PARTE PRIMA.
VINO VECCHIO IN BOTTIGLIE NUOVE.
Capitolo 3.
NORD-SUD / EST-OVEST.
Gli Stati Uniti, con la fine della guerra fredda, possono usare la loro forza militare per controllare il Sud assai più liberamente di prima ma, allo stesso tempo, vi sono dei fattori che potrebbero rendere più difficile l'uso dei tradizionali metodi di dominio. Tra i fattori che ostacolano il ricorso alla forza vi sono proprio i grandi successi conseguiti in questi ultimi anni e la mancanza di reali minacce: le tendenze popolari nazionaliste e riformiste sono state schiacciate, la forza d'attrazione del richiamo 'comunista' per coloro che sperano di 'derubare i ricchi' è stata eliminata, mentre la catastrofe economica dell'ultimo decennio ha spezzato il Sud. Alla luce di questi successi, gli Usa potrebbero anche tollerare limitate deviazioni dalle regole ed atteggiamenti di relativa indipendenza da parte di certi paesi, senza temere il nascere di pericoli per gli interessi economici privati dominanti. Il controllo in fondo potrebbe essere esercitato indirettamente tramite le misure economiche: il regime del F.M.I., il ricorso selettivo al libero commercio e via di seguito.
Inoltre gli Usa potrebbero tollerare talune forme democratiche fintanto che
è assicurata la 'stabilità'. Se poi questo valore assoluto dovesse
essere minacciato, allora si potrebbe sempre tornare al 'pugno di ferro'.
Non va inoltre sottovalutata l'erosione del consenso interno per le avventure
all'estero. Un documento sulla ridefinizione della politica per la Sicurezza
Nazionale dell'amministrazione Bush concludeva che i "nemici molto più
deboli" (cioè qualsiasi facile bersaglio) devono essere sconfitti
"completamente e rapidamente", perché "il sostegno nazionale"
è debole (40). Un altro problema per le avventure all'estero può
essere costituito dal fatto che gli altri centri del potere economico internazionale,
quali l'Europa ed il Giappone, hanno interessi propri, anche se il già
citato documento sulla pianificazione della Difesa ha ragione nel ritenere che
la necessità di costringere il Terzo Mondo ad adempiere alla sua funzione
subordinata è sentita da tutte le potenze del Nord.
Occorre, inoltre, tener conto che la crescente internazionalizzazione dell'economia ha dato in un certo senso nuovo impulso alla concorrenza tra gli stati. Tutti elementi questi che nei prossimi anni andranno assumendo una crescente importanza.
L'uso della forza per controllare il Terzo Mondo è un rimedio estremo. Molto più efficaci sono le pressioni economiche. Alcuni di questi meccanismi emergono con chiarezza dai negoziati "Gatt" (sui commerci internazionali e le tariffe doganali, N.d.C.). Le potenze occidentali vogliono l'abbattimento delle barriere, o più protezionismo, a seconda di come conviene loro. Gli Stati Uniti si sono concentrati sui 'nuovi temi' del negoziato: la protezione dei 'diritti di proprietà intellettuale', quali i brevetti ed il software, che permetterà alle compagnie multinazionali di monopolizzare le nuove tecnologie; l'abolizione di ogni barriera nel settore dei servizi e degli investimenti, in modo da minare i programmi di sviluppo decisi dai governi nazionali nel Terzo Mondo e dare alle multinazionali ed alle istituzioni finanziarie del Nord potere decisionale in materia politica, economica e sociale. Secondo William Brock, capo della "Multilateral Trade Negotiation Coalition" delle grandi imprese Usa, si tratta di temi assai più importanti del tanto pubblicizzato conflitto sui sussidi agli agricoltori (41).
Generalmente, ciascuna delle ricche potenze industriali reclama un misto di liberalizzazione e protezionismo (vedi l'Accordo sulle Multifibre e le sue estensioni, quello tra Usa e Giappone sui semiconduttori o, ancora, le intese sulle limitazioni volontarie delle esportazioni, eccetera), studiato per favorire gli interessi dominanti a livello nazionale e, soprattutto, le multinazionali alle quali spetta di dirigere l'economia mondiale. Il Nord vorrebbe ridurre i governi del Terzo Mondo a nulla più che autorità di polizia incaricate di controllare i lavoratori locali e le popolazioni 'superflue', mentre le multinazionali avrebbero libero accesso alle materie prime dei paesi del Sud, monopolizzerebbero le nuove tecnologie, gli investimenti e la produzione a livello mondiale - naturalmente verrebbero anche affidate loro quelle funzioni centrali di pianificazione, assegnazione di fondi, produzione e distribuzione, negate invece ai governi del Sud. Di questi gli Usa non si fidano molto perché potrebbero essere influenzati dalle pressioni dal basso che rispecchiano i bisogni delle varie popolazioni. Il risultato finale potrebbe, per ragioni propagandiste, essere definito come il realizzarsi del 'libero scambio' ma, in realtà, si dovrebbe parlare di "un governo mondiale dell'economia che funziona secondo regole dettate da un mercato senza più controlli e da leggi scritte dalle banche e dalle imprese sovranazionali" (Howard Wachtel), un sistema di "mercantilismo corporativo" (Peter Phillips), con dei rapporti commerciali gestiti da e tra le grandi imprese dei tre grandi blocchi del Nord (Usa, Cee e Giappone, N.d.C.), con costanti interventi dello stato per sostenere e proteggere le società multinazionali e gli istituti finanziari 'nazionali' (42).
Le gravi implicazioni del piano non sono sfuggite ai commentatori del Terzo
Mondo, i quali hanno protestato con forza. Ma le loro voci non sono certo più
ascoltate di quelle dei democratici iracheni.
Intanto, gli Usa si stanno creando un blocco regionale che li metterà
in grado di competere con più efficacia contro il Giappone e la Cee.
Secondo le intenzioni di Washington, il ruolo del Canada nel 'blocco americano'
sarebbe quello di fornire materie prime, alcuni servizi e manodopera specializzata,
mentre la sua economia verrebbe assorbita sempre più in quella Usa con
una riduzione del welfare, dei diritti dei lavoratori e dell'indipendenza culturale.
La confederazione sindacale canadese ha rilevato la perdita di oltre 225 mila
posti di lavoro in soli due anni dalla firma del trattato di libero scambio
con gli Usa e, contemporaneamente, un'ondata di scalate da parte di gruppi Usa
alle imprese canadesi (vedi cap. 2, par. 5). Il Messico, il Centroamerica ed
i Caraibi dovranno invece fornire manodopera a basso costo per le industrie
di assemblaggio, come nel caso di quelle ("maquiladoras") nel Messico
settentrionale dove le condizioni di lavoro durissime, i bassi salari e l'assenza
di controlli ambientali danno ottimi profitti agli investitori americani. La
repressione interna e gli aggiustamenti strutturali assicureranno inoltre la
disponibilità di manodopera abbondante, sottomessa ed a buon mercato.
In questo quadro il Centroamerica dovrà fornire raccolti da esportare e mercati per i prodotti agricoli americani. A Messico e Venezuela viene invece chiesto di fornire il petrolio al nuovo blocco americano e, ponendo fine ai tentativi di controllare le loro risorse, di aprire il settore alle società Usa. La stampa non ha sufficientemente sottolineato i successi avuti da Bush in questo campo nel suo giro in America Latina nell'autunno del 1990. Fu allora che il Messico accettò di cedere alle compagnie petrolifere Usa un maggiore accesso alle sue risorse, un obiettivo perseguito dagli americani per oltre mezzo secolo. Le società Usa saranno così ora in grado di "aiutare la nazionalizzata compagnia petrolifera messicana", secondo la versione dell'accordo data dal "Wall Street Journal". Da anni non desideravamo altro che aiutare i nostri piccoli fratelli marroni, e finalmente gli ignoranti "peones" ci permetteranno di soddisfare i loro bisogni (43).
Le politiche che abbiamo qui delineato saranno quindi estese ad alcuni paesi
del Sudamerica. Parallelamente gli Usa intendono mantenere il loro dominio sulla
produzione petrolifera del Golfo e sui relativi profitti. Naturalmente Europa
e Giappone hanno anche loro dei progetti di questo tipo e vi sono numerose aree
di possibile conflitto tra i paesi ricchi del Nord.
In generale, nella Nuova Era Imperiale le prospettive per la stragrande maggioranza
della popolazione negli Stati Uniti e all'estero non sono affatto rosee.
Sono note le ragioni per le quali il potere e la ricchezza tendono a riprodursi
sempre più e non dovrebbe stupire, quindi, che il Terzo Mondo continui
a perdere terreno rispetto al Nord. Le statistiche Onu indicano che, paragonato
a quello dei paesi sviluppati, il prodotto interno lordo pro capite dell'Africa
(senza contare Pretoria) dal 1960 al 1987 è diminuito di circa il 50%.
La stessa tendenza si è registrata nel caso dell'America Latina (44).
Parallelamente, all'interno delle società ricche, vasti settori della
popolazione stanno anch'essi diventando 'superflui' per il profitto, il valore
dominante, e devono quindi essere emarginati o soppressi. Una tendenza andatasi
sempre più accentuando nell'ultimo ventennio di stagnazione economica
e di pressioni sui profitti delle imprese. Così le società del
Nord, e in primo luogo gli Stati Uniti, stanno assumendo alcuni tratti tipici
dei paesi del Terzo Mondo. La distribuzione del privilegio e della disperazione
in una società dagli enormi privilegi come la nostra non assomiglia,
naturalmente, a quella che si riscontra in Brasile o in Messico. Ma alcune tendenze
di fondo in quella direzione sono innegabili.
Note:
N. 40. Maureen Dowd, "New York Times", 23 febbraio 1991. Vedi
anche Chomsky, "Deterring Democracy"; 'Afterword'.
N. 41. Khor, "Uruguay Round", p. 10. Vedi anche Raghavan, "Recolonization".
N. 42. Wachtel, "Money Mandarins", p. 266. Peter Phillips, "Challenge",
gennaio-febbraio 1992.
N. 43. Virginia Galt, "Toronto Globe & Mail", 15 dicembre 1990.
John Maclean, "Chicago Tribune", 27 maggio 1991. "The Wall Street
Journal", 28 novembre 1990.
N. 44. "Monthly Review", marzo 1992.