESSA VECCHIA STORIA.
Capitolo 7.
VECCHI E NUOVI ORDINI MONDIALI.
Gli Usa erano "l'alleato più sicuro del regime", osserva Thomas Skidmore nella più estesa ricerca accademica sui successivi sviluppi della situazione brasiliana. L'assistenza Usa 'salvò' i generali al potere e quel processo "trasformò gli Usa in una sorta di Fondo Monetario Internazionale unilaterale, che controllava ogni aspetto della politica economica brasiliana". Il nuovo ambasciatore Usa nel 1966 scoprì che: "In quasi tutti gli uffici brasiliani, cui spettava di amministrare le impopolari decisioni sulle tasse, i salari o i prezzi, c'era un onnipresente consigliere americano". Ancora una volta, gli Usa erano in una posizione ideale per utilizzare il Brasile come "una zona di collaudo per moderni metodi scientifici di sviluppo industriale" (Haines), e quindi avevano tutto il diritto di assumersi il merito dei risultati che ne sarebbero derivati. Sotto la guida di Washington, il Brasile seguì ortodosse politiche neoliberiste, "facendo tutto quel che era giusto" secondo i criteri monetaristi, e "rafforzando l'economia di mercato" (Skidmore). Il 'miracolo economico' non casualmente procedette di pari passo con il rafforzamento del fascista 'stato per la sicurezza nazionale'; del resto un regime che non poteva usare il bastone difficilmente sarebbe riuscito ad attuare misure economiche con un impatto così devastante sulla popolazione.
Ma, continua Skidmore, le riforme neoliberiste non ebbero successo nel "costruire il capitalismo brasiliano" (anche se contribuirono a 'costruire' i profitti delle società straniere). Al contrario esse provocarono una severa recessione industriale, portando molte aziende alla rovina. Per mitigare questi effetti, e per impedire un ulteriore controllo straniero sull'economia, il governo fu costretto a rivolgersi al settore pubblico, rafforzando le prima disprezzate società statali.
Nel 1967, la politica economica venne messa nelle mani dei tecnocrati guidati dall'eminente economista conservatore Antonio Delfim Neto, un sostenitore entusiasta della 'rivoluzione del 31 marzo', che egli considerava come "un'importante espressione della società" ed "il prodotto di un consenso collettivo" (di coloro che ufficialmente vengono definiti come 'società', cioè i ricchi ed i potenti). Dichiarando la sua fedeltà ai principi del liberismo economico, il governo istituì un rigido controllo a tempo indeterminato sulle dinamiche salariali. "Le proteste dei lavoratori, fino a quel momento deboli e rare, vennero facilmente soppresse", nota Skidmore, mentre il potere fascista si consolidava ulteriormente su tutta la società con una severa censura, l'eliminazione dell'indipendenza della magistratura, il licenziamento di molti professori e l'introduzione di nuovi programmi scolastici per promuovere il patriottismo. Il nuovo corso obbligatorio di 'educazione morale e civica' si proponeva di "difendere i principi democratici salvaguardando lo spirito religioso, la dignità dell'essere umano e l'amore per la libertà, con un forte senso di responsabilità, sotto l'ispirazione di Dio" - il tutto amministrato dai generali, con i tecnocrati al loro fianco. Gli autori della piattaforma repubblicana per la campagna presidenziale Usa del 1992 ne sarebbero rimasti favorevolmente colpiti, così come i 'conservatori' stile anni '80.
Nel 1970 il Presidente brasiliano annunciò che la repressione sarebbe stata "dura e implacabile", con l'abolizione di ogni diritto per coloro che agivano da "pseudo-brasiliani". La tortura divenne un "macabro rituale, un assalto pianificato al corpo ed all'anima", scrive Skidmore, con varianti quali la tortura dei bambini e lo stupro collettivo delle mogli davanti alle famiglie riunite. "L'orgia di tortura" diede "un chiaro avvertimento" a chiunque in Brasile e nell'emisfero avesse idee sbagliate. Si trattò di uno "strumento molto efficace" che "rese ancor più facile a Delfim ed ai suoi tecnocrati evitare un dibattito pubblico sulle priorità economiche e sociali delle loro politiche", lasciando loro il tempo di "predicare le virtù del libero mercato". La ripresa di una vigorosa crescita economica, grazie a metodi quali la tortura, rese il Brasile "nuovamente allettante per gli investitori privati stranieri", i quali si impadronirono di gran parte dell'economia. Alla fine degli anni '70, "in Brasile le industrie controllate dal capitale locale [erano] delle stesse ridotte dimensioni di quelle che negli Usa sono tipiche della piccola imprenditoria"; le multinazionali ed i loro soci locali dominavano invece i più redditizi settori in crescita anche se, con i cambiamenti avvenuti nell'economia internazionale, circa il 60% del capitale straniero non proveniva dagli Usa (Peter Evans).
Le statistiche macroeconomiche continuarono a essere soddisfacenti, continua Skidmore, con una rapida crescita del P.N.L. e degli investimenti stranieri. In particolare un 'impressionante' miglioramento nelle ragioni di scambio (il rapporto tra i prezzi medi delle esportazioni e quelli medi delle importazioni, N.d.C.) nei primi anni '70 diede nuovo slancio ai generali e ai tecnocrati. Essi si attennero fermamente alla dottrina secondo la quale "la vera soluzione alla povertà e alla distribuzione ineguale del reddito è la rapida crescita economica che aumenta così l'insieme della torta dell'economia" e, così facendo, suscitarono il plauso dell'Occidente. Ma uno sguardo più attento rivela però quali realmente siano stati gli effetti della dottrina neoliberista. I ritmi di crescita dal 1965 al 1982, nel periodo dello 'stato per la sicurezza nazionale', non furono mediamente più alti di quelli relativi al periodo del governo parlamentare dal 1947 al 1964, osserva l'economista David Felix, malgrado il vantaggio di un forte potere autoritario di cui godevano i fascisti neoliberisti; inoltre la media dei risparmi interni aumentò a malapena durante gli 'anni del miracolo', nel periodo del 'consumismo di destra' stimolato dai generali e dai tecnocrati, quando il mercato interno era dominato dai prodotti di lusso per i ricchi. Ciò non dovrebbe suonare come una novità per altri che sono stati sottoposti alle medesime dottrine, inclusi i cittadini Usa durante la 'rivoluzione reaganiana'.
Il Brasile così divenne "per le industrie manifatturiere americane, il mercato straniero con la crescita più rapida", osserva Evans, con alti tassi di rendimento sugli investimenti, secondi solo a quelli della Germania tra la fine degli anni '60 ed i primi anni '70. Intanto il paese si trasformava sempre più in una sorta di sussidiaria di proprietà straniera. Drammatiche poi le conseguenze di tali dottrine sulla popolazione: una ricerca della Banca Mondiale condotta nel 1975 - all'apice del 'miracolo' - sostenne che la dieta del 68% degli abitanti era al di sotto del livello minimo di calorie necessarie per un'attività fisica normale e che il 58% dei bambini soffriva di malnutrizione. Inoltre il budget del Ministero della Sanità era in quell'anno inferiore a quello del 1965, con le prevedibili conseguenze (11).
Dopo una visita in Brasile nel 1972, l'analista politico di Harvard Samuel Huntington sollecitò un'attenuazione del terrore fascista, ma con moderazione: "Un allentamento dei controlli", ammonì, potrebbe "avere un effetto esplosivo ed il processo diventare incontrollabile". Huntington, dando più importanza a valori come l''istituzionalismo' e la stabilità che non ai diritti liberali, suggerì il modello monopartitico della Turchia o del Messico.
Pochi anni dopo, la bolla di sapone scoppiò. Il Brasile fu travolto dalla crisi economica globale degli anni '80, particolarmente rovinosa in Africa e nell'America Latina. Le ragioni di scambio peggiorarono rapidamente, facendo cadere uno dei pilastri sui quali si reggevano coloro che tenevano sia i cordoni della borsa che la frusta. L'inflazione ed il debito estero aumentarono vertiginosamente sfuggendo ad ogni controllo, i redditi precipitarono, molte società fallirono, il tasso di mancata utilizzazione delle strutture produttive raggiunse il 50%, "dando un nuovo significato alla parola 'stagflazione (ristagno inflazionistico)'", osserva Skidmore. Quest'ultimo aggiunge poi che la strategia neoliberista di crescita di Delfim arrivò così al 'collasso'. Dopo quattro anni di forte declino, l'economia incominciò lentamente a riprendersi, in gran parte grazie a quella industrializzazione orientata alla sostituzione delle importazioni così disprezzata dalla dottrina economica neoliberista. I generali quindi si tirarono da parte, lasciando un governo civile ad amministrare lo sfascio economico e sociale del 'colosso del Sud'.
Note:
N. 11. Felix, 'Financial Blowups', cap. 4, nota 5. Evans, op. cit. Herman, "Real Terror Network", p. 97.