Adesione di Radio Città Futura
di Roma


L'accordo dei sei partiti dell'« arco costituzionale » ha aperto e caratterizzato una nuova fase politica, evidenziando la fine di qualsiasi opposizione svolta dai partiti della sinistra storica e segnando la svolta della collaborazione di classe anche a livello governativo. Mentre da una parte la borghesia si vede costretta, dopo il 20 giugno e la grossa avanzata del PCI, ad aprire nei confronti di questo partito per risolvere una crisi di direzione sviluppatasi negli ultimi anni dall'altra, e in maniera sempre più evidente, cerca di utilizzare a fondo questa nuova disponibilità del PCI—nuova per ampiezza alla collaborazione e al compromesso al fine di disorientare e dividere il movimento operaio e assestare gravi colpi all'intero schieramento di classe, colpi capaci, di ristabilire i tassi di profitto, aumentare il saggio di sfruttamento sulla classe operaia e avviare la necessaria ristrutturazione capitalistica. In questo contesto i disegni del PCI appaiono fin troppo chiari: il controllo sociale, la pace in fabbrica, il blocco delle lotte operaie rappresentano la merce di scambio per un acce]erato inserimento, in termini di potere politico, all' interno dello stato borghese.

Nelle sue intenzioni il PCI si è già fatto Stato—come interpretare diversamente la nozione di « ordine pubblico democratico » che vede il PCI lanciato in una difesa appassionata delle forze repressive borghesi o il richiamo di Argan all'esercito come « braccio armato del popolo »?—ma questa sua attiva collaborazione di classe gli costa prezzi altissimi in termini di disorientamento e indebolimento della forza operaia, che era andata crescendo nell'ultimo decennio di lotte. A questo disorientamento crescente, a questa sfiducia che investe anche vecchi quadri di partito, la direzione burocratica del PCI risponde oggi compattando la sua base su una « guerra santa contro l'estremismo » che è presentata come una difesa dei suoi festival delle sue sezioni, dei suoi comizi sindacali. In questo la direzione del PCI trova facile gioco grazie alla politica demenziale di settori dell'autonomia organizzata che considerano il partito comunista e le sue strutture come « nemico principale » e elemento centrale dello stato del capitale.

In questa nuova fase l'unico ruolo di opposizione politica reale di massa è stato finora svolto dal movimento di lotta che si è raccolto da febbraio in poi attorno alle università estendendosi ad altri settori proletari in lotta per l'occupazione, la difesa del salario e dei livelli di vita. Nonostante tutti gli errori che a volte hanno facilitato la ghettizzazione di questa opposizione, il movimento di lotta ha saputo amplificare e moltiplicare le contraddizioni che la politica collaborazionista portava in sé. Se per la borghesia questo movimento era, da subito, un nemico da eliminare attraverso la sua criminalizzazione, per il PCI esso rappresentava un grave pericolo con il suo carattere anticapitalistico ed eversivo.
Il partito comunista si trovava nella difficoltà di mostrare alla borghesia un controllo sociale operante anche sulla cosiddetta seconda società. Questa prova di forza è fallita il 17 febbraio con la cacciata di Lama dall'università di Roma. Da allora la repressione è andata crescendo e questa funzione di criminalizzazione ha trovato concordi borghesi e riformisti, presentandosi come un motivo di compattamento interclassista e ridando vigore all'ipotesi di compromesso storico.

In questa situazione il convegno di Bologna si deve porre come momento di chiarezza sul fatto che il discorso sulla repressione non è soltanto salvaguardia degli spazi democratici ma anche momento di analisi complessiva su come si va configurando l'accordo DC PCI. Deve essere chiaro a tutti i compagni che ogni risposta che non tenga conto della mobilitazione di massa è destinata ad essere perdente; né una difesa istituzionale o di semplice denuncia con l'aiuto di pochi intellettuali democratici, né l'illusione di potersi opporre alla repressione accettando il livello di scontro che lo stato impone al movimento possono sostituire la forza di un movimento di massa.
Dietro queste risposte si nascondono due ipotesi contrastanti ma entrambe fallimentari: la prima punta a ricoprire uno spazio di opposizione istituzionale lasciato vacante dal PCI, la seconda, portando alle estreme conseguenze un'analisi sbagliata tutta centrata su concetti come la socialdemocratizzazione del PCI e il rafforzamento dell'esecutivo all'interno di una germanizzazione già in atto nel paese, delega alla risposta armata l'unica possibilità di opposizione reale, coinvolgendo il movimento in uno scontro frontale perdente.
Invece, l'opposizione reale deve nascere da una maggiore consapevolezza del movimento nel porsi il problema delle alleanze, diventando polo di aggregazione di tutti i settori sociali attaccati dalla crisi e dalla ristrutturazione capitalistica. Questa è la prima tappa per la costruzione di un fronte anticapitalista che si ponga coscientemente il problema della rottura dello stato borghese e della costruzione del socialismo.

In quest'ambito l'impegno di Radio Città Futura è un preciso momento di lotta contro il monopolio dell'informazione borghese e contro le barriere che l'informazione riformista è riuscita finora ad innalzare tra movimento di lotta e classe operaia sindacalizzata. Per questo i lavoratori di RCF aderiscono al convegno di Bologna e si impegnano a un'informazione militante e alla massima divulgazione dei temi del dibattito e delle iniziative di lotta che da qui emergeranno.

15 settembre 1977
L'assemblea dei lavoratori di RCF
Il Convegno di Bologna


......1977.....IL MOVIMENTO


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