TRANS E CARCERE
Una storia ..
Un contributo alla conoscenza della realta' delle trans detenute viene dal
bellissimo libro
Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Jannelli
PRINCESA
Roma, Sensibili alle foglie, 1994
Un libro duro, perche' dura e' la realta' che racconta.
Ancor piu' triste la vicenda che nel libro non viene raccontata e che e'
seguita alla scrittura del romanzo. Fernanda, la protagonista del romanzo,
una volta uscita dal carcere romano di Rebibbia si e' tolta la vita.
Alla sua memoria dedichiamo questo picollo omaggio che per l'oggi si
rivolge a tutte le trans ancora detenute.
Il romanzo nasce dallo scambio di quaderni tra Fernanda, la protagonista, e
Maurizio Jannelli, lo stesore finale della storia raccontata da Fernanda.
Da cella a cella nel carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso, reparto G8
- soprannominato il "penalino" per gli standard detentivi migliori rispetto
agli altri reparti.
Al G8 sono detenuti quelli con le condanne piu' lunghe, molti hanno
l'ergastolo - compresi i politici - Nel G8 esistono laboratori informatici,
di ceramica, sala musica, palestra ... e all'interno del reparto G8 e'
ricavata la sezione delle trans. Per loro vige un regime di completo
isolamento dal resto del reparto, il che spesso comporta, l'impossibilita'
di accedere alle strutture esistenti dentro e fuori il reparto.
Per il romanzo Princesa lo scambio di quaderni e' potuto avvenire grazie a
Giovanni Tamponi, un detenuto del G8 con accesso alla sezione delle trans
che si e' impegnato a portare-attendere-restituire il quaderno giallo su
cui venivano scambiati per iscritto i racconti. Il libro non e' la
trascrizione di quei quaderni, ma una forma modificata da Maurizio Jannelli
per affidarla alla pubblicazione. Nell'introduzione l'autore definisce
Princesa "un frammento compiuto di una storia piu' larga che va oltre il
testo. Una storia che potrebbe iniziare dall'ultima riga del libro: dal
carcere e dalle sorprese di un incontro".
Il libro si ferma proprio all'ingresso a Rebibbia, un inferno che Fernanda
decide di non raccontare, ma che traspare dal ricordo di Celma, suicidata
in cella. Di carcere si parla anche nell'intervista che Maurizio Jannelli
fa a Fernanda e pone a conclusione del libro. Il carcere e il suo
linguaggio: "froci" e' l'espressione dispregiativa che viene usata per le
trans, mentre l'istituzione si rivolge loro rigorosamente al maschile.
Princesa e' la storia di Fernanda, all'anagrafe Fernando, dall'infanzia
fino a Rebibbia.
I ricordi del Brasile: il prete che a undici anni raddoppiava a Fernando le
penitenze facendosi confessare le sue preferenze sessuali; il collegio
evangelico che isola Fernando dagli altri ragazzi; poi, con la
prostituzione e la droga, i problemi con la polizia, le retate, le notti in
questura, o gli squadroni della morte e le campagne di tolleranza zero.
Poi la partenza per l'Europa: prima Portogallo poi Italia, la
clandestinita', la fine dei sogni. Il libro si conclude con l'aggressione a
una affitta-camere che porta Fernanda in carcere.
Alcuni brani:
L'INFANZIA IN BRASILE. PARADISO E INFERNO
IL COLLEGIO MASCHILE
LA PROSTITUZIONE. LA PRIMA SCHEDATURA DELLA POLIZIA
IN ITALIA. LA VIOLENZA DELLA POLIZIA
I FOGLI DI VIA. LA FINE DEI SOGNI
L'ARRESTO E IL CARCERE: NELLE BRACCIA DEL DEMONIO
IL CARCERE ITALIANO E IL SUO LINGUAGGIO
L'INFANZIA IN BRASILE. PARADISO E INFERNO.
Sulla terra c'è la chiesa e il carcere. Chi va in chiesa va in cielo, chi
va in carcere all'inferno. Cícera mi voleva in cielo e mi portava in
chiesa. Gli uomini da una parte, le donne dall'altra. I bambini tutti
mischiati fino a tredici anni. Per due volte, nel confessionale il prete mi
incalzò:
- Rubi?
- Sì, qualche soldino.
- Calunni?
- No, non faccio diffamazione.
- Litighi?
- Si, qualche volta, a scuola.
- Fai cose sporche?
- No!
(mentivo, non capivo)
- C'è un peccato che non riesci a dire?
- No!
Per penitenza ebbi in recita dieci Padre Nostro, dieci Ave Maria, dieci
Salve Regina. La seconda volta andò diversamente:
- Rubi?
- Sì, qualche soldino.
(alla fiera mi compravo smalto e rossetto ma mi tenni il segreto)
- Fai cose sporche?
(silenzio)
- Fai cose sporche?
(divenni rosso di vergogna)
- Parla! Tu hai da dirmi e non dici! Fai cose sporche?
- Si, le faccio.
- Con uomini o con donne?
- Vado con i ragazzi.
- Fai la donna per i tuoi amici?
- Si, faccio la donna per loro.
- Se ci riprovi per te c'è l'inferno!
Triplicò la penitenza: E tra una settimana ti rivoglio al confessionale.
IL COLLEGIO MASCHILE
La direttrice del Collegio evangelico, dove andavo per il corso serale,
convocò una assemblea di studenti maschi. Dettò con me presente, i1 nuovo
regolamento:
- Fernando Farias non deve entrare nel bagno dei maschi nell' orario in cui
è frequentato dagli altri. E che nessuno abbia l'audacia di provocarlo
quando andrà da solo.
- Fernando Farias non deve venire a scuola vestito da donna, pena l'espulsione.
- Femando Farias deve uscire dieci minuti prima della fine delle lezioni.
- Fernando Farias farà ginnastica il giorno in cui la palestra è libera. Ci
sarà un insegnante volontario solo per lui.
LA PROSTITUZIONE. LA PRIMA SCHEDATURA DELLA POLIZIA
Quella sera furono in quattro. Prestazioni differenti, qualche soldino.
Niente male. Ma non era solo il denaro a tenermi lì alle tre del mattino.
Io faccio la puttana, ecco il punto. Batto il marciapiede con altre venti
trenta transessuali. Sono desiderata. Mi esibisco al femminile. Fernanda,
ed è spettacolo.
Era la prima volta, il mio sguardo basso, intimidito. Ma dentro
indemoniavo. Voglio i miei seni, voglio un culo grande da farmelo leccare
da questi José che di giorno non mi sanno amare. Tra pensieri di vendetta e
desideri non mi accorsi della polizia che arrivò improvvisamente. Mani e
calci addosso: Via, via da qui frocio maledetto! Fui lenta, mi
acchiapparono. Mi chiusero con le altre dentro uno stanzone. Uno spettacolo
in disarmo. Trucchi disciolti e visi accartocciati. Odori forti e pisciatoi
per cazzi in mano. Solo uomini. Tomai libera e schedata che erano le sei
del mattino.
IN ITALIA. LA VIOLENZA DELLA POLIZIA
Uno era grasso e l'altro magro: Signorina, favorisca il passaporto.
Accadde mentre camminavo per via Palestro con Daniela. Lei s'era appena
allontanata per incontrare il trafficante. Eroina, anche a Roma,
inesorabilmente. Io l'aspettavo fissando alcuni pupazzetti di peluche che
mi guardavano curiosi da dentro una vetrina: Il passaporto sta alla
pensione Primavera di via Principe Amedeo, risposi agitata ai poliziotti.
Col cuore a centoallora ci arrivai scortata dai due agenti. La vecchia,
occhi di mostro, sostava sulla soglia dell'ingresso. Nella pensione, in
assenza del padrone, era lei che governava. Gli consegnò il mio passaporto,
mi allontanarono dalla conversazione. i due, la vecchia e arrivò anche il
padrone. Intuii l'andazzo, presi la chiave della camera e mi chiusi dentro.
Col telefono chiamai la vecchia: Ti prego, non farli entrare. Impossibile,
sono della polizia! Bussarono, aprii. Furono dentro, il grasso con il
magro. Il primo mi fu subito addosso. Il secondo, ipocrita, gli diceva di
lasciare stare. Il ciccione mi prese il culo, l'altro rimase a guardare.
I FOGLI DI VIA. LA FINE DEI SOGNI
Mi beccarono col culo nudo, ebbi il quarto foglio di via. Un altro ancora e
c'era l'arresto o l'espulsione. L'avvocato mi spiegò la procedura, pagai
salato ma sistemò tutto. Uscii dall'Italia con un aereo per Lisbona, solo
tre giorni. Rientrai dalla Svizzera, sempre clandestina. Quella breve
uscita aggiustava la mia posizione. Avevo bisogno di soldi e la sera stessa
che atterrai a Fiumicino arrivando da Linate salii di nuovo sulla giostra
che girava. Ricominciai a sbattermi tra Caracalla, l'Eur e lungotevere.
Pippavo coca e eroina per lavorare. Battevo per sniffare. Del tesoro
accumulato non rimaneva quasi niente. Spendevo tutto tra Roma e Milano, per
droga, viaggi e tutto il corollario. Nella cassetta della pensione
Primavera rimanevano solo quattromila dollari. Una miseria, avevo smesso di
sognare.
L'ARRESTO E IL CARCERE: NELLE BRACCIA DEL DEMONIO
Senza sforzo, nelle braccia dei demonio, in Europa, ci si arriva a bassa
voce, silenziosamente. Qui da voi, non si muore fragorosamente. Sparati o
di coltello, tra urla e sforbiciate. Qui si sparisce zitti zitti in
sottovoce. Silenziosamente. Sole e disperate. Di aids e di eroina. Oppure
dentro una cella, impiccate a un lavandino. Come Celma, che vorrei
ricordare. Dormiva nella cella a fianco, dentro quest'altro inferno dove
ora vivo e che ho deciso di non raccontare.
IL CARCERE ITALIANO E IL SUO LINGUAGGIO
E in carcere, come ti chiamano le guardie, gli operatori penitenziari, i
medici egli altri detenuti?
In carcere le guardie, per rispetto del loro lavoro, per la direzione, mi
chiamano al maschile; sono obbligati. Ma se fossero fuori non mi
chiamerebbero al maschile, mi chiamerebbero Fernanda, ne sono sicura. Due
anni fa, quando ero fuori, ho conosciuto uno di loro. Era mio cliente e mi
chiamava Fernanda. Quando però mi incontrò qui dentro, forse per non
attirare dei sospetti su di sé, cominciò a chiamarmi Fernando. Capisco
molto bene perché abbia fatto così. Qualcuno di loro, per scherzo, senza
che gli altri vedano mi chiama al femminile, una cosa normale. Anche il
direttore del carcere mi chiama Fernando, per forza, ma non ho dubbi, se mi
avesse
conosciuta fuori mi avrebbe chiamato Fernanda. Il prete mi chiama Fernanda.
Qualcun'altro, i volontari della Caritas e qualche medico, mi chiamano
Fernanda. Però è una cosa normale per questa gente avere due regole. Per i
detenuti, invece, c'è solo una regola e basta: Fernanda.
Da quando sto in carcere, solo due tra i detenuti che conosco mi chiamano
al maschile. Non ho mai capito perché chiamano solo me al maschile, mentre
gli altri trans, molto più maschi di me, li chiamano al femminile.
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