PARTE SECONDA.
I SOMMI PRINCIPI.
Capitolo 5.
DIRITTI UMANI E PRAGMATISMO.
"Il problema dell'Indonesia", scrisse Kennan nel 1948, costituisce "il contenzioso più importante del momento nella nostra lotta contro il Cremlino". "L'Indonesia è l'ancora di quella catena di isole, da Hokkaido a Sumatra, che dovremmo far diventare un contrappeso politico ed economico al comunismo" ed una "base regionale" per possibili azioni militari in un raggio ancor più vasto. Un'Indonesia comunista, avvertiva Kennan, sarebbe portatrice di una "infezione" pronta "ad estendersi verso occidente" attraverso tutta l'Asia del Sud. Il paese, ricco di risorse, era inoltre destinato ad essere un elemento essenziale di quell''impero meridionale' che gli Stati Uniti intendevano ricreare per il Giappone all'interno del loro sistema di dominio.
Secondo la teoria ufficiale, 'l'ultranazionalismo' indonesiano avrebbe impedito all'Asia sud-orientale di 'assolvere alla sua funzione principale' di area subordinata alle potenze industriali del centro.
Così, gli Usa esortarono gli ex dominatori olandesi a concedere l'indipendenza all'Indonesia, ma a mantenerla sotto la loro tutela in quanto, come osserva Leffler, ciò era importante per la "ripresa economica dell'Europa Occidentale, per gli interessi strategici dell'America" e per la ricostruzione del Giappone. L'antagonismo di principio al nazionalismo indipendentista che anima la politica estera Usa assunse, in questo caso, una particolare importanza (4).
Dopo la liberazione dal dominio olandese, il paese venne governato dal leader nazionalista Sukarno. Gli Usa, in un primo momento, tollerarono questa situazione, soprattutto dopo che, nel 1948, il presidente indonesiano e l'esercito schiacciarono nella regione del Madiun un movimento per la riforma agraria capeggiato dal Partito comunista (P.K.I.), spazzando via praticamente l'intera dirigenza del partito ed incarcerando oltre 36 mila persone. Ma ben presto la politica nazionalista e neutralista di Sukarno diventò inaccettabile per Washington.
I due principali centri di potere in Indonesia erano l'esercito ed il P.K.I., l'unica forza politica con una base popolare; la politica interna era dominata dalla capacità di Sukarno di mantenere in equilibrio queste due forze. Gli obiettivi occidentali erano condivisi in gran parte dall'esercito, che quindi aveva le carte in regola per essere considerato 'moderato', ma per raggiungerli era necessario in qualche modo sopraffare gli estremisti anti-americani e, dopo il fallimento di ogni altro tentativo, come ultima carta non rimase che il loro sterminio in massa.
All'inizio degli anni '50, la Cia cominciò ad appoggiare segretamente i partiti di destra e, nel 1957-1958, gli Usa sostennero e parteciparono ad una rivolta armata contro Sukarno, che prevedeva anche la sua eliminazione. Dopo che la ribellione fu schiacciata, gli Usa da una parte iniziarono un programma di assistenza e di addestramento militare e dall'altra tagliarono gli aiuti economici al paese. Si trattava di un classico metodo di preparazione per un colpo di stato, applicato di nuovo alcuni anni dopo in Cile, ed ancora in Iran, subito dopo l'ascesa al potere di Khomeini, con le forniture di armi tramite Israele - fu questo uno degli elementi più importanti della vicenda Iran-Contra, cancellato nella successiva opera di insabbiamento (5). Anche con il contributo delle università e delle grandi imprese.
In una ricerca della "Rand" pubblicata nel 1962 dall'Università di Princeton, Guy Pauker, il quale aveva stretti rapporti con gli ambienti governativi Usa tramite la stessa "Rand" e la Cia, incitava i suoi contatti nelle forze armate indonesiane a prendersi la "piena responsabilità" del paese, a "condurre a termine la loro missione" e ad "agire per ripulire" l'Indonesia. Nel 1963 l'ex ufficiale della Cia William Kintner, il quale lavorava in un istituto di ricerca finanziato dall'Agenzia presso l'Università della Pennsylvania, ammonì: "Se il P.K.I. riesce a mantenere la sua esistenza legale e continua a crescere l'influenza sovietica, è possibile che l'Indonesia diventi il primo paese dell'Asia sud-orientale a essere guidato da un governo comunista con base popolare e legalmente eletto... Nel frattempo, con l'aiuto dell'Occidente, i leader asiatici del mondo libero - insieme all'esercito - mentre liquidano le forze politiche e di guerriglia del nemico, devono non solo resistere e governare, ma anche portare avanti riforme e progredire". Ma le prospettive di una liquidazione delle forze politiche popolari erano considerate incerte. Pauker, in un altro promemoria della "Rand" del 1964, espresse il timore che i gruppi appoggiati dagli Usa "potrebbero non avere quella spietatezza che rese possibile ai nazisti la soppressione del partito comunista tedesco... [Questi elementi militari e di destra] sono più deboli dei nazisti, non solo dal punto di vista numerico e del sostegno di massa, ma anche da quello della loro unità interna, disciplina e capacità di comando".
Il pessimismo di Pauker si sarebbe presto rivelato infondato. In seguito ad un presunto tentato golpe comunista il 30 settembre del 1965 e all'uccisione di sei generali indonesiani, il filo-americano generale Suharto prese il comando e dette il via ad un bagno di sangue nel quale furono massacrate centinaia di migliaia di persone, per la maggior parte contadini senza terra. Ripensando all'accaduto, Pauker nel 1969 disse che sarebbe stato proprio l'omicidio dei generali "l'origine di quella spietatezza che non avevo previsto un anno prima e che ha avuto come risultato la morte di numerosi quadri comunisti".
Ancor oggi si ignora la reale entità del massacro. Secondo la Cia furono uccise 250 mila persone. In seguito il capo del sistema di sicurezza dello stato indonesiano calcolò che le vittime sarebbero state più di mezzo milione. Secondo Amnesty International i morti furono "oltre il milione". Qualunque ne sia il numero, nessuno dubita che si trattò di un'incredibile carneficina. Secondo dati ufficiali, altri 750 mila indonesiani furono arrestati e molti di loro incarcerati per anni senza processo ed in condizioni miserabili. Il presidente Sukarno fu così rovesciato ed i militari detennero il potere incontrastati. Il paese fu aperto allo sfruttamento occidentale, intralciato solo dalla rapacità dei nuovi governanti.
Il ruolo giocato dagli Usa in questi avvenimenti è incerto, anche per i vistosi vuoti nella documentazione ufficiale. Gabriel Kolko osserva: "I documenti Usa riguardanti i tre mesi precedenti il 30 settembre del 1965, relativi ai retroscena e agli intrighi, e marginalmente al ruolo dell'Ambasciata e della Cia, sono stati tenuti nascosti all'opinione pubblica. Dati i rapporti dettagliati riguardanti i periodi precedenti e successivi all'estate del 1965, che sono disponibili, si potrebbe presumere che il rilascio di quei documenti metterebbe in imbarazzo il governo Usa". Ralph McGehee, ex ufficiale della Cia, sostiene di essere a conoscenza di un rapporto segretissimo sul ruolo dell'Agenzia nel provocare la distruzione del P.K.I., ed attribuisce il massacro alla "operazione [parola cancellata] dell'Agenzia". La cancellatura fu imposta dalla Cia. Peter Dale Scott, che meglio di ogni altro ha tentato di ricostruire l'accaduto, suggerisce che la parola omessa è 'disinformazione' e si riferisce alla propaganda del servizio segreto che, secondo le parole incensurate di McGehee, tese a "creare le condizioni più opportune" per questa e altre operazioni di omicidio di massa (tra cui anche il Cile). McGehee inoltre fa espliciti riferimenti all'opera della Cia nel fabbricare presunte atrocità commesse dal Partito comunista per gettare le basi della sua violenta eliminazione (6).
Washington era senza dubbio al corrente del massacro, e certamente lo approvò. Il segretario di Stato Dean Rusk in un telegramma del 29 ottobre all'ambasciatore Marshall Green scrisse che le "operazioni contro il P.K.I." dovevano continuare, che l'esercito di Giakarta costituiva "l'unica forza capace di riportare l'ordine in Indonesia" e quindi doveva continuare sulla strada intrapresa facendo conto sugli aiuti degli Usa per una "massiccia campagna militare contro il P.K.I.". Gli Stati Uniti si mossero così, molto rapidamente, per rifornire l'esercito indonesiano, ma i dettagli non sono mai stati resi noti. Alcuni telegrammi provenienti dall'ambasciata Usa a Giakarta, datati 30 ottobre e 4 novembre, indicano che le consegne all'esercito di equipaggiamenti per le comunicazioni si intensificarono proprio all'indomani del golpe e che, sempre in quelle settimane, Washington decise di vendere a Giakarta nuovi aerei militari. Del resto in quei giorni il numero due della nostra missione diplomatica notava che "l'Ambasciata ed il governo americano vedevano con favore e con ammirazione quel che stava facendo l'esercito" (7).
Per maggiore chiarezza, bisogna distinguere i vari aspetti della vicenda. Da una parte, quelli relativi allo svolgimento dei fatti storici: cosa successe in Indonesia ed a Washington tra il 1965 ed il 1966? Dall'altra ciò che avvenne nel mondo politico-culturale: come reagirono il governo Usa ed i settori intellettuali del paese a quelli che presumevano essere i fatti? Se gli eventi storici sono torbidi, gli atteggiamenti culturali, invece, emergono con chiarezza da una documentazione ufficiale molto ricca ed istruttiva sulle loro implicazioni a lunga scadenza. Ed è dalle reazioni a quegli avvenimenti che traiamo importanti lezioni per il futuro.
Non vi sono dubbi sulla simpatia che Washington provava per 'quel che stava facendo l'esercito'. E' interessante a questo proposito considerare un'analisi di H. W. Brands (8). Tra le ricerche più serie sull'accaduto, la sua è la più scettica riguardo l'importanza del ruolo giocato dagli Usa, che secondo lui erano osservatori confusi, con "una ridotta capacità di cambiare in meglio una situazione molto pericolosa", anche se l'autore non lascia dubbi sull'entusiasmo di Washington, mentre si consumava il massacro, per il "miglioramento" della situazione.
Agli inizi del 1964, secondo la ricostruzione degli eventi fatta da Brands, gli Usa erano impegnati nel "cauto tentativo di incoraggiare l'intervento dell'esercito contro il P.K.I." con l'assicurazione che, una volta iniziato il conflitto, "l'esercito [avrebbe potuto contare] sugli amici a Washington". La continuazione dei programmi di intervento civile e di addestramento militare, commentò il segretario di Stato Dean Rusk, aveva lo scopo di "rinforzare gli elementi anticomunisti in Indonesia nella lotta attuale e futura contro il P.K.I.". Il capo di Stato Maggiore Nasution, che secondo l'ambasciatore Usa Howard Jones era "l'uomo più forte del paese", informò il diplomatico americano nel marzo del 1964, riferendosi alla sanguinosa repressione del 1948, che quella di "Madiun sembrerà cosa da poco rispetto ad un intervento dell'esercito in questo momento".
Nel corso del 1965, il problema principale che si trovarono di fronte a Washington riguardava i modi per incoraggiare un'azione dell'esercito contro il P.K.I. Secondo l'inviato Usa, Ellsworth Bunker, gli Stati Uniti dovevano mantenere un basso profilo affinché i generali potessero "muoversi senza l'incubo di essere accusati di difendere i neocolonialisti e gli imperialisti". Il Dipartimento di Stato era d'accordo. Le prospettive, comunque, rimanevano incerte ed il settembre del 1965 volgeva al termine, continua Brands, "con i funzionari americani che non si aspettavano di dare presto buone notizie".
Quindi l'attacco del 30 settembre contro i capi dell'esercito fu una sorpresa per Washington, sostiene Brands, e la Cia non ne sapeva molto. L'ambasciatore Green, che aveva sostituito Jones, comunicò a Washington di non poter stabilire un coinvolgimento del P.K.I. negli attentati, anche se la versione ufficiale adesso, come allora, è che si sarebbe trattato di un "tentato golpe comunista".
La "buona notizia" non tardò ad arrivare. "I funzionari americani si accorsero - continua Brands - che la situazione in Indonesia stava drasticamente cambiando e per il meglio, dal loro punto di vista. Alla notizia che nelle campagne era iniziata l'eliminazione del P.K.I., la preoccupazione maggiore dei funzionari americani a Giakarta ed a Washington fu che l'esercito avrebbe potuto sprecare questa opportunità", e quando le forze armate sembrarono esitare, Washington cercò "di incoraggiare gli ufficiali" a procedere. Green, ben sapendo che i comunisti non avevano alcun ruolo nell'uccisione dei generali, consigliò una campagna di disinformazione impostata "sulla colpevolezza, perfidia e brutalità del P.K.I.". Questi sforzi, secondo il resoconto di McGehee basato sulla documentazione interna della Cia, ebbero pieno successo. George Ball, la nota colomba dell'Amministrazione, consigliò alle autorità Usa di rimanere nell'ombra in quanto "i generali si stavano comportando bene anche da soli" (parafrasi di Brands), mentre gli aiuti militari ed i programmi di addestramento "dovrebbero aver fatto capire chiaramente ai capi dell'esercito indonesiano che gli Stati Uniti in caso di bisogno sono pronti ad appoggiarli" (Ball). Lo stesso George Ball diede istruzioni all'Ambasciata a Giakarta di esercitare "la massima cautela in modo che i nostri sforzi per aiutarli o per rafforzare la loro determinazione, pur essendo animati da buone intenzioni, non finiscano per avvantaggiare Sukarno e [il suo alleato politico] Subandrio". Dean Rusk aggiunse poi: "Se la decisione dell'esercito di continuare nella sua azione contro il P.K.I. è in qualche modo legata o soggetta all'influenza Usa, allora noi non vogliamo perdere l'opportunità per un'iniziativa americana".
Brands conclude che l'aiuto segreto fornito dagli Stati Uniti ai generali indonesiani "potrebbe anche aver facilitato la liquidazione del P.K.I.", ma "ha in ogni caso accelerato ciò che comunque sarebbe successo, anche se in tempi più lunghi". "Qualunque sia stato il ruolo americano in questi eventi", prosegue, "l'Amministrazione trovò incoraggiante la piega da loro presa. A metà dicembre Ball riferì con soddisfazione che la campagna dell'esercito per la distruzione del P.K.I. "procede abbastanza rapidamente e senza intralci". Contemporaneamente Green telegrafava da Giakarta: "L'eliminazione dei comunisti continua a ritmo serrato". Nei primi giorni del febbraio del 1966, il presidente Johnson venne informato del massacro di circa 100 mila persone. Poco prima, la Cia aveva riferito che Sukarno era ormai finito e che "l'esercito ha praticamente distrutto il P.K.I.".
Comunque, continua Brands: "Malgrado le buone notizie, l'Amministrazione
rimaneva riluttante ad impegnarsi pubblicamente dalla parte di Suharto",
temendo che l'esito fosse ancora incerto. Ma i dubbi presto scomparvero. Il
nuovo consigliere per la sicurezza nazionale di Johnson, Walt Rostow "trovò
incoraggiante il 'nuovo ordine' di Suharto", gli aiuti economici Usa cominciarono
a fluire apertamente ed i funzionari di Washington si attribuirono il merito
del grande successo.
Quindi, secondo il cinico punto di vista di Brands, "gli Stati Uniti non
rovesciarono Sukarno, e non furono responsabili delle centinaia di migliaia
di morti che si ebbero nel corso della liquidazione del P.K.I.", anche
se fecero il possibile per incoraggiare l'esercito ad eliminare l'unica organizzazione
popolare e di massa in Indonesia; essi esitarono a coinvolgersi più direttamente
solo per timore che i loro sforzi potessero essere controproducenti, salutarono
con entusiasmo la 'buona notizia' del golpe mentre il massacro era ancora in
corso, e si accinsero con fervore ad aiutare il 'nuovo ordine' sorto dalla carneficina,
grazie al trionfo dei 'moderati'.
Note:
N. 4. Leffler, "Preponderance", p. 260, 165. Vedi cap. 10.4, e
come background, cap. 2.1-2. Su Giappone-SEA, vedi Chomsky, "Rethinking
Camelot", cap. 2.1. Sotto, salvo indicazioni contrarie, vedi Peter Dale
Scott, 'Exporting Military-Economic Development', in Caldwell, "Ten Years",
e 'The United States and the Overthrow of Sukarno', "Pacific Affairs",
estate 1985. "Political Economy and Human Rights", vol. 1, cap. 41.
Kolko, "Confronting".
N. 5. Chomsky, "The Fateful Triangle", 475n.n.; "Culture of Terrorism",
cap. 8. Marshall, et al., "Iran-Contra", cap. 7, 8.
N. 6. McGehee, "Nation", 11 aprile 1981. Anche "News from Asia
Watch", 21 giugno 1990.
N. 7. Ibid. Rusk citato in Kolko.
N. 8. Brands, 'The Limits of Manipulation: How the United States didn't Topple
Sukarno', "J. of American History", dicembre 1989.