PARTE PRIMA.
VINO VECCHIO IN BOTTIGLIE NUOVE.
Capitolo 2.
I CONFINI DELL'ORDINE MONDIALE.
All'inizio del secolo gli Stati Uniti erano ormai la più grande potenza economica ed industriale e, ai tempi della Prima guerra mondiale, i maggiori creditori del mondo; mantennero questa posizione finché i reaganiani, preso il potere, non trasformarono rapidamente il paese nel principale debitore mondiale. Durante la Seconda guerra mondiale, misure quasi totalitarie riuscirono infine ad avere la meglio sugli effetti della 'grande depressione', aumentando la produzione industriale di più del 300% e conquistandosi l'ammirazione dei manager delle imprese che gestivano l'economia di guerra. Da allora non vi è stata alcuna seria minaccia al principio che il potere ed i patrimoni privati, in un primo momento nutritisi con massicci interventi statali, possano essere sostenuti e sviluppati solamente attraverso quegli stessi mezzi; il capitalismo è considerato un sistema autosufficiente solo nei discorsi retorici. Mentre gran parte del mondo era in rovina, gli Usa avevano raggiunto una supremazia economica e militare senza paragoni nella storia. Coloro che pianificarono le politiche dello stato e delle imprese erano ben consapevoli del loro potere assoluto, ed avevano intenzione di usarlo per costruire un Ordine Mondiale che avrebbe giovato agli interessi per i quali lavoravano.
Prima di tutto bisognava assicurarsi che l'Europa (con la Germania come baricentro) ed il Giappone, insieme cuore del mondo industriale, fossero saldamente collocate all'interno di un ordine internazionale dominato dagli Usa e controllato a livello nazionale da quei settori della finanza e dell'industria legati al potere economico americano. La prima cosa da fare, quindi, era minare la resistenza antifascista assai popolare tra le 'moltitudini di canaglie', indebolire il movimento operaio e ristabilire i tradizionali poteri conservatori, rimettendo spesso al loro posto i collaborazionisti fascisti. Alla fine degli anni '40 questo programma venne avviato su scala mondiale comprendendo, quando si resero necessari, interventi violenti come in Grecia e nella Corea del Sud.
In questo Nuovo Ordine Mondiale i rapporti Nord-Sud vennero rimodellati, anche se non in modo radicale. Gli Usa volevano un mondo praticamente senza barriere, basato sui principi dell'internazionalismo liberale, sicuri di vincere in una competizione 'equa e libera'. Queste considerazioni portarono ad alcuni interventi a sostegno delle nuove forze anticolonialiste. Ma entro certi limiti. Un promemoria della Cia del 1948 fa notare che bisogna trovare un equilibrio tra "il sostegno alle aspirazioni nazionaliste locali ed il mantenimento degli interessi economici coloniali di quei paesi dell'Europa Occidentale ai quali abbiamo promesso aiuti"; naturalmente ove non fossero in gioco seri interessi Usa. Allo stesso tempo, bisognava restituire al Giappone, sotto la supervisione ed il controllo americano, quel sistema imperiale che esso aveva tentato di costruirsi autonomamente. Queste considerazioni a volte spinsero gli Usa a favorire tatticamente il mantenimento dei tradizionali privilegi coloniali dei paesi rivali/alleati, ma sempre in via temporanea, nell'ambito della ricostruzione postbellica e del ripristino dei modelli di scambio con le altre potenze industriali sui quali si basava l'economia americana.
Ben decisa a sistemare l'Estremo Oriente per proprio conto, Washington escluse i suoi alleati da qualsiasi partecipazione alla definizione del futuro del Giappone. Il suo obiettivo era: "Garantire la sicurezza degli Usa assicurandosi un dominio a lungo termine sul Giappone" ed "escludervi qualsiasi influenza da parte di governi stranieri", come affermò Melvyn Leffler, esprimendo il consenso degli accademici, con una formula nella quale la parola 'sicurezza' aveva il suo significato ufficiale. Dato lo strapotere americano, tale obiettivo fu facilmente raggiunto, indipendentemente dagli accordi presi durante la guerra. Nel Medioriente e nell'America Latina il sistema ideologico adottato dagli Usa conferiva loro il diritto di perseguire unilateralmente i propri 'bisogni' e 'desideri'. Il piano, quindi, consisteva nel limitare la presenza di altri paesi in quelle aree, assegnando eccezionalmente qualche ruolo subordinato, come nel caso della Gran Bretagna per il Medioriente. Londra agisce come un "nostro tenente (la parola più elegante sarebbe socio)", disse un importante consigliere di Kennedy; gli inglesi devono udire solamente la versione più elegante (12).
Il caso dell'Italia illustra bene le caratteristiche della politica americana.
Al pari della Grecia, la sua importanza è legata anche al Medioriente.
Come rilevava un rapporto governativo del settembre del 1945, "gli interessi
strategici Usa" esigevano il controllo attraverso il Mediterraneo delle
"linee di comunicazione con gli sbocchi mediorientali dei campi petroliferi
dell'Arabia Saudita". Questi interessi sarebbero stati compromessi se l'Italia
fosse caduta nelle "mani di qualsiasi grande potenza" - in altri termini:
se fosse sfuggita al controllo degli Usa. L'Italia poteva "essere utilizzata
per garantire - o, in mani sbagliate, per impedire - i rifornimenti di petrolio
dal Vicino Oriente", osserva Rhodri Jeffrey-Jones.
Gli Usa ritenevano che il Partito comunista, grazie al suo considerevole sostegno
tra la classe operaia ed il prestigio conferitogli dal ruolo svolto nella lotta
contro il fascismo e l'occupazione nazista, potesse vincere le elezioni del
1948. Quel risultato, avvertivano gli analisti politici, avrebbe avuto un "effetto
destabilizzante in tutta l'Europa Occidentale, nel Mediterraneo e nel Medioriente".
Sarebbe stato "il primo caso nella storia di un'ascesa dei comunisti al
potere con mezzi legali, attraverso il suffragio universale", e "un
avvenimento così inaudito e portentoso rischia di avere profondi effetti
psicologici in quei paesi minacciati dai sovietici... che lottano per mantenere
la loro libertà". Traducendo di nuovo in parole povere, avrebbe
potuto influenzare quei movimenti popolari che tentavano di seguire una via
indipendente e spesso radicalmente democratica, minacciando così la politica
americana tesa a restaurare l'ordine tradizionale (la 'libertà') dominato
dai settori conservatori del mondo degli affari e spesso filo-fascisti. In breve,
l'Italia poteva diventare un 'virus contagioso per gli altri paesi'. Gli Usa,
quindi, programmarono un intervento militare diretto nel caso non fossero riusciti
ad influenzare il risultato delle elezioni con altri mezzi; non ve ne fu bisogno.
Un'insieme di pressioni, ricatti, l'uso dei rifornimenti alimentari di cui si
aveva disperatamente bisogno ed altri metodi, riuscirono a vincere la minaccia
costituita da libere elezioni. Gli Stati Uniti comunque, almeno fino alla metà
degli anni '70, non avrebbero cessato i loro tentativi di sovvertire la democrazia
italiana. Negli anni successivi, come già detto, fu invece il Cile ad
essere considerato un 'virus che avrebbe potuto contagiare' l'Italia (13).
Per ragioni analoghe, in seguito al fallito tentativo di sconvolgere con il terrore le elezioni nicaraguensi del 1984, Washington tramite la dottrina ufficiale preferì cancellare dalla storia quel 'terribile' avvenimento; i media ignorarono così il riconoscimento del regolare svolgimento delle operazioni di voto espresso dagli osservatori internazionali (inclusi quelli ostili), dagli esperti latinoamericani e dal noto democratico centroamericano Josè Figueres.
E' dura la vita dei responsabili dell'Ordine Mondiale, come già si erano accorti ai loro tempi Metternich e lo Zar.
Sallie Pisani nella sua ricerca sui primi anni della Cia scrive che il governo Usa, oltre alla sovversione, usò anche altri metodi "per stabilizzare l'Italia". L'uso della destabilizzazione per raggiungere la stabilità è una procedura normale, assai nota a coloro che conoscono la retorica ufficiale; è quindi perfino possibile "destabilizzare un governo marxista liberamente eletto nel Cile" perché "eravamo decisi a ricercare la stabilità" (James Chace). Una possibile soluzione per l'Italia poteva essere quella di sfoltire l'irrequieta popolazione incoraggiandone l'emigrazione. Fondi del Piano Marshall furono stanziati per ricostruire la marina mercantile italiana e così "raddoppiare il numero di emigranti che possono essere portati ogni anno oltreoceano", riferiva il capo della missione "Eca" (Piano Marshall) per l'Italia. Questi fondi, aggiunse poi, furono impiegati anche per la rieducazione dei lavoratori, "rendendoli in tal modo più accettabili agli altri paesi". In fondo l'Europa aveva problemi di disoccupazione, e l'ultima cosa che desideravano gli Usa erano altri 'wop' ("without official papers", immigrati clandestini). Il Congresso perciò autorizzò l'uso dei fondi con "lo scopo di mandare gli emigranti italiani in altre parti del mondo oltre che negli Stati Uniti". L'"Eca" scelse il Sudamerica, con le sue "zone relativamente meno sviluppate" e finanziò uno studio sull'emigrazione "per individuare le terre adatte alla colonizzazione italiana" e per preparare l'operazione. Il primo destinatario di quei sussidi fu, nel 1950, il Brasile.
Il progetto era considerato estremamente delicato, e fu tenuto nascosto agli occhi degli italiani. "Altrettanto importante, per stabilizzare gli italiani rimasti in patria, era la propaganda", scrive Pisani, ed a questo scopo venne lanciata "una complessa campagna" per influenzare l'opinione pubblica. Lo stesso avvenne in Francia, un altro potenziale 'virus'. Ma la missione "Eca" rilevò in questo paese l'esistenza di un ulteriore problema: "I francesi sono allergici alla propaganda. Spesso la confondono con ciò che noi chiamiamo informazione". I dirigenti di Washington furono d'accordo che una "propaganda americana eccessivamente scoperta" non avrebbe funzionato con gli europei, viste le loro esperienze con i nazisti. Quindi l'"Eca" preferì un intervento indiretto, sfruttando l'abilità di "far arrivare il punto di vista sulla politica estera dell'"Eca" e del governo Usa facendo in modo che nessuno dei due fosse identificato come il mittente". A livello nazionale, dato che la popolazione è meglio addestrata, è sufficiente 'l'informazione' (14).
Nell'emisfero occidentale, all'inizio della seconda guerra mondiale, gli Usa avevano già largamente surclassato i loro rivali europei, e quindi si rifiutarono di applicare i principi del Nuovo Ordine Mondiale alla "nostra piccola regione che non ha mai dato fastidio a nessuno", come disse il ministro per la guerra Henry Stimson mentre spiegava perché tutti i sistemi regionali dovevano essere smantellati, salvo quelli americani che, anzi, andavano rafforzati. Gli Usa premettero così perché gli affari del 'loro' emisfero fossero gestiti da organizzazioni facilmente controllabili; un principio molto simile a quello, aspramente condannato dai media, che Saddam Hussein sostenne, nel 1990, quando propose che la Lega araba si occupasse dei problemi del Golfo. Ma anche allora sorsero dei problemi. Se i latinoamericani "tentano un uso irresponsabile della loro superiorità numerica nell'Osa", spiega John Dreier nella sua ricerca sull'Organizzazione, "se portano agli estremi la dottrina del non-intervento, se lasciano agli Stati Uniti come unica alternativa quella di agire unilateralmente in autodifesa, distruggeranno non solo la base della cooperazione per il progresso dell'emisfero ma anche la speranza di un futuro sicuro". I guardiani dell'Ordine Mondiale devono essere sempre all'erta contro qualsiasi segno di irresponsabilità.
Lo stesso si può dire per la politica del 'buon vicinato' di Roosevelt che aveva in sé un "obbligo implicito di reciprocità", come sottolineò il funzionario del Dipartimento di Stato per l'America Latina, Robert Woodward: "L'ingresso in un governo americano di un'ideologia straniera costringerebbe gli Stati Uniti a prendere delle misure difensive", unilaterali. Gli altri paesi, inutile dirlo, non hanno lo stesso diritto, neppure quello di difendersi dagli Usa e dalla loro 'ideologia', perché il governo di Washington non è 'straniero'; e poi gli Stati Uniti formalmente non hanno alcuna ideologia, a parte il 'pragmatismo' nel senso in cui essi lo intendono. Il consigliere di Carter sull'America Latina, Robert Pastor, chiarì la questione: gli Usa vogliono che le altre nazioni "agiscano in maniera indipendente, sempre che tali azioni non abbiano un effetto negativo per gli interessi americani"; gli Usa non hanno mai voluto "controllare" gli altri stati, finché gli eventi non "sono sfuggiti loro di mano". Tutti possono essere liberi, fintanto che sono 'pragmatici' (15).
Per assistere quei "paesi che lottano per mantenere la loro libertà", gli Usa sono stati regolarmente costretti a lanciare contro di loro attacchi terroristici o ad invaderli, ad utilizzare le loro enormi potenzialità per soffocarli economicamente o sovvertirne le istituzioni. Una 'missione' che necessita del contributo di una classe di intellettuali pronta a fornire le giuste 'informazioni' alle 'moltitudini di canaglie', cosa per nulla complicata.
Dopo la Seconda guerra mondiale, l'importanza del tradizionale ruolo subordinato del Sud crebbe con "la consapevolezza che il cibo ed i combustibili dell'Europa Orientale non erano più a disposizione dell'Occidente come prima del conflitto" (Leffler). I pianificatori politici assegnarono a ciascuna regione un ruolo ed una 'funzione'. Gli Usa si sarebbero incaricati dell'America Latina e del Medioriente, in questo caso con l'aiuto del loro 'tenente' inglese. L'Africa doveva essere 'sfruttata' per la ricostruzione dell'Europa, mentre l'Asia sud-orientale sarebbe stata "la fonte di materie prime per il Giappone e per l'Europa Occidentale" (George Kennan ed il suo gruppo di Pianificazione Politica del Dipartimento di Stato, 1948-1949). Da parte loro anche gli Usa avrebbero acquistato materie prime dalle ex colonie, ricostruendo in questo modo quel modello di commercio triangolare nel quale le società industriali comprano i prodotti finiti americani, guadagnando dollari dalle materie prime esportate dalle loro colonie tradizionali. Per Dean Acheson ed altri massimi dirigenti Usa lo scarto tra il valore del dollaro e quello delle altre valute costituiva un grave problema perché impediva le esportazioni americane verso l'Europa e la sua soluzione era considerata essenziale per l'economia nazionale. Il rischio era di sprofondare in una grave depressione o di dover ricorrere ad un intervento statale che avrebbe ristretto, invece di allargare, le prerogative delle grandi imprese. Secondo questo ragionamento sofisticato e molto articolato, alle ex colonie si poteva al massimo concedere un autogoverno simbolico, niente di più (16).
La ristrutturazione internazionale postbellica pianificata dagli Usa comportava la rifondazione, sotto nuove forme, dei rapporti coloniali e la soppressione delle tendenze 'ultranazionaliste', soprattutto se minacciavano la 'stabilità' di altri paesi; il destino del Sud era quello di sempre. Sia al centro industriale che alle periferie dipendenti si doveva impedire di stabilire alcun contatto con il blocco cino-sovietico (o, dopo l'aspra rottura tra Mosca e Pechino, con i due paesi comunisti presi singolarmente). Per cui buona parte dell'ex Terzo Mondo, che aveva rifiutato il suo ruolo tradizionale, doveva essere 'contenuto' oppure, se possibile, riportato alla sua funzione di subordinazione tramite una 'restaurazione' politica. Un elemento importante della guerra fredda era costituito dal fatto che l'estensione del dominio sovietico sulle aree tradizionalmente al servizio del Nord le aveva in realtà separate dal mondo del capitalismo di stato dominato dagli Usa; il pericolo che la potenza sovietica potesse contribuire alla defezione di altre zone, o persino influenzare i settori popolari delle società industrializzate, era quindi considerato un rischio particolarmente grave nel primo dopoguerra.
I rapporti Nord-Sud con il passare degli anni hanno subito delle modifiche, ma di rado sono andati oltre questi limiti di fondo. Nel 1990 la Commissione Sud, presieduta da Julius Nyerere e composta da importanti economisti del Terzo Mondo, dirigenti governativi, capi religiosi e altri, osservò che negli anni '70 vi erano state alcune iniziative in favore del Terzo Mondo "sotto la spinta" dei timori per quella improvvisa "sicurezza mostrata dal Sud in seguito all'aumento del prezzo del petrolio nel 1973" - che non fu del tutto sgradito agli Usa e alla Gran Bretagna. Appena diminuirono le 'pericolose' pretese del Sud, continua il rapporto, le società industriali se ne disinteressarono ed intrapresero "una nuova forma di neocolonialismo", monopolizzando l'economia mondiale, destabilizzando i paesi più democratici delle Nazioni Unite e generalmente, nel corso degli anni '80, portando avanti l'istituzionalizzazione dello 'status di seconda classe' del Sud.
Il modello è sempre lo stesso e sarebbe sorprendente se non lo fosse.
Esaminando le miserabili condizioni dei paesi tradizionalmente sottomessi all'Occidente, la Commissione presieduta da Julius Nyerere lanciò un appello per un Nuovo Ordine Mondiale che rispondesse "al bisogno di giustizia, eguaglianza e democrazia dei paesi del Sud". La rilevanza che ebbe questo appello si può dedurre dall'attenzione che suscitò: fu ignorato, come lo sono generalmente le invocazioni provenienti dal Terzo Mondo, poco interessanti per gli uomini ricchi "a cui bisogna affidare il governo mondiale" (17).
Alcuni mesi dopo, George Bush si appropriò del termine Nuovo Ordine Mondiale come copertura per la sua guerra nel Golfo. In questo caso, vi fu invece un grande interesse e la retorica Bush-Baker ispirò una serie di esaltate dissertazioni sulle prospettive che si aprivano dinanzi al mondo. Nel Sud, invece, il Nuovo Ordine Mondiale imposto dai potenti fu percepito, non senza realismo, come terreno di una dura lotta di classe a livello internazionale, in cui le economie capitalistiche di stato più avanzate e le loro multinazionali si sarebbero arrogate l'uso della violenza e controllato gli investimenti, i capitali, la tecnologia, le politiche ed i governi, ai danni della maggior parte della popolazione mondiale. Le classi dirigenti locali dei territori sottomessi del Sud possono al massimo partecipare alla spartizione del bottino. Gli Usa e la Gran Bretagna, che brandiscono la frusta, continueranno nonostante ciò a registrare un declino che fa loro assumere caratteristiche da società del Terzo Mondo, come è già drammaticamente evidente nei ghetti e nelle zone rurali; è probabile che l'Europa continentale segua la stessa sorte, nonostante l'ostacolo costituito da un movimento operaio che non è stato ancora rimesso del tutto al suo posto.
Note:
N. 12. Leffler, "Preponderance", p. 90-91, 258. Chomsky, "Towards
a New Cold War", cap. 8, 11; "Deterring Democracy", cap. 1, 6,
8, 11. Frank Costigliola, in Paterson, "Kennedy's Quest". Sul Giappone,
vedi Schaller, "American Occupation". Vedi riferimenti della nota
16.
N. 13. Leffler, "Preponderance", p. 71. Jeffrey-Jones, "CIA",
p. 51. Pisani, "CIA", p. 106-7. Vedi cap. 1.2. Sulle elezioni in Nicaragua,
vedi Chomsky, "Manifacturing Consent"; "Necessary Illusions";
"Deterring Democracy". Sugli Usa e l'Italia nel contesto dello sforzo
di allontanare il rischio della democrazia nelle società industriali
dopo la Seconda Guerra Mondiale, vedi "Deterring Democracy", cap.
11.
N. 14 Pisani, "CIA", 114n., 91n. Chace, "New York Times Magazine",
22 maggio 1977. Sugli atteggiamenti razzisti nei confronti dei 'wop' nella documentazione
sia interna che pubblica, vedi Chomsky, "Deterring Democracy", cap.
1.4, 11.5.
N. 15. Su Stimson, vedi Kolko, "Politics", p. 471. Wood, "Dismantling",
p. 193, 197 (citando Woodward, lettera personale; Dreier, "The Organization
of the American States", 1962). Pastor, "Condemned", p. 32, enfasi
sua.
N. 16. Leffler, "Preponderance", p. 165. Per una precedente discussione
su questi argomenti, vedi tra gli altri Chomsky, "At War with Asia",
introduz. I saggi di Gabriel Kolko, Richard Du Boff, e John Dower in Chomsky,
"Pentagon Papers"; "For Reasons of State", 31n.n. Alcune
importanti ricerche recenti sono incluse in Borden, "Pacific Alliance".
Schaller, "American Occupation". Rotter, "Path to Vietnam".
L'utilissimo studio di Leffler, che riassume molte opere recenti e aggiunge
informazioni nuove e significative, pone questo modo di pensare all'interno
della cornice della pianificazione dell'era Truman. Studi recenti in gran parte
confermano ed ampliano il lavoro sperimentale di Gabriel e Joyce Kolko di 20-25
anni fa. Per un aggiornamento parziale, vedi Kolko, "Confronting".
Vedi anche Chomsky, "Deterring Democracy", cap. 1, p. 11, e le fonti
citate.
N. 17. South Commission, "Challenge", p. 216n.n., 71n., 287.