Intervento al dibattito su
Lotta Continua del 17 settembre
di un gruppo di compagni del
Movimento Romano


Per intervenire della discussione in corso su LC a proposito dell'assemblea di Bologna, abbiamo scelto la forma dello scritto collettivo perché abbiamo riscontrato nel corso dell'attività di questi mesi nel movimento romano, una convergenza di idee su alcune questioni fondamentali che riguardano, a nostro avviso la vita e la crescita del movimento stesso.
A partire dalla manifestazione nazionale del 12 marzo, e dai gravi errori che poterono manifestarvisi, abbiamo cercato con risultati solo parzialmente soddisfacenti, di suscitare una riflessione profonda e autocritica sulle cause che impedivano al movimento di dispiegare le proprie potenzialità e di agire come propulsore di una vasta opposizione rivoluzionaria al compromesso storico operante. Nello stesso tempo ci siamo sforzati di evitare che il movimento cadesse nella trappola che lo Stato andava tendendo ed incontro alla quale si dirigevano settori consistenti dell'« autonomia organizzata ».
I problemi di allora si ripresentano quasi immutati in vista dell'incontro di Bologna che di fatto si configura non come un raduno di generici « dissidenti » ma come assemblea nazionale del movimento che ha lottato nei mesi scorsi e di coloro che con esso hanno attivamente solidarizzato.
A differenza, però, delle precedenti assemblee nazionali, non ci si può né ci si deve attendere lo scontro tra mozioni, la vittoria di una linea, bensì che il maggior numero di compagni possa contribuire con idee ,proposte, iniziative e, perché no, teoria, alla crescita qualitativa e quantitativa dell'opposizione rivoluzionaria in Italia.
Innanzitutto ci pare indispensabile una riflessione sul movimento stesso. Sui mesi passati sta già crescendo una piccola mitologia, alimentata anche dall'apparato di informazione borghese che, ben ammaestrato dal '68, ha sviluppato una capacità di manipolazione elevatissima e riesce a rendere moda e a vendere anche la rivolta, se questa non si evolve e non si sviluppa. Secondo noi, il movimento ha avuto grande importanza perché ha rappresentato la prima risposta di massa al compromesso storico operante e perché, in potenza, costituiva e può costituire ancora un esempio generalizzabile tra la classe operaia. La cacciata di Lama dall'Università di Roma ha mostrato che un movimento di massa dalle caratteristiche assai varie, ma comunque organizzato in gran parte secondo idee e obiettivi marxisti metteva in crisi il controllo revisionista e il compromesso storico.
Però proprio a partire dalla cacciata di Lama, sono affiorati, almeno a Roma, i limiti del movimento stesso. Intanto il ruolo della cosiddetta « autonomia organizzata » è cresciuto notevolmente e non ha trovato subito una organica opposizione teorico e pratica. Lo scontro con l'apparato dello Stato che proprio su questo terreno voleva trascinarci, è divenuto l'elemento distintivo del movimento all'esterno. Il governo e il PCI sono riusciti a spostare tutta l'attenzione della gente, e anche della classe operaia nella sua maggioranza, sullo scontro militare tra Stato e movimento.
Ci siamo soffermati su questo argomento in un lungo « tatsebao documento » affisso nella facoltà di lettere ai primi di maggio che almeno molti compagni romani avranno potuto leggere: e non intendiamo, per limiti di spazio, insistervi troppo.
C'è da dire, però, che la polemica sul militarismo e 1'« insurrezialismo » ha costretto il movimento romano—e ci pare, anche quello delle altre città—a trascurare la battaglia contro quelle posizioni ideologiche e quelle interpretazioni deila realtà italiana che sono alla base delle deformazioni militariste stesse. Di questo prima, durante e dopo Bologna, dovremo parlare. Nella più benevola delle ipotesi, si può dire che i gruppi dell'« autonomia » di origine « potere operaista » e i Comitati Autonomi Romani, pur tra differenze, confondono alcune linee di tendenza possibili con la realtà in atto.
Così come la « nuova sinistra » trasse a suo tempo, da alcuni indizi favorevoli prima del 20 giugno, la conclusione che l'Italia sarebbe stata presto « Rossa » ed era il momento del « governo delle sinistre », ora questi compagni traggono dall'accentuarsi della repressione contro alcune avanguardie e dal rafforzarsi dell'autoritarismo statale conclusioni catastrofiche e paragoni avventati con la Germania (se non addirittura con la Polonia).
Il grottesco è che proprio i teorici dell'operaismo italiano per anni si erano affannati per dimostrare che la classe operaia « utilizzava » il PCI solamente per i propri fini, che mai e poi mai avrebbe consentito al PCI stesso l'inserimento nell'area del potere borghese. Ed ora la stessa classe operaia, nel giro di un anno avrebbe permesso l'instaurarsi della CD « socialdemocrazia autoritaria » o germanica, senza colpo ferire.
Ci sembra che questi compagni non si rendano conto che consistenti strati operai e popolari seguono tuttora la linea del PCI non per entusiasmo verso il compromesso storico, ma perché si illudono che per questa via si possa uscire dalla crisi nel modo meno doloroso. E' vero che il PCI ha fatto propri contenuti e pratiche della socialdemocrazia e che oggi è portato naturalmente a farsi carico dell'autoritarismo statale e della repressione, ma l'accentuarsi della crisi economica in presenza di un movimento che riesca a collegarsi con gli strati operai che la crisi stessa libera dall'egemonia revisionista e sindacale ci fa ritenere possibile un contrattacco che spezzi la ristrutturazione capitalistica e le tendenze autoritarie. A meno di non concludere che la stessa classe operaia è consapevolmente riformista o complice della repressione (e lo si comincia a dire, seppur tra le righe!) oppure che la classe operaia vera è un'altra (e si ricorre all'operaio « sociale », al « non grarantito », all'intellettuale disoccupato come nuove figure rivoluzionarie).
Certo oggi lo scontro frontale con la linea del PCI è all'ordine del giorno. Ma ritengono veramente i compagni dell'autonomia che possa avvenire nei modi e nelle forme con cui ci si scontra con la DC o con i fascisti? Come ha scritto su LC Sergio Bologna: « Voi crederete che in questa situazione PCI e sindacato continueranno a svolgere pura opera di repressione? Voi pensate che un movimento operaio che non è una socialdemocrazia tradizionale ma una socialdemocrazia che ha introiettato, esorcizzato tutti gli elementi di leninismo possa farsi fregare così banalmente?... Già si parla di « nuovo autunno », già si ripresenta la storica ambiguità del partito e del sindacato ed ai cervelli... in perenne ricerca di schemi semplici... si presenteranno nuovi grattacapi ». In effetti sono circa dieci anni che qualcuno ci spiega che il PCI sta per essere travolto dalle masse, salvo poi farneticare quando le cose non vanno come aveva previsto!
Noi crediamo che il patto stipulato tra i partiti dell'« arco costituzionale » non risolva affatto i problemi della borghesia italiana. Non si vede infatti quali frazioni di essa siano in grado di organizzare un consenso sociale e politico attorno ad una dura opera di stabilizzazione: né la borghesia italiana può certo garantire alla classe operaia quelle contropartite economiche che hanno consentito al capitalismo tedesco di sopire la lotta di classe, reprimere le avanguardie ed estendere su tutta la società il suo comando. Anche solo per questi motivi le difficoltà ad imbavagliare la lotta di classe si accentueranno e molte occasioni si presenteranno per chi vuole costruire un'opposizione rivoluzionaria in Italia.
Ma ci sono anche molte insidie: non solo lo Stato fomenta e ricerca lo scontro frontale col movimento, ma anche il PCI cerca lo scontro di piazza per mascherare quello politico e strategico. Questa osservazione, è ovvio, vale, in particolare, per i tre giorni che passeremo a Bologna: ma già alcuni fatti intorno a sezioni del PCI a Roma sono segnali d'allarme sulle intenzioni del PCI e sulla facilità con cui queste provocazioni vengono accettate e rilanciate da settori del movimento. (Due righe di sfuggita sul Manifesto, che ha approfittato per strillare « il PCI non si tocca! ». Esso adempie alle funzioni di sempre ma con una differenza. Mentre ieri poteva rappresentare il legame sotterraneo del PCI con quanto si muoveva alla sua sinistra, oggi deve ricorrere all'imbroglio, alla truffa, per far parlare di sé. Fa credere di essere una componente del movimento e minaccia grandi battaglie: è una minaccia che non può mantenere perché può contare, al più, su un paio di osservatori e/o giornalisti nelle file del movimento.
La Rossanda, che, dopo il 19 maggio, aveva invitato tutti ad imparare dal movimento romano, si guarda bene, e non a caso, dal dare il buon esempio) .
Queste sono alcune delle cose che dovremo discutere a fondo. Un'ultima osservazione: non ci si può nascondere l'estrema fragilità del movimento sul piano della battaglia culturale. Per restare agli ultimi avvenimenti ad es., è innegabile che se l'appello degli intellettuali francesi è stato utile per frenare la repressione ha anche costituito un cappello su tutta l'iniziativa di Bologna, di cui avremmo fatto volentieri a meno.
Ogni giorno gli « operatori culturali » borghesi ci attribuiscono i legami culturali più disparati e ambigui (vedi il lancio pubblicitario dei noveaux philosophes ») senza che da parte nostra ci sia un'iniziativa culturale adeguata e autonoma. Fanno di tutto per dimostrare che non abbiamo niente a che fare con il movimento operaio ed è male sottovalutare il peso di questa campagna (che non si rovescia solo con le lotte).
Ma c'è dell'altro ed è anche più importante. Molti compagni hanno smesso di fare i « militanti a vita » non tanto perché il PDUP si è diviso, il Manifesto si è incanaglito e il gruppo parlamentare di DP si è rivelato quel circo Barnum dell'opportunismo che ci si poteva aspettare: bensì perché sono stati colpiti in alcune grandi certezze o in alcuni grandi ideali, se si preferisce. In questo senso, ad es., il crollo del mito Cina non è stato valutato ancora nelle giuste dimensioni. Aver identificato marxismo, leninismo e Cina ha poi fatto sì che alcuni ora percorreranno il cammino inverso e, rifiutata la politica del PCC, si cominciano a domandare se la colpa di tutto non sia del marxismo. La parola stessa « socialismo » rischia di diventare indefinita se non si affrontano le questioni di che cosa cè' nei Paesi dell'Est, in Cina, a Cuba, nel Vietnam. Il marxismo è certo in crisi, ma non pensiamo che il problema si risolva a colpi di psicanalisi o di linguistica. Se le risposte non cerchiamo di darle noi utilizzando il marxismo, ci sarà sempre qualche « nuovo opportunista » che contrabbanderà per idee nuove quanto i più intelligenti difensori dello Stato liberalborghese hanno scritto da decenni a proposito dell'URSS.
Per quanto riguarda l'organizzazione del convegno riteniamo opportuno che i compagni di Bologna prevedano accanto alle assemblee generali una articolazione in commissioni di lavoro per riprendere e sviluppare i temi proposti ed i temi di lotta emersi nei mesi scorsi e che acquisteranno ancora più valore nell'immediato futuro: la l, tta per l'occupazione e per un lavoro diverso, per la difesa e l'accrescimento del salario reale, per la casa, per la scuola di massa per l'estensione della democrazia, per la difesa dell'ambiente contro le multinazionali del petrolio e nucleari.

Piero Bernocchi, Enrico Compagnoni, Paolo D'Aversa, Cesare Donnhauser, Cesare Filleri, Franco Mistretta, Raoul Mordenti, Gi.mni Proiettis, Renzo Rossellini, Massimo Scalia, Raffaele Striano.
Il Convegno di Bologna


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