
10 marzo 1997
"Così quelle scosse hanno ucciso mio figlio"
Carlo Rellini aveva 19 anni, per la sua morte vennero condannati due medici.
di CARLO CHIANURA
ROMA - "Sono il padre di Carlo Rellini, morto a diciannove anni per
elettrochoc. Quando entrò nella clinica Samadi pesava settantacinque
chili, quando lo abbiamo messo nella bara non arrivava a trentacinque. Gliene
fecero tre, di elettrochoc, da quel maledetto giorno del dodici maggio 1988.
Aveva una febbre da farmaci antipsicotici, l'elettrochoc in questi casi
può portare al coma. Così fu per Carlo. Due medici sono stati
condannati: sono il dottor Gian Francesco Gherardini e il dottor Francesco
Orlando, poi assolto in appello. Tre sono stati prosciolti, uno perché
è morto. Ho scoperto a mie spese che cos'è una Sanità
italiana fatta di intrighi, di coperture, di scaricabarile". Luigi
Rellini di mestiere fa il meccanico. Ieri ha compiuto 65 anni. E' umbro
di origine, ma vive a Roma da quarantaquattro anni. E' riuscito a sfidare
quella Sanità malata e a vincere quegli intrighi e quelle coperture.
Carlo era il secondo di tre fratelli: lavorava e studiava, alla sera, nell'
istituto tecnico Galileo Galilei. Fu proprio una sera, quella del 21 aprile
1988, che Carlo chiamò casa: "E' tutto a posto, sto tornando".
Tutto a posto che cosa?, si chiesero in casa Rellini. "Carlo, ma è
successo qualcosa?". "Ma no, se vi dico che è tutto a posto.
Sto tornando". Quando tornò capirono che a posto non c'era proprio
niente. "Non sapremo mai che cosa gli era successo davvero", spiega
il professor Roberto Roberti, perito di parte della famiglia Rellini al
processo contro i medici: "Forse l'esordio improvviso di una psicosi
acuta. Comunque una condizione curabilissima". Quello era l'ingresso
del tunnel per Carlo Rellini. "Comincia a dare i numeri", come
dice il padre. I suoi pensano che ha bevuto qualcosa, che gli abbiano dato
della droga. A mezzanotte chiama un amico e gli dà un appuntamento.
Il fratello lo ferma. Lui scoppia in una crisi di pianto. "Sto male,
aiutatemi". Il giorno dopo comincia il giro per medici e psichiatri.
Se Nanni Moretti per la sua malattia raccontata in "Caro diario"
incontrò anche "il principe dei dermatologi", Luigi Rellini
va dal principe degli psichiatri, con uguale fortuna. I milioni cominciano
a correre ma le crisi si fanno sempre più ravvicinate nonostante
"le dieci gocce di..." e "le quindici gocce di...".
Miglioramenti, peggioramenti, la caduta. Carlo non sopporta la luce, Carlo
non sopporta il canto degli uccelli, Carlo non sopporta la radio accesa.
Uno dei medici, collaboratore del principe degli psichiatri, consiglia il
ricovero nella casa di cura Samadi, specializzata in cure del sistema nervoso.
Ci vuole del bello e del buono per convincere Carlo ad andare in quella
clinica. Poi il padre ci riesce e insieme varcano, alle tredici del nove
maggio, il cancello della Samadi. L'antifona, i Rellini, la capiscono subito.
I medici chiedono: "Ci autorizzate ad applicare la cura del sonno?".
E che cos'è? "Una cura che facciamo ai nostri pazienti. Firmate
qui e non dite niente a nessuno. Vedrete che in un paio di giorni vostro
figlio sarà guarito". La cura del sonno è l'elettrochoc,
naturalmente. Luigi Rellini lo capisce, chiede aiuto a uno degli psichiatri
che ha contattato e riceve il consiglio di non firmare. Ma le insistenze
del medico della Samadi si fanno sempre più pressanti. Rellini cede
e firma, alle dieci della sera. Tre giorni dopo il dottor Francesco Orlando
arriva assieme a un'infermiera e a una scatola. E' la scatola delle scosse.
Un quarto d'ora e Orlando esce: è andato tutto bene, dice, il ragazzo
"sopporta benissimo". Luigi Rellini: "Non dimenticherò
mai queste parole. Mi disse: se non sarà domani, sarà dopodomani,
sennò domenica. Ma voi preparate già da ora una festa per
quando uscirà. Sembrava un padreterno". Senonché nessuno
aveva messo in conto che una febbriciattola si era già impadronita
di Carlo. 37 e 4. Quando il medico esterno che aveva consigliato il ricovero
alla Samadi saprà della febbre bestemmia. Ma intanto è già
tardi. Mentre la febbre sale a 38 e 4, c'è il giorno dopo la seconda
botta di elettrochoc. Spiega il professor Roberti: "La febbre da antipsicotici
provocava un irrigidimento, l'irrigidimento fu preso per catatonia. La febbre
più l'irrigidimento più l' elettrochoc provocarono un'insufficienza
di ossigeno al cervello". Ciò nonostante, il 14 maggio arrivò
la terza botta di elettrochoc, quella fatale. Fortissime crisi epilettiche.
Infine il coma. E' il 3 giugno quando Carlo viene trasferito all'ospedale
San Filippo Neri. Ne uscirà esattamente quattro mesi più tardi.
Al Gemelli troveranno che pesa 34 chili, che ha venti centimetri di femori
scoperti, che ha le piaghe da decubito in fase avanzata. "La cosa peggiore",
gli dice un primario di Rianimazione, "è che suo figlio sta
morendo di fame". Morendo di fame? Sì, la sua dieta al San Filippo
Neri era di mille calorie o poco più, quando gliene sarebbero occorse
cinquemila. Carlo morì un mattino freddo del 1989, il 27 gennaio.
Nove mesi dopo quel "tutto a posto".