Meeting Europeo
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LA "COSA" DEL NORD-EST

IL NESSO PROFONDO

Il processo storico-naturale di sviluppo ineguale del capitalismo sta producendo una accentuazione della lotta tra frazioni borghesi intorno al tema "secessionismo-federalismo". Ogni condizione di sviluppo ed integrazione economica di categorie sociali definite produce un loro compattamento-raggruppamento intorno ad una identità politica che ne esprime e difende gli interessi materiali. La condizione economica di integrazione al mercato renano dell’area del nord-est ha prodotto la "lega nord", il partito che sancisce una avvenuta separazione materiale e nei ritmi di sviluppo tra aree geografiche nazionali.
E’ un processo oggettivo che avviene contemporaneamente al tentativo, in via di svolgimento, di un riequilibro del sistema burocratico statale rispetto alle ben conosciute ravvicinate scadenze internazionali. E’ un processo oggettivo a fronte del quale i margini di manovra sovrastrutturali si fanno sempre più ristretti e a poco servono accentuazioni di toni e "contromanifestazioni"; così come a poco serve mettere il "pericolo lega nord" al primo posto nel rapporto semestrale dei servizi di sicurezza. Da una parte quindi lo stato-centrale con le sue necessità di ridefinizione, riduzione del welfare e della spesa pubblica, dall’altra il tribalismo economico-politico del secessionismo leghista basato sul "nuovo" super-sfruttamento di una classe operaia sempre più multinazionale; in mezzo il neonato movimento-partito dei sindaci, la cosiddetta opposizione alla lega: "l’ulivo del nord-est", il partito della spesa pubblica, delle autonomie locali che si oppongono alla riduzione del credito da parte dello stato centrale, del "federalismo municipalista".
E’ dentro questa dialettica, nesso profondo del movimento-reale, che si esplicita la cosiddetta "fine" dello stato-nazione; una fine tutta interna ai processi sempre più veloci di internazionalizzazione del modo di produzione capitalistico che, insieme ad uno sminuimento della decisionalità nazionale provoca processi di uniformazione planetari.

FEDERALISMI

La relatività storica e geografica ha prodotto le molteplici sfaccettature dei tanti "federalismi": federalismo "liberale" e "sociale interventista", di "destra" e di "sinistra", di matrice tecnocratica ed economicista, federalismo di carattere "democratico" e "pluralista" alla Tocqueville, ma anche ispirato al tipico valore cattolico della "resistenza" all’omologazione delle minori comunità dei singoli; o ancora federalismo di Prodhon o il socialismo municipale francese. La spinta a costruire e rafforzare le strutture federali è stata legata soprattutto allo sviluppo della "libertà" di impresa e di mercato.
Negli U.S.A., prima culla del federalismo, la molla che va dalla istituzione della federazione alla guerra civile di secessione, è stata proprio e prevalentemente, la volontà di potenziare e difendere il "libero commercio" e le "libertà" individuali a questo legate. La stessa costruzione della comunità europea, pur voluta da statisti borghesi come Adenauer e De Gasperi, che vedevano nel solidarismo europeo la sola possibile via d’uscita agli sconquassi di due guerre mondiali imperialiste, si è poi inserita e rafforzata proprio in un contesto politico e culturale dominato dalle ragioni del "libero" mercato.
Oggi si aggira per l’Europa una fortissima spinta verso l’esaltazione di articolazioni regionali all’interno degli stati esistenti e verso una struttura federale dell’Unione Europea, fenomeno questo che, a meno che non venga modificato da controspinte verso un’Europa a "più velocità", è destinato a segnare profondamente linee di fondo europee e quindi, di conseguenza, aspetti certo non marginali del dibattito italiano.
Dibattito che vede al suo cuore autonomie territoriali, funzionali-sociali, a fronte di partiti nazionali che, per salvaguardare il loro ruolo cruciale, hanno sposato lo schema istituzionale centralista. Proprio la repubblica democratica dei partiti ha rappresentato il freno principale alle autonomie; non a caso la crisi dei partiti e la crisi del sistema istituzionale sono esplose insieme.
Nel volgere dell’ultimo triennio i maggiori partiti italiani vanno convertendosi al federalismo (insieme al codazzo degli "utili idioti" del nord-est) tranne "la lega nord" che, nel frattempo, è passata al secessionismo. C’è un "federalismo per abbandono", ovvero la ritirata dello stato-centrale che trasferisce o delega il più possibile competenze a regioni-province-comuni senza trasferire direttamente e contestualmente risorse, ma si limita soltanto a prevedere l’istituzione di nuove imposte a favore dei soggetti periferici.
C’è inoltre anche un "federalismo in movimento o municipalista" (quello degli utili portatori d’acqua al mulino del "Cacciari-pensiero"), ovvero una combinazione di autogoverno locale e delegificazione nazionale che riconfiguri pienamente la "nuova" forma-stato.
Il "federalismo in movimento" contiene in sé l’idea di una identità nazionale che faccia a meno dei vincoli ottocenteschi delle funzioni pubbliche centralizzate e al tempo sappia coordinare il pluralismo interno con il pluralismo europeo. Una "forma-stato in movimento", agile, snella, a-burocratica, particolarmente corrispondente alle velocizzazioni del mercato europeo. Una forma-stato, per certi versi, necessario al riequilibrio tra struttura e sovrastruttura nazionale e che permetta all’Italia l’aggancio al carro tedesco e all’Unione Europea, aggancio che se non avvenisse, potrebbe ulteriormente attivare le spinte secessioniste. Noi crediamo che "l’Europa" si farà, e crediamo che l’unità nella diversità in cui la rete delle autonomie locali ricuce gli strappi dello stivale ne sia un puntello importante. Il regionalismo delle grandi aree insieme al "municipalismo delle cento città" potrebbe saldarsi e trasferirsi nella dimensione europea dando al vecchio continente capacità e "pluralismo" economico e politico in grado di competere con gli aumenti concorrenti del capitalismo multipolare.
Una "nuova" forma-stato basata quindi sulle autonomie funzionali e sul raccordo stretto con il sistema delle imprese; una sorta di Lander tedeschi all’italiana, che rafforzi cioè l’articolazione regionale all’interno del nuovo contesto europeo; una sorta di sostituzione della organizzazione gerarchica dello "stato nazione" con un "nuovo stato-rete".

LO "STATO*RETE"

E’ soggetto inevitabilmente a due sviluppi tra loro connessi: da una parte tende a perdere la sua sovranità sia verso l’alto (a favore delle determinazioni internazionali) che verso il basso (autonomie locali territoriali), e dall’altro diluisce orizzontalmente l’autorità verso soggetti collettivi (autonomie funzionali e sociali). Ad aver determinato il cambiamento in corso (cambiamento tra varie forme-stato) è la novità del fenomeno impresa: alle storiche "famiglie" un nuovo tipo di popolazione è rappresentata dalle imprese. A fronte di una popolazione di 57 mln di persone e di 21 mln di famiglie e di 8100 comuni, le imprese ormai affollano il quadro con ben 5,7 mln di soggetti.
Una nuova statualità deve essere perciò organizzata a soddisfare le esigenze economico-politiche della popolazione delle imprese e del sistema di istituzioni reticolari e funzionali che le imprese pretendono; sistema chiaramente indifferente a confini nazionali e perfino europei. In soldoni (!) un pluralismo economico impone un pluralismo politico e le forme-stato ad esso corrispondenti.
La forma-stato "federalista a rete" risulta quindi particolarmente funzionale all’esigenze e alle forme aggregative dell’impresa, mentre risulta più presente dove questa "forma-impresa" è più diffusa: nel nord est, vera polveriera di piccola e media imprenditoria, zoccolo duro dell’elettorato DC prima, oggi campo di scontro elettoralistico tra Polo-Lega, Ulivo del nord-est per il controllo degli stessi interessi e degli stessi voti.
Queste, secondo noi, le questioni sul tappeto, al di la di fallaci apparenze di "contrapposizioni" ideologiche o addirittura ideali tra secessionisti, statalisti e federalisti.
Al di la di "ampolle e di padanie", di "libere elezioni al nord" e altrettanto libere "manifestazioni settembrine" (democratiche, antifasciste e antirazziste...naturalmente!), al di la del fumo, questo, secondo noi, è arrosto.

IL RIFLESSO POLITICO

Nel test elettorale di aprile la "lega" ha perso la piazzaforte di Milano in vantaggio di Berlusconi, ma conferma il suo radicamento sociale nella provincia lombardo veneta. In sostanza il Carroccio continua ad esercitare un ruolo non eludibile negli equilibri elettorali nordisti, di cui "Forza Italia" è costretta a tener conto, il che, è oggi evidente, non esclude eventuali accordi, accordi avversati dal "Ulivo" e da buona parte del sindacato di stato.
Alla conferma del radicamento del partito della "Lega", l’espressione politica dell’integrazione renana del nord-est, si sta formalizzando e tenta di opporsi l’espressione politica del federalismo municipalista, l’"Ulivo del nord-est", in mezzo, coinvolto ed interessato allo stesso elettorato, il "Polo".
Nell’attuale contingenza politica la partita si gioca intorno alle elezioni del sindaco di Venezia. In prospettiva, e relativamente alle capacità italiane di allineamento ai ritmi europei, lo scontro potrebbe acuirsi tra fughe secessioniste e "stato-rete".

IL PARTITO VATICANO

Le ideologie e le condizioni sociali del ciclo liberista sono da alcuni anni al centro del processo di rielaborazione e di adeguamento da parte dell’organizzazione della chiesa cattolica, che si presenta a cavalcioni tra i ruoli di "collaborazione" e "opposizione". E’ parte del ceto politico dominante ma ne è solo una delle espressioni. Nella pretesa di separazione dallo "stato" sta il suo essere "movimento complementare", funzionale all’ordine sociale. C’è l’intimo nesso della falsa coscienza tra "complementarietà" e pretesa "opposizione" all’ideologia dominante. Di "complementarietà" si tratta riguardo i panni freddi ecclesiastici nelle febbri lombardo-veneti, rivendicata nella forma di "federalismo solidale" per un nord tanto ricco e protestatario quanto orfano di un riunificante partito cattolico.
I vescovi italiani tentano di orientare un "gregge" confuso da un benessere improvviso e dal disfacimento della vecchia DC, giocando per intero la loro rivalsa nei confronti di una borghesia nazionale costretta a ricorrere al soccorso pastorale per trovare un sostegno al proprio fallito. La scommessa di oggi del "partito vaticano" è quella di incanalare gli umori prepolitici del localismo verso un compromesso con Roma compatibile con il cammino di riunificazione europea.

LE "NOVITA’"

Ultimi arrivati, abili e arruolati nel "partito catalano", portatori d’acqua per i mulini dell’"Ulivo", i "riappropriatori del welfare", "dal basso", naturalmente.
Purtroppo, quando manca la capacità vera di riflessione e di analisi della realtà, si cade preda di allucinazioni e le si spaccia per "novità"; vecchie come il capitalismo, e come il capitalismo da combattere.
"Novità" oblique su presunte "fini del comunismo" e sulla "inservibilità della tradizione comunista, in tutte le sue varianti".
Il tutto scambiato con un presunto "salto di qualità nell’intervento e nell’azione politica".
Dall’altra parte, sono circa 150 anni che ad oriente come ad occidente, a "destra" come a "sinistra", migliaia di intellettuali, di giornalisti, di uomini politici, si procurano comodi posti e rendite sicure sfornando libri, articoli, discorsi "nuovi" in cui si disquisiscono su temi più disparati ma perseguono il medesimo obiettivo: nascondere le leggi oggettive del capitalismo, la capacità trasformativa della dialettica materialistica e proprie categorie analitiche. Tutto ciò non ci sorprende.
L’opera di oppressione ideologica oltreché materiale di classe non è una "novità". Piuttosto, la caratteristica contingente è il decadimento della dignità "teorica" dell’attacco "nuovista".
Nonostante tutto, secondo noi, sono proprio i reiterati tentativi di negare-travisare il corso del movimento reale a confermarci che l’operazione non è andata in porto.

NOI

Abbiamo cercato di dimostrare che sul tema "federalismo-secessionismo" è in corso una battaglia tra fazioni economiche e relative espressioni politiche tutte borghesi, tutte cioè concordi nel farci pagare il prezzo della ri-formulazione della forma stato. Già, lo stato!
Per noi, ostili a "novità" a buon mercato, impermeabili a giravolte tanto confuse quanto utilizzate, lo stato non è un orpello, un idea, non è il "conciliatore di interessi di tutti i cittadini". NO.
Lo stato è l’espressione del dominio di classe, sempre, di più ;
lo stato è l’organizzazione politico-militare di questo dominio.
Da questo dominio non ci salverà nessuna "riserva del nord-est", nessun "movimento dei sindaci", ma solo quella solita "vecchia" ma sempre più urgente ed attuale trasformazione sociale che sia Scalfaro che Bossi che Cacciari avversano uniti.
Dall’altra parte, non esiste nemmeno l’ipotesi di "rivoluzione sociale" senza analisi del movimento reale. E’ per questo preciso motivo che va fatto ogni sforzo da parte dei soggetti sociali oppressi più coscienti, per ristabilire la griglia interpretativa materialistica e dialettica, come unica possibilità di orientamento nella crescente e voluta confusione.

GRIGLIA INTERPRETATIVA CHE PROVIAMO A "COSTRINGERE" IN 3 SNODI:

*la crescente determinazione internazionale delle specificità nazionali
*la crescente determinazione economica delle linee politiche e delle forme statuali
*la centralità della soggettività rivoluzionaria dentro la contraddizione capitale-lavoro salariato, cuore di tutti gli altri rapporti sociali

Noi crediamo che l’analisi teorica di parte proletaria non sia una scelta, nel senso che anche essa è espressione della realtà e se la realtà materiale è quella qui indagata anche l’analisi per studiarla ed il grimaldello per scardinarla è questa. Lo è oggettivamente!

*occorre riappropriarsene come soggettività
*questo è il nostro problema di fase
*questo è il compito specifico della nostra generazione di militanti

La storia dei rapporti tra gli stati, dei loro scontri, della loro aumentata concorrenza; l’estensione e la diffusione planetaria del modo di produzione capitalistico; il gigantesco processo di proletarizzazione in corso soprattutto ad est (Cina ed aree dell’ex capitalismo di stato "reale") e la conseguente formazione di giganteschi agglomerati metropolitani sono la più grande e terribile conferma delle leggi oggettive che regolano il corso del movimento reale. I fatti del resto, hanno la testa dura e le chiacchiere non riescono a capirle e tantomeno a cambiarle.

A chi ci guarda come panda "in via di estinzione" ed utopisti rispondiamo che utopisti sono loro perché credono che il loro regno durerà in eterno. sbagliando

ROMA SETTEMBRE 1997

SALUTI E LIBERTA’

DERAGLIAMENTI trx in onda tutti i martedì dalle 10.30 alle 12 su ROR


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