Le produzioni
libidinose avvengono in genere per autogestire
la vita e per la conservazione di essa. La sensazione di
benessere prodotta dalle sue diramazioni e accopiamenti,
è la guida - come anticamente lo era la stella polare
per i navigatori - che dimostra che tutto funziona armoniosamente,
che tutto va bene. La libido femminile-materna si situa
precisamente all'inizio della vita, acompagnando quindi
l'apparizione di ogni essere umano, ed è imprescindibile
per far sì che lo sviluppo di ogni creatura sia conforme
alla propria condizione e alla continuità della propria
specie; per produrre benessere e autogestione della vita
stessa.
In tutti
i mammiferi c'è una spinta o un'attrazione mutua
tra madre e cucciolo, ma nella specie umana (che è
una specie neoténica (nota1)
con un periodo prolungato di gestazione fuori dall'utero)
questa spinta avviene con una enorme produzione libidinosa
per sostenere tutto il periodo di interdipendenza tra madre
e neonato. Come afferma Balint, si tratta di uno stato
simbiotico (e non una serie di accopiamenti puntuali)
tra madre e piccolo, che necessita di un'enorme potenza
libidinosa.
Questa carica libidinosa particolarmente forte, al fine
di contrastare il fenomeno neoténico e assicurarci
la sopravvivenza, dimostra secondo quanto asserisce già
l'antropologia academica (nota
2) che le donne furono le prime artigiane, le
prime agricoltrici e responsabili dell'origine della civiltà
umana.
La qualità specifica della libido materna è
il divenire passione irrefrenabile per la cura del piccolo
essere (che è anche quello che l'ha indotta); passione
di nutrirlo, proteggerlo dalle intemperie, dal freddo e
dalla siccità, di dargli benessere; questa passione
sviluppò l'immaginazione e la creatività delle
donne per raccogliere, filare, tessere, costruire ripari,
conservare e condire alimenti, fare vasi di terracotta,
ecc. La cura del piccolo diventa la priorità assoluta
della madre accanto alla quale tutti gli altri interessi
si dissipano. E' la condizione stessa, la qualità
del desiderio e dell'emozione materna, che per la cura della
vita viene scaturita dai corpi materni. Qualsiasi invenzione
di amore spirituale non arriva neanche ad essere una brutta
copia, un palido riflesso dell'intensità, della passione
e dell'identificazione corpo a corpo assoluta tra madre
e neonato. Questa qualità della libido materna non
è una casualità ne è arbitraria. Nella
prima tappa, il corpo materno è il nostro nesso di
unione con il resto del mondo, e da questo stato di simbiosi
si possono riconoscere i nostri desideri e necessità;
d'altro canto è questo stesso stato che potenzia
le facoltà e energie necessarie per soddisfarli.
La nostra società attuale non ha niente a che fare
con la vita umana autogestita; da circa 5000 anni viviamo
in una società che non è organizzata in modo
da dare benessere ai suoi componenti, ma solo per realizzare
il potere. Quindi, al Potere da fastidio la sessualità
delle donne, i corpi femminili che secernono la libido materna.
Una società composta da corpi femminili che producono
la libido materna è incompatibile con tutto il proccesso
quotidiano di repressione che implica l'educazione di milioni
di bambini e bambine in questa società. La struttura
patriarcale esige che il bambino cresca in uno stato di
necessità e paura; che abbia conosciuto la fame,
il dolore, e soprattutto la paura della morte durante il
parto e subito dopo per l'abbandono, paura questa che psicosomaticamente
qualsiasi cucciolo di mammifero sente quando si rompe la
simbiosi. Per questo, la società patriarcale, durante
questi millenni, si è occupata di distruggere la
simbiosi tra madre e neonato (Michael Odent) (nota
3) affinché quest'ultimo si trovi in mezzo
ad un deserto affettivo, all'assenza libidinosa e alle mancanze
fisiche che accompagnano la rottura della simbiosi e per
le quali il suo corpo non è pronto. A partire da
questo stato, che è l'opposto di quello simbiotico,
si organizza la sopravvivenza sottomettendosi alle regole
previste dalla società adulta, a patto di essere
"un(a) bambino(a) buono(a)", vale a dire che non
piange quando resta solo nella culla, che mangia ciò
che decide l'autorità competente e non ciò
che richiede la saggezza del suo organismo; che dorme quando
conviene all'autorità competente e non quando arriva
il sonno; che manda giù i propri desideri pur di
ottenere un'accettazione della propria esistenza che fu
messa in discussione con la distruzione della simbiosi;
compiacendo gli adulti con comportamenti strambi, sottomettendosi
innocentemente al falso Potere, si corazzano, automatizzano
e assumono gli atteggiamenti convenienti a questa società
di realizzazione di potere - chiamato denaro. Così
inizia la perdita della saggezza filogenetica di 3600 milioni
di anni e la corazza psicosomatica.
Ciò significa che la spirale di mancanza-paura, abbandono-paura
e morte, è relazionata con la spirale pianto-corazza-sottomissione.
La corazza ha due aspetti fondamentali:
1) la rassegnazione davanti alla propria sofferenza (condizione
emotiva per la sottomissione)
2) l'insensibilità davanti alla sofferenza altrui
(condizione emotiva per esercitare il potere)
Ciò significa che per sopravvivere in questo mondo
si deve congelare la sensibilità emotiva specifica
dei rapporti mutuali tipici della vita umana autogestita:
perdita dell'inocenza, perdita della sicurezza visto che
la reciprocità non c'è; un congelamento e
un corazzarsi necessari per lottare, compettere e imporsi
su chi sta accanto, la guerra per la conquista di posizioni,
per l'usurpazione e l'accapparramento; perché sebbene
si voglia solo sopravvivere in questo mondo, pur di non
scarseggiare si deve possedere, e per possedere si deve
in qualche modo rubare e devastare, e per devastare e rubare
si deve essere capaci di esercitare potere sugli altri esseri
umani.
Pur di ottenere tale corazza psicosomatica in ogni individuo,
uomo o donna che sia, e l'apprendimento dei comportamenti
e delle strategie fraticide e gerarchico-espansive della
realizzazione del Potere - ciò che eufemisticamente
viene chiamato educazione - sono necessari corpi di donne
che concepiscano senza lo sviluppo sessuale e libidinoso.
La repressione e la proibizione di coccolare e compiacere
gli esseri umani è esposta molto chiaramente in diversi
testi bibblici, ad esempio, e nella Bibbia la ribelione
contro il padre si punisce con la morte.
Vediamo la funzione della libido materna dal punto di vista
dei rapporti sociali:
Nel 1861, Bachofen (nota
4) scrisse un libro nel quale spiega, basandosi
diretamente su alcuni autori della Grecia antica, la qualità
e la funzione sociale e civilizzante della libido materna
nelle prime società umane (ciò che viene già
confermato dall'antropologia con l'apporto delle nuove concezioni
archeologiche). Bachofen dice che la fraternità,
la pace, l'armonia e il benessere di quelle società
neolitiche dell'Europa Antica, scaturivano dai corpi materni,
dal materno, dal mondo delle madri. Non parla di religione
ne di un'organizzazione politica e sociale matriarcale,
bensì dei corpi materni.
Ciò significa che quella società non proveniva
dalle idee o dal mondo spirituale, bensì dalla sostanza
emotiva che fluiva dai corpi fisici e che organizzava i
raporti umani in funzione del benessere; e da dove uscivano
le energie che vertebravano gli sforzi per la cura della
vita umana.
Questa strutturazione dei rapporti umani a partire dal materno
viene spiegata così dall'antropologa Martha Moia
(nota
5): "Il primo legame sociale stabile della
specie umana (...) fu l'insieme dei vincoli che uniscono
la donna alla creatura che dà alla luce (...) Il
vincolo originale madre-neonato si espande all'aggregarsi
di altre donne (...) per aiutarsi nei compiti comuni di
dare e conservare la vita (...)" unite da una stessa
esperienza, formando ciò che la Moia chiama ginecogruppo.
Nel ginecogruppo il vincolo più importante
era quello uterino, nell'aver condiviso lo stesso utero
e gli stessi seni. Questo è l'origine del concetto
della fraternità umana, che si è estratto
dalle sue radici fisiche e si è elevato al sovranaturale,
per corromperlo e prostituirlo. Il vincolo uterino tra un
uomo e una donna era qualcosa di fondamentale per la riproduzione
delle generazioni in una società di tipo mutuale,
orizzontale e non gerarchizzata, senza il concetto di proprietà
nè quello di lignaggio individuale-verticale. Si
sa che esistono ancora delle piccole località sperdute
nel mondo dove la società continua a funzionare così.
Il rapporto madre-neonato e lo spiegamento di libidine all'interno
dei ginecogruppi creava ciò che la Moia chiama
"l'ordito" del tessuto sociale, sul quale s'incrociava
l'attività dell'uomo, la trama. Questo incastro di
ordito e trama risultava in quel tessuto sociale fatto di
armonia tramite il quale poteva fluire liberamente la libido
autogestita; un campo sociale percorso dal desiderio di
produrre l'abbondanza e non la mancanza (nota
6). L'archeologia oggi conferma i rapporti mutuali
ed armonici tra i due sessi e tra le diverse generazioni
di quelle società
(nota 7).
Queste non sono teorie astratte ma civiltà umane
realmente esistite almeno dal 10.000 a.C., concentrate nell'Europa
sud-orientale fino al Nordafrica, passando anche per Penisola
Iberica.
Ma il tipo di società schiavista imposta dalle ondate
di pastori seminomadi indoeurepei alle antiche ville e città
matrilocali, sin dal 4000 a.C., inizialmente sporadiche
(nota
8), non cercavano il benessere e l'armonia bensì
il dominio capace di estrarre, accapparrare e accumulare
le produzioni della vita. Vale a dire, creare Potere a qualunque
prezzo, con tutta la violenza necessaria per provocare la
rottura dell'autogestione che strutturava i rapporti sociali,
pur di sedimentare il loro potere contro quella vita umana
autogestita. Per devastare, lottare, conquistare, usurpare
e accapparrare, si richiede un tessuto sociale differente
dal precedente: un tessuto di guerrieri, di capi guerrieri,
di lignaggi di guerrieri, di schiavi, di capi schiavi, di
linee di comando, di donne disciplinate e pronte a corazzare
e addestrare la prole, e cioè, a scambiare la maternità
con i lignaggi verticali, ad organizzare la crescita di
questi futuri guerrieri pronti ad uccidere, ad essere schiavi
pronti a dedicare la loro vita ai loro signori; donne insegnate
ad insegnare ai propri figli di negare i loro desideri,
di paralizzare il loro utero, come anche esse hanno fatto.
Ciò significa una società di madri patriarcali,
di donne falliche, che non sono madri vere bensì
un surrogato di madri che non allevano la loro prole per
il benessere del tessuto sociale mutuale, bensì per
la guerra e la schiavitù (nota
9). Come afferma Amparo Moreno "senza una
madre patriarcale ad inculcare nei figli, sin dalla primissima
infanzia, ciò che non dev'essere e che blocchi
la loro capacità erotico-vitale canalizzandola verso
ciò che dev'essere, la legge del Padre, che
simboleggia e sviluppa in modo più minuzioso ciò
che dev'essere (nota
10), non potrebbe più operare.
Si conclude, allora, che la distruzione del maternale non
solo distrugge qualcosa di fondamentale per lo sviluppo
fisico e psichico di ogni essere umano, ma anche la base
della nostra condizione sociale e della nostra società.
Per circa 3000 anni hanno avuto luogo guerre devastanti,
che distrussero completamente le pacifiche cittadine matrilocali
e con loro lo sterminio di intere generazioni di uomini
e donne che le protegevano con la propria vita. Guerre duranti
le quali si schiavizzarono generazioni di donne che vivevano
pienamente la propria sessualità e che partorivano
con piacere e, per citare Bachofen, "generazioni con
le quali è scomparsa la pace nella terra", perché
con esse scomparve il tessuto sociale e il tempo in cui
la maternità era possibile.
Secondo Gerda Lerner (nota
11), i bambini furono la
prima mano d'opera schiavizzata, dovuto alla facilità
di manipolazione e sfruttamento di essi. Le donne dei piccoli
villaggi conquistati venivano mantenute in vita per
la produzione di mano d'opera, stuprandole e trattandole
come bestie. Così ebbe inizio la maternità
per forza bruta, nell'assenza totale di desiderio.
La consolidazione e la generalizzazione del patriarcato
fu un processo discontinuo e molto ampio, che durò
non decadi ne secoli ma millenni. Tra le guerre c'erano
le tregue, le frontiere, la vita sotto la pressione del
nemico, i periodi di "guerra fredda" durante i
quali si fanno le forme di sottomissione volontaria della
donna, prodotte da diversi patti, basate nelle incentivazioni
sociali e nel ricatto emotivo così come nella ricerca
delle situazioni "meno peggio" per lei e per la
prole.
Inoltre, l'aggressività del guerriero o la dolcezza
dello schiavo risiedono nel fatto che
così fosse fin dalla più tenera infanzia,
ma sono anche dovute all'arte di mettere insieme la frusta
e la fame con i giusti incentivi, basati su falsi miti e
sul ricato emotivo, di cui ci sono prove abbondanti nell'archeologia,
ma non solo: il famoso Codice di Hammurabi (nota
12), re della Mesopotamia nel 1800 a.C., periodo
che denotava uno stadio già molto avanzato del cambiamento
della struttura socio-culturale.
Alle origini del patriarcato la paternità era adottiva,
il che significa che i primi patriarchi adottavano (nota
13) i loro seguaci o figli tra i bambini meglio
educati e preparati per la guerra ed il governo degl'incipienti
Stati. Le donne acquistavano un rango in funzione di ciò
che diventavano i loro figli e figlie (spose, concubine,
schiave), di modo che la loro sopravvivenza così
come quella dei loro figli dipendesse spesso dalla loro
fermezza nell'addestrarli. Questo è un esempio di
incentivazione alla quale si va uniformizzando la madre
patriarcale. La donna che subordina il benessere immadiato
dei propri figli all'ottenimento del proprio esito sociale,
che mantiene il proprio corpo disciplinato al fine di limitare
la libido sessuale per ottenere l'approvazione fallocratica,
fa parte costituente di una società gerarchizzata
e competitiva.
Man mano che scompare la sessualità specifica della
donna e si va consolidando la maternità senza desiderio,
si instituiscono anche modelli di matrimonio, poiché
si è già in grado di predire se una fanciulla
sarà "una buona madre e una buona moglie"
e se crescerà la sua prole di forma adeguata. In
realtà, il matrimonio e la paternità come
li conosciamo oggi, risalgono al periodo dell'Impero Romano.
Tra i falsi miti c'è la demonizzazione della sessualità
femminile. Nella Bibbia la cattiveria è per definizione
ciò che viene emanato dal corpo della donna: "Dai
vestiti esce la tarma e dal corpo della donna la cattiveria
femminile", e "nessuna cattiveria è paragonabile
alla cattiveria della donna". La donna deve sentire
vergogna del proprio corpo soprattutto davanti a suo marito;
deve coprirsi di veli, considerarsi impura. Questa è
una percezione dei corpi veramente paralizzante. In tale
contesto, la donna seduttrice e sedotta, voluttuosa e bella,
può solo essere considerata una "puttana",
assolutamente incompatibile con l'immagine della buona madre,
il cui paradigma è una vergine che rimane incinta
senza conoscere uomo e che accetta con rassegnazione la
tortura e la morte di suo figlio sacrificato al Padre.
Con il passare del tempo, di generazione in generazione,
si va perdendo la memoria sull'altro modo di concepire la
vita e di partorire, l'altra percezione del corpo della
donna, le cui tracce, retrospettivamente, si possono trovare
in tre luoghi: nell'Ade (dove fu collocato tutto quello
che non ci doveva essere e quindi da nascondere), nel inferno
(dove va tutto quello che è maligno) e anche nel
profondo del nostro essere psicosomatico.
La millenare rappresentazione della sessualità femminile
accompagnata da tutti i tipi di torture fisiche e psichiche,
è qualcosa che conosciamo bene. Ma quello che forse
si conosce un po meno, è che questa repressione ha
avuto l'obiettivo di impedire l'eruzione della nostra sessualità.
Perché una donna si presti volontariamente ad essere
una madre patriarcale si deve prima eliminare la libido
materna impedendo, per tale fine, lo sviluppo della sua
sessualità sin dalla primissima infanzia.
Così si consuma il matricidio storico, sommatizzato
nel corpo di ogni donna, generazione dopo generazione. Come
ha detto Amparo Moreno, "ogni volta che partoriamo
affermiamo la vita che non dev'essere, blocchiamo la capacità
erotico-vitale del nascituro, per poi continuare ad educarlo
in accordo con l'ordine stabilito".
Questa è una maledizione di Yavé: paralizzare
gli uteri per paralizzare la produzione libidinosa della
donna e rimpiazzare il tessuto sociale della realizzazione
del benessere con il tessuto sociale del dominio e della
gerarchia.
Tra la devastazione della sessualità e la paralisi
dell'utero si costruisce "l'amore materno" spirituale,
destinato innanzittutto a neutralizzare e ricondurre le
pulsioni e i desideri che minacciano la repressione e l'addestramento
della prole. Insieme a questo amore, si costruisce l'immagine
di abnegazione e sacrificio della madre, dedita allla guerra
domestica per vincere la resistenza delle creature che fanno
parte di quel tessuto sociale.
La "qualità dell'amore" spirituale è
quella di neutralizzare la compassione e il sentimento reciproco
che può irrompere e spaccare le corazze, rendendo
impossibile l'accettazione del sacrificio dei figli al Padre,
allo Spirito Santo, al Capitale, allo Stato, al sistema
di istruzione obbligatorio, ecc.
Ma l'amore che esce dalle viscere, a differenza di quello
che dicono uscire dall'anima nascosta dietro ai corpi corazzati,
sa soltanto compiacere i figli ed è incompatibile
con la sofferenza e con l'angoscia che presiede la sua socializzazione.
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