PARTE TERZA.
LA STESSA VECCHIA STORIA.
Capitolo 7.
VECCHI E NUOVI ORDINI MONDIALI.
Nel 1989, Gerald Haines descrisse i risultati di più di quarant'anni di dominio e tutela Usa come "la storia di un vero successo americano". "Le politiche statunitensi verso il Brasile hanno avuto un grande successo" portando ad "una notevole crescita economica basata saldamente sul capitalismo". In quanto al successo politico, già nel settembre del 1945, quando la 'zona di collaudo' del capitalismo era stata appena aperta alle sperimentazioni del Nord, l'ambasciatore Berle scrisse che "ogni brasiliano adesso può contare su tutti gli strumenti a disposizione di qualsiasi americano durante una campagna elettorale: può tenere discorsi, affittare una sala, raccogliere firme, gestire un giornale, attaccare manifesti, organizzare una parata, chiedere sostegni, parlare alla radio, formare comitati, organizzare un partito e, con qualsiasi mezzo pacifico, tentare di ottenere il suffragio ed il sostegno dei suoi compatrioti" - esattamente come "qualsiasi americano". Siamo tutti uguali, una famiglia felice ed armoniosa, e per questo il governo è così sensibile alle esigenze del popolo, così 'democratico' - nel senso ufficiale della parola, cioè di dominio incontrastato degli interessi economici privati.
Il trionfo della democrazia capitalistica in Brasile ed altrove contrasterebbe quindi drammaticamente con il fallimento del comunismo, anche se in realtà il paragone non è corretto - i paesi comunisti non godevano neppure lontanamente delle favorevoli condizioni di partenza di questa 'zona di collaudo' del capitalismo, con le sue enormi risorse, nessun nemico esterno, accesso libero al capitale e ai sussidi internazionali e, per oltre mezzo secolo, la benevola guida degli Usa. Del resto non si può nascondere che vi sia stato un reale successo: quello degli investimenti e dei profitti Usa andatisi estendendo sin dai primi anni mentre, come scrive Haines: "Washington aumentava la dipendenza economica del Brasile dagli Stati Uniti, influenzava le decisioni del suo governo sulla distribuzione delle risorse e spingeva il paese nel sistema di scambio dominato dagli Usa".
All'interno del Brasile, i "moderni metodi scientifici di sviluppo saldamente basati sul capitalismo" portarono grandi benefici, anche se per capirne la portata e soprattutto i beneficiari, è necessario soffermarsi un po' su quella realtà. Esistono due paesi molto diversi tra loro, scrisse Peter Evans negli anni '70 quando il miracolo era in pieno svolgimento: "Il conflitto di fondo in Brasile è quello tra l'1%, o forse il 5% della popolazione, che comprende le élite dominanti, ed un 80% che è stato lasciato fuori dal 'modello brasiliano' di sviluppo". Il primo Brasile, moderno e occidentalizzato, ha tratto grandi vantaggi dal 'vero successo del capitalismo'. Il secondo è affondato nella miseria più profonda. Per i tre quarti della popolazione di questo 'possente regno dalle illimitate potenzialità', le condizioni di vita dei paesi dell'Est sono un sogno impossibile.
La storia di questo 'vero successo americano' fu descritta in una ricerca commissionata dal nuovo governo civile brasiliano nel 1986. Quel lavoro dette del paese "un'immagine ora ben nota", osserva Skidmore. "Malgrado si vanti di essere l'ottava potenza economica del mondo occidentale, il Brasile in materia di assistenza sociale rientra nella stessa categoria dei paesi africani o asiatici meno sviluppati"; questo era il risultato di "vent'anni di libertà d'azione per i tecnocrati" e delle dottrine ufficiali neoliberiste, le quali "hanno fatto crescere la torta" senza modificare "una distribuzione del reddito tra le più inique del mondo" e ridurre le "spaventose carenze" nel settore sanitario e dell'assistenza in generale. Il "Report on Human Development" dell'Onu (che analizzava i livelli di istruzione, salute, eccetera) collocò il Brasile all'ottantesimo posto, vicino ad Albania, Paraguay e Tailandia. Poco dopo, nell'ottobre del 1990, la Fao annunciò che più del 40% della popolazione brasiliana (quasi 53 milioni di persone) soffriva la fame. Quest'ultima secondo il locale Ministero della Sanità ucciderebbe centinaia di migliaia di bambini ogni anno. L'Unesco, da parte sua, sulla base dei dati del 1990 ritiene che il sistema scolastico brasiliano sia superiore solo a quello della Guinea-Bissau e del Bangladesh (12).
In una relazione del maggio del 1992 "Americas Watch" riassume così la 'storia di quel successo': "Ricco di risorse naturali e con una larga base industriale, il Brasile ha il più alto debito tra i paesi in via di sviluppo ed un'economia che sta entrando nel secondo decennio di crisi acuta. Tragicamente, il Brasile non può assicurare un livello di vita adeguato ai suoi 148 milioni di abitanti, i due terzi dei quali nel 1985 erano malnutriti. La loro miseria è frutto, ed è aggravata, dall'impossibilità di accedere alla terra" in un paese con "uno dei livelli di concentrazione di proprietà terriera più alti del mondo", e uno dei più iniqui sistemi di distribuzione dei redditi.
La carestia e le malattie dilagano, insieme alla servitù dei lavoratori a contratto che sono maltrattati o semplicemente uccisi se tentano di fuggire prima di aver saldato il loro debito con il padrone. In uno dei nove casi di schiavitù rurale scoperti dalla Commissione Terriera della Chiesa Cattolica nei primi mesi del 1992, vennero trovati 4000 lavoratori schiavizzati che estraevano il carbone in un progetto agricolo creato e finanziato dal governo militare nell'ambito di un 'programma di rimboschimento' (rimasto peraltro sulla carta, ad eccezione delle miniere di carbone). Nei latifondi, i braccianti schiavizzati lavorano 16 ore al giorno senza paga e spesso sono battuti e torturati, a volte assassinati, con impunità quasi completa. Basti pensare che l'1% degli agricoltori possiede quasi la metà delle terre coltivate e che l'importanza data dal governo ai raccolti destinati all'esportazione, secondo le indicazioni dei padroni stranieri, favorisce solamente quegli imprenditori agricoli che hanno capitali da investire ed emargina ulteriormente gli altri. Nel nord e nel nord-est, i ricchi proprietari terrieri impiegano bande di sicari o la polizia militare per incendiare le case ed i raccolti, uccidere il bestiame, assassinare sindacalisti, preti, suore o avvocati che tentano di difendere i diritti dei contadini; con tali mezzi spingono così gli abitanti a fuggire nelle baraccopoli delle città o verso l'Amazzonia, dove poi si dà loro la colpa della deforestazione quando, in un estremo tentativo di sopravvivere, disboscano i terreni per poterli coltivare. I medici ricercatori brasiliani descrivono la popolazione della regione come una nuova sottospecie: 'Pigmei', con il 40% del quoziente intellettuale medio - frutto della grave malnutrizione dei bambini in una regione con moltissima terra fertile nelle mani di grosse società che producono raccolti per l'esportazione (13).
Il Brasile detiene primati come quello della schiavitù infantile, con circa 7 milioni di bambini che lavorano come schiavi o prostitute, sfruttati, oberati di lavoro, privati della salute e dell'istruzione, o semplicemente "della loro infanzia", come rileva una ricerca dell'Organizzazione internazionale del lavoro. I bambini più fortunati possono sperare di lavorare per i narcotrafficanti in cambio di colla da fiutare per "farsi passare la fame". Il loro numero in tutto il mondo è di centinaia di milioni, "una delle più sinistre ironie dell'epoca attuale", commenta George Moffett. Se questo sinistro fenomeno fosse stato riscontrato nell'Europa dell'Est di alcuni anni fa sarebbe stato considerato come una prova della bestialità del nemico comunista; ma visto che è un fatto normale nei possedimenti occidentali, si tratta solo di un'ironia, il frutto della "endemica povertà del Terzo Mondo"... esasperata da quando i governi, a corto di fondi, tagliano le spese per l'istruzione. Tutto ciò senza che vi sia alcun responsabile.
Il Brasile detiene anche il primato della tortura e dell'uccisione dei bambini di strada da parte delle forze di sicurezza - "un processo di sterminio dei giovani", secondo il capo del Dipartimento di Giustizia di Rio de Janeiro (Hélio Saboya), che riguarda i 7-8 milioni di bambini di strada che "mendicano, rubano o fiutano la colla" e "per pochi momenti gloriosi dimenticano chi o dove sono" (il corrispondente del "Guardian" di Londra, Jan Rocha). A Rio, una commissione d'inchiesta ha identificato 15 squadroni della morte, per la maggior parte composti da poliziotti e finanziati dai commercianti. I corpi dei bambini di strada assassinati vengono trovati al mattino fuori dalle zone metropolitane con le mani legate, i segni della tortura e crivellati di proiettili. Le bambine di strada sono costrette a lavorare come prostitute. L'Istituto medico legale ha registrato l'assassinio di 427 bambini a Rio nei primi dieci mesi del 1991, per la maggior parte ad opera degli squadroni della morte. Una ricerca del Parlamento brasiliano pubblicata nel dicembre del 1991 sosteneva che negli ultimi quattro anni erano stati uccisi circa 7000 bambini (14).
Un vero omaggio alla magnificenza dei "moderni metodi scientifici di sviluppo basati saldamente sul capitalismo" in un territorio che "vale la pena di sfruttare" più di qualunque altro al mondo.
Non dovremmo sottovalutare la portata di questi risultati. C'è voluto del talento per creare un tale incubo in un paese così favorito e ricco di risorse quanto il Brasile. Alla luce di simili trionfi, è comprensibile che la classe dominante della Nuova Era Imperiale si dedichi con passione a far sì che anche altri siano partecipi delle meraviglie del capitalismo, e che i manager dell'industria culturale ne celebrino le realizzazioni con tanto entusiasmo ed autocompiacimento.
Note:
N. 12. Skidmore. Evans, p. 4. Mario de Carvalho Granero, presidente di
Brasilinvest Informations and Telecommunications, "O Estado de Sao Paulo",
8 agosto (LANU, settembre 1990). "Latin America Commentary", ottobre
1990. "CIIR, Brazil". Sul contesto più ampio, vedi Chomsky,
"Deterring Democracy", cap. 7.
N. 13. Americas Watch, "Struggle for Land"; giornalista brasiliano
José Pedro Martins, "Latinamerica press", 4 giugno 1992. George
Monbiot, "Index on Censorship", Londra, maggio 1992. Isabel Vincent,
"Toronto Globe & Mail", 17 dicembre 1991. In generale, vedi Hecht
e Cockburn, "Fate".
N. 14. Dimerstein, "Brazil". Blixen, 'War' waged on Latin American
street kids', "Latinamerica press", 7 novembre 1991; Gabriel Canihuante,
Ibid., 14 maggio 1992. Moffett, "Christian Science Monitor", 21 luglio
1992. Maité Pinero, "Le Monde diplomatique", agosto 1992 .