Meeting Europeo
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Impressioni di settembre

Come realtà di base, autorganizzate ed autogestite, della Toscana riteniamo necessario esprimere il nostro punto di vista sui documenti che convocano la manifestazione del 13 settembre a Venezia.
Non ci interessa l'esito della manifestazione, avviata ad uno scontato successo che insigni sindacalisti CGIL hanno già provveduto a quantificare in almeno 70 mila partecipanti.
Ci interessano i percorsi della soggettività; è questo che ci ha fatto leggere e discutere con attenzione quanto prodotto per quest'appuntamento: vi abbiamo scorto una pericolosa deriva.

Sgombriamo subito il campo da equivoci: non ci interessa lanciare anatemi e scomuniche, ma condurre un dibattito, franco e serrato fra chi ha fatto dell'azione diretta, dell'autonomia dai rapporti di produzione e dalle istituzioni la propria discriminante.
Noi non viviamo le particolarità presenti nel nord-est; la no
stra pratica sociale e politica, il nostro metodo di lavoro, si fondano sul massimo rispetto per le decisioni che vengono prese da chi sta all'interno delle situazioni. Per questo siamo sempre stati restii ad esprimersi su questioni che non ci vedono direttamente protagonisti. Questa volta lo facciamo perché scorgiamo una scelta di campo, una collocazione della soggettività che va in una direzione ben diversa dalla nostra.
C'è un appiattimento sulla questione secessione. Appiattimento sul secessionismo che, a fronte di tanto "nuovo" decantato rispolvera una delle peggiori formule del movimento operaio di questo secolo: il frontismo. Che altro è la manifestazione di Venezia se non un'operazione frontista della "sinistra nel suo complesso", come voi la definite?
Del resto cosa c'è di nuovo da quella manifestazione del 25 aprile '94, promossa, anch'essa da "Il Manifesto", allora il nemico era solo Berlusconi, oggi è solo Bossi e le sue serenissime appendici.
Per combattere questo nemico, ci si prende per mano con la CGIL, forse anche con la Cisl locale, si marcia con chi, istituzione dello stato nazionale difende se stesso e l'unità nazionale sventolando il tricolore. D'altronde lo scenario è uguale a quello di tante, troppe volte: Rifondazione paga ed organizza i treni, l'Arci fiancheggia, "Il Manifesto" orchestra la campagna mediatica.
Si parla tanto, e giustamente, di rompere, noi preferiamo usare il termine superare, le forme organizzative nazionali e si convoca una manifestazione "italiana ed europea" che faccia da argine al secessionismo. Tutto questo viene presentato come "occasione Venezia", "lo spazio vero per confrontarsi con tutti coloro che cercano le nuove strade dell'agire politico".
Gratta le parole e vinci Bertinotti, che ha votato tutto quello che c'era da votare per farci entrare in Maastricht. Non vorremmo che si scegliesse di stare sotto le frasche protettive dell'Ulivo, che è sì liberista, ma è il meno peggio di fronte al pericolo di destre xenofobe e razziste, con l'illusione che si possa strappare qualcosa (per poi rimanere sempre scornati come sull'indulto, la Conferenza di Napoli sulla liberalizzazione, ma forse la prossima legge sul no profit sosterrà le microeconomie su cui alcuni hanno puntato così tanto da stravolgere i propri assetti organizzativi). Il passaggio delle sinistre istituzionali al governo è, quello sì, un passaggio sovranazionale (nell'Unione Europea ben 13 esecutivi su 15) necessario per gestire Maastricht e quel che ne consegue: flessibilità del lavoro e del salario, precarizzazione generale, privatizzazioni, disoccupazione strutturale, in sintesi MISERIA.
C'è sicuramente un problema di comprensione del linguaggio. Non riusciamo a capire cosa vogliano dire "civilizzazione europea", "convivenza civile", cosa sia la società civile nell'Europa di fine millennio, che tipo di soggetto del mutamento possano essere i "cittadini".
Sono parole d'ordine che evocano il XVIII° secolo, quello dei lumi, della "cittadinanza", necessario alla borghesia per liquidare le ultime istituzioni feudali. Leggiamo in tutti i vostri testi il continuo ritorno alle origini della modernità, con la conseguente scomparsa dell'epoca contemporanea contrassegnata dalla lotta di classe, dai tentativi di rottura rivoluzionaria.
Questa rimozione, in particolare del Novecento le cui esperienze rivoluzionarie sono liquidate in blocco come "stataliste", è comune, non a caso, a Revelli e Bertinotti con una distruzione sistematica dell'altro movimento operaio e comunista che ha combattuto prima il partito-stato, poi lo stalismo ed il "socialismo reale".
Non capiamo se il conflitto a cui fate riferimento è quello che poggia sulle contraddizioni di classe o è un conflitto democratico (inclusione nella sfera della citttadinanza) seppur condotto con forme di lotta radicali. L'utilizzo delle categorie inclusione/esclusione al posto di quelle che svelano il rapporto capitale-lavoro, sia nella sfera della produzione che in quella della riproduzione, a che approdo porta?
Si pensa che il capitale sia ormai ridotto ad un vincolo giuridico, che nel processo produttivo sia possibile, vedi l'enfasi sull'autoimprenditorialità, affermare valori altri da quelli del mercato? Si pensa possibile costruire una società di pari diritti, di liberi ed uguali organizzati in comunità solidali cooperanti, senza distruggere il modello di produzione capitalistico?
Qual' è poi il senso dell'appropriazione dei nessi amministrativi, l'insistenza sul condizionamento delle amministrazioni locali? Ci pare sia un'altra cosa da quella che facciamo per imporre, con i rapporti di forza, l'affermazione di bisogni e diritti (casa, spazi sociali).
Per quanto possano essere significative le casse dei comuni ci sembra assolutamente improponibile vederli come i gestori della ricchezza sociale che viene accumulata sullo sfruttamento del lavoro.
La formula, perché di questo si tratta, del "federalismo municipalista", stranamente non riproposta nell'appello internazionale, da chi deve essere riempita? Sono tutti uguali nella municipalità? C'è un nesso solidarizzante fra imprenditore e prestatore d'opera? O va riempito da un movimento trasversale (interclassista?) che alza la bandiera della municipalità contro il centralismo statalista e burocratico? E' questo il senso, interclassismo, del riconoscimento della leadership di Cacciari, le interviste che decantano l'esperienza del "partito catalano", quello, poi che appoggia Aznar in Spagna.
La sinistra al governo, o nella maggioranza, non serve a battere la destra, anzi, finisce per rafforzarla, come insegna l'esperienza storica (ecco l'importanza il valore della memoria) e quella attuale del governo Prodi. Cacciari, lo stesso che sdoganò nell'82 la nuova destra del razzismo differenzialista, già per 4 anni Sindaco di Venezia ha mostrato la capacità di arginare il secessionismo?
Se così fosse non si sarebbe alla drammatica situazione, che descrivete. Anche a questo proposito ci saremmo aspettati altre cose, un'inchiesta di classe sul leghismo e non l'elogio della "potenza e della forza politica costituente" rappresentata dalla Lega. Un'analisi materiale che fornisse chiavi di lettura che vanno al di là, dell'ovvia interpretazione del localismo come reazione alla globalizzazione e della vecchia verità che il mito politico, pensiamo all'arianesimo di Hitler ben prima che alla padania, viene inventato dal nulla.
In Toscana governa il centro-sinistra. Rifondazione, forte del 12%, oltre ad esserne incapace, si rifiuta di fare opposizione, condividendo responsabilità di governo a Firenze ed in alcuni centri minori. Viviamo e spieghiamo da tempo qual è stata l'ulteriore metamorfosi del Pds, che ha contrapposto al partito azienda di Berlusconi la propria azienda partito:
600 mila iscritti su scala nazionale, 1/4 di questi che partecipano alla vita politica: hanno tutti un vincolo materiale, una poltrona, un'attività economica da difendere. Questo partito ha un'idea chiara del federalismo, come comitato d'affari locale. Sono i moderni rappresentanti di commercio, devono affermare sul mercato le produzioni, garantire agli investitori le migliori condizioni (supersfruttamento e defiscalizzazione). L'Assessore verde impone inceneritori e mega discariche, governa l'alta velocità ferroviaria della Fiat. "Il Manifesto" fiancheggia la Giunta regionale;
l'Arci e l'associazionismo salutano positivamente la nuova legge contro gli immigrati.
Afferrare il proprio tempo significa per noi, compagne e compagni della Toscana, territorio molto diverso dal vostro, capire che non abbiamo alleati nella "sinistra". Per questo mettiamo tutte le nostre energie nello sviluppare un agire ricompositivo, delle varie situazioni di lotta che si oppongono al modello di produzione e di sviluppo: dalle esperienze di autorganizzazione dei lavoratori all'organizzazione del precariato, dalle lotte ambientali all'appropriazione diretta di case e spazi, dall'autorganizzazione degli immigrati alla pratica internazionalista ed alle mobilitazioni antimperialiste.
Il radicamento realizzato e le radicalità sviluppate poco servono se vivono all'interno delle dimensioni particolari, se non s'impossessono della ricchezza di tutte le altre acquisendo una dimensione generale, ricompositiva, di programma. Una strada, quella della pratica e dell'autorganizzazione sociale che non solo non consente scorciatoie istituzionali, ma che mette al riparo da cercare in formule e verità, siano storiche o innovative, soluzioni che, puntualmente, non si avverano.


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