PARTE SECONDA.
I SOMMI PRINCIPI.
Capitolo 5.
DIRITTI UMANI E PRAGMATISMO.
Tra i nobili ideali ai quali ci siamo votati, accanto alla Democrazia e al Mercato, vi è quello dei Diritti Umani, divenuto 'l'anima della nostra politica estera', proprio quando l'orrore suscitato nell'opinione pubblica da incredibili atrocità si è fatto incontenibile.
Per essere sinceri la nostra opera in favore del genere umano non è del tutto scevra da errori. Ad esempio molti commentatori, citando alti funzionari governativi, sostengono che abbiamo indubbiamente esagerato "nel dare all'idealismo una posizione preminente nella politica estera". Infatti la nostra nobiltà d'animo ci pone in una posizione svantaggiata quando abbiamo a che fare con i 'feroci selvaggi' di cui parlava il giudice Marshall. E' lo stesso problema che ha tormentato l'Europa nel corso della sua lunga storia di 'scontri' con altri popoli. Ad esempio la guerra di Corea, come scrisse il consigliere di Kennedy Maxwell Taylor, sollevò "seri quesiti su come l'Occidente, così mite ed umanitario, possa competere con personaggi" quali gli 'spietati' leader asiatici. Quando la guerra del Vietnam entrò nella sua drammatica spirale verso l'abisso, alle "preoccupazioni sul futuro dell'Occidente in Asia" di Taylor fecero eco quelle di importanti esponenti liberal critici del conflitto nel Sud-Est asiatico. A loro parere, nonostante i "poveri dell'Asia" avessero adottato "la strategia dei più deboli", spingendoci a portare "alle estreme conseguenze, cioè al genocidio, la [nostra] strategia", noi non avevamo intenzione di "autodistruggerci... contraddicendo il nostro sistema di valori". Miti e sentimentali come siamo, noi americani sentiamo nel nostro animo che "il genocidio è un terribile peso da sopportare" (William Pfaff, Townsend Hoopes). L'analista Albert Wohlstetter spiega a questo proposito che "era più difficile per noi far pagare alti prezzi ai vietnamiti che per loro sopportarli". Siamo troppo nobili per questo mondo crudele.
Il dilemma di fronte al quale ci troviamo è stato oggetto delle riflessioni dei più importanti filosofi occidentali. Hegel ha meditato a lungo sul "disprezzo per l'umanità manifestato dai Negri" d'Africa, "che si lasciano uccidere a migliaia nelle guerre con gli europei. La vita ha un valore solo quando si pone come obiettivo qualcosa di prezioso", un pensiero che non può essere afferrato da questi 'meri oggetti'. Incapaci di capire i nostri nobili valori, i selvaggi ci disorientano nel nostro cammino verso la giustizia e la virtù (1).
Il fardello dei giusti non è facile da portare.
Possiamo comunque verificare queste tesi proclamate con tanta sicurezza esaminando
il rapporto tra gli aiuti Usa ed il rispetto dei diritti umani. Ed è
quanto è stato fatto dall'accademico latinoamericano Lars Schoultz, secondo
il quale l'assistenza economica americana "ha generalmente beneficiato
quei governi latinoamericani che torturano i loro cittadini... coloro che si
sono più distinti nell'emisfero per le violazioni dei diritti umani".
Si tratta di un flusso di aiuti che comprende anche forniture militari, ignora
le necessità della popolazione, e non si è mai interrotto neppure
sotto l'amministrazione Carter, quando la questione dei diritti umani ricevette
un po' di attenzione.
Una ancor più generale ricerca di Edward Herman ha dimostrato l'esistenza in tutto il mondo di un rapporto tra gli aiuti Usa e le violazioni dei diritti dell'uomo, e ne ha indicato le ragioni: l'erogazione di aiuti è strettamente correlata alla creazione, o al miglioramento, nel paese destinatario di un clima favorevole agli investimenti, un risultato che di solito si raggiunge assassinando preti e sindacalisti, massacrando i contadini che tentano di organizzarsi, facendo saltare in aria i giornali indipendenti, e così via. Vi è quindi una precisa relazione tra l'assistenza allo sviluppo e le più rilevanti violazioni dei diritti umani. Queste ricerche inoltre precedono gli anni di Reagan, quando il problema non è stato neppure posto.
Altrettanto interessante è studiare il rapporto tra gli autori delle atrocità ed i sentimenti che essi suscitano nel nostro paese. Vi sono molte ricerche in merito, tutte giunte alle medesime conclusioni: le atrocità dei 'nemici ufficiali' degli Usa risvegliano grande angoscia ed indignazione, un forte interessamento dei media e, spesso, una gran massa di spudorate menzogne al fine di dipingerli ancor più gravi di quel che sono; assai diversa invece la reazione quando vi è un nostro coinvolgimento diretto o indiretto. (Le atrocità che non hanno alcuna influenza sulla politica interna sono generalmente ignorate.) Inoltre sappiamo anche, senza analoghi approfondimenti, che è avvenuto esattamente lo stesso nel caso della Russia di Stalin e della Germania nazista.
L'assurdità di questa situazione è accresciuta dal fatto (per oscurare il quale i commissari politici di tutte le parti del mondo sono sempre al lavoro) che sul piano morale gli abusi dei diritti umani richiedono tanto più un nostro interessamento quanto più possiamo fare qualcosa per porvi termine; a cominciare dai nostri e da quelli perpetrati dai nostri 'clienti'.
Numerosi studi confermano del resto come la politica, quando siano in gioco la ricchezza ed il potere, coincida con il richiamo di Kennan sulla "irrealtà di obiettivi come i diritti umani" (2).
Nessun fatto concreto ha il minimo impatto sui 'sommi principi'. Ma questo è logico. Come nel caso del rapporto tra democrazia e mercato, i documenti storici riguardano solamente quelle che Hegel definì "esistenze negative, senza valore" e non il "piano di dio" e la "luce pura di quest'Idea divina". Questo punto di vista è stato a volte reso esplicito dagli studiosi contemporanei, come Hans Morgenthau, fondatore della scuola 'realista', secondo il quale, basandosi sulla documentazione storica, si rischia di "confondere la deformazione della realtà con la realtà stessa". Quest'ultima è infatti costituita dai "superiori obiettivi" della nazione, che sono sicuramente nobili, mentre le "irrilevanti" prove documentarie ne danno una versione deformata (3).
Il resoconto dei fatti, al contrario, è effettivamente fuorviante se si limita a descrivere il sostegno da noi dato alle più orrende atrocità, tralasciando di raccontare quanto esse siano state ben accolte se considerate parte di una giusta causa, caratteristica essenziale questa dei 500 anni della Conquista. Basti ricordare le reazioni alle atrocità compiute nell'ultimo decennio in Centroamerica sotto la supervisione Usa. Per illustrare quanto solido sia questo pilastro della cultura tradizionale, sarà sufficiente ricordare quanto avvenne nell'era del governo mondiale Usa, nelle Indie Orientali olandesi, uno dei primi avamposti del colonialismo europeo in Asia.
Note:
N. 1. Thomas Friedman, "New York Times", 12 gennaio 1992; vedi
p. 183. Taylor, "Swords", p. 159. Pfaff e Hoopes, commenti virtualmente
identici senza riferimenti incrociati, quindi non è chiaro a chi debba
essere accreditato; vedi "At War with Asia", p. 297-300, "For
Reasons of State", p. 94-5. Wohlstetter, "The Wall Street Journal",
25 agosto 1992. Hegel, "Philosophy", p. 96.
N. 2. Schultz, "Comparative Politics", gennaio 1981. Herman, in Chomsky,
"Political Economy and Human Rights", 1, cap. 2.1.1; "Real Terror
Network", 126n.n. "Political Economy and Human Rights" e "Manifacturing
Consent", per un'analisi comparativa.
N. 3. Vedi Chomsky, "Towards a New Cold War", 73n., per ulteriori
discussioni. Vedi anche "Necessary Illusions" e "Deterring Democracy".