Antonio Onorati


del Centro Internazionale Crocevia
presidente del Comitato Italiano per il Forum ONG

Un Vertice mondiale come quello sull’alimentazione si presta a molte rifllessioni ma, poiché le problematiche della sicurezza alimentare si prestano a semplificazioni emotive, occorre un’estrema cautela per non cadere nei luoghi comuni dello "sterminio per fame". In effetti tutti sappiamo che ad una ingiusta ripartizione del controllo sulle risorse del Pianeta corrisponde una ingiusta ripartizione della ricchezza, al Nord come al Sud, e quindi un diverso grado di sicurezza per l’accesso ad una alimentazione qualitativamente e quantitativamente sufficiente per una vita che mantenga le caratteristiche proprie della dignità umana.

Ne certo aiuta il peso della cultura dominante in occidente che continua a relegare le popolazioni che vivono e fanno vivere i territori rurali in un ambito di totale subalternità economica e culturale, privandole di quella autonomia di strumenti di sviluppo che sono necessari per produrre alimenti, un "prodotto" assolutamente speciale che si realizza principalmente come risultato dell’interazione tra l’uomo e la natura.

D’altra parte, a livello planetario, la povertà resta ancora in gran parte concentrata proprio nelle aree rurali e la crisi dei territori rurali e delle popolazioni che vi abitano non fa che rendere più drammatica la povertà e l’esclusione dei poveri urbani.

A questa situazione strutturale si aggiungono, spesso con insopportabile rapidità, crisi locali determinate da disastri prodotti dall’intervento dell’Uomo o, più raramente, da eventi naturali.

Assicurare la possibilità delle popolazioni locali di accedere agli alimenti diventa una priorità la cui soddisfazione può, in certe situazioni, fare la differenza tra la vita e la morte.

Inutile in un breve testo riprendere l’analisi dell’impatto della Rivoluzione Verde o del paradigma dominante dello sviluppo agricolo, le ONG hanno prodotto e continuano a produrre ottime elaborazioni sia sul piano politico che su quello della progettualità. Vorrei, vista anche la natura della rivista che mi ospita, presentare brevemente delle riflessione su uno degli strumenti di cui spesso si parla quando si discute di sicurezza alimentare, quello che viene spesso utilizzato nell’emergenza per rispondere rapidamente, si dice.

Sappiamo che l’intervento d’aiuto e di assistenza alimentare pur se necessario non apporta soluzioni definitive alla crisi ma può nel medio periodo avere ripercussioni negative sulla struttura produttiva locale.

Si tratta quindi di approntare strategie di sicurezza alimentare in grado di rispondere all’emergenza ed assicurare, senza contraddizioni, politiche di sviluppo - in particolare nei territori rurali - capaci di garantire l’accesso alle popolazioni del paese e della regione a derrate alimentari sufficienti in qualità e quantità.

Si tratta di diversificare e ridurre i rischi di insicurezza alimentare articolando diversi strumenti di intervento sia nazionali che internazionali.

Non basta fornire input produttivi per ottenere una maggiore produzione totale di alimenti né aumentare la produttività dell'agricoltura. Abbiamo visto che l’aumento di produttività porta ad una diminuzione della sostenibilità.

L'agricoltura contadina, o quello che di essa resta nei vari Continenti, è meglio attrezzata per poter dare una risposta positiva a questa esigenza irrinunciabile di produrre alimenti per una popolazione crescente senza distruggere in maniera definitiva le risorse naturali di cui ancora disponiamo. Lo può fare a condizione che sia garantito alle popolazioni rurali l'accesso alla terra secondo le proprie esigenze e le sia assicurato un controllo collettivo effettivo sulle risorse genetiche e la biodiversità. Questo è necessario se si vuole realisticamente determinare quella crops diversification che tutti sanno essere alla base del controllo dei rischi propri a quelli aree in cui si ha una permanente situazione di insicurezza alimentare.

La riabilitazione dei sistemi agrari locali è, perciò, l’obbiettivo generale da conseguire per ottenere una effettiva transizione dall’assistenza alimentare diretta all sicurezza alimentare. Occorre valutare le iniziative intraprese rispetto a questo obbiettivo.

Si tratta di processi lenti, complessi in cui il fattore tempo gioca un ruolo irrinunciabile da cui sono spesso determinati risultati che abbiano una loro validità nel medio periodo.

Per questa loro complessità i processi debbono vedere la partecipazione attiva di differenti attori, primi fra tutti le popolazioni locali non come beneficiari ma come protagonisti del processo di riattivazione dei sistemi produttivi locali e regionali. Ma non solo loro. Gli interventi di aiuto e cooperazione internazionali, proprio per l’estrema fragilità di questi sistemi, hanno una funzione ed un peso determinante, per questo gli strumenti che mettono in campo debbono essere discussi, valutati e monitorati attentamente. Non bastano buone intenzioni ed operatori corretti, gli strumenti utilizzati debbono essere appropriati agli obbiettivi che si intende raggiungere.

I Governi , le ONG e le Organizzazioni locali, pur nel rispetto della responsabilità di ciascuno, debbono necessariamente confrontare le loro strategie e metodologie d’intervento, articolando tra di loro le diverse azioni e le diverse responsabilità, nel riconoscimento della dignità propria di ogni attore. Solo così si può effettivamente innovare e ottenere risultati permanenti. Cambiare da una politica di aiuto alimentare ad una di sicurezza alimentare richiede una revisione profonda delle modalità e dei riferimenti formali che regolano i rapporti fra questi differenti attori.

Ma nelle discussioni ancora in corso per la predisposizione della dichiarazione di Roma e del Piano d’Azione non vi è gran traccia di questo riconoscimento formale e obbligatorio del protagonismo delle popolazioni locali. Tant’è che ancora si mantiene tra parentesi la "funzione plurima dell’agricoltura" o l’esplicito riferimento ai contadini non semplici "produttori di cibo" come alcuni vorrebbero che fossero considerati.

Il punto su cui occorre interrogarsi è quello relativo alla capacità degli strumenti d’aiuto alimentare di essere un supprto effettivo ai sistemi agrari locali ed al loro complesso funzionamento.

I sistemi agrari locali fragilizzati sia dalle politiche d’aggiustamento che dal confronto col mercato internazionale senza regole, hanno bisogno di una politica nazionale che li protegga e li sostenga assumendoli come riferimento di politica agraria ed ambientale L’accesso alla terra, il controllo e la gestione locale della biodiversità sono degli elementi costitutivi irrinunciabili che debbono essere garantiti anche da un quadro normativa internazionale. La sola buona volontà di una comunità locale è assolutamente insufficiente a far fronte a queste necessità.

. Per diminuire o abbattere i rischi di insicurezza alimentare occorre diversificarli diversificando le fonti di reddito, le fonti d’approvvigionamento locale e regionale delle derrate alimentari, diversificare le attività agricole propriamente dette e via di seguito.

Questo non risolve il conflitto, dentro l’attuale quadro internazionale, tra costi di produzione locale e prezzi praticati sul mercato internazionale. E’ vero! A Dakar un kilo di riso importato costa meno di quello prodotto localmente. La fossa che separa costi di produzione locale e scarsi mezzi finanziari a disposizione delle famiglie deve essere in qualche modo riempita altrimenti impedisce ai poveri urbani di mangiare alla loro fame.

In verità la questione, pur non essendo semplice, ha delle soluzioni tutte legate - però - all’esistenza di sistemi agrari in equilibrio, non estrovertiti, localmente adattati ed a scarsa capitalizzazione. Il contrario di quello che sostiene in molte sue parti il Piano d’azione.

La riabilitazione di un sistema di produzione, i particolare di quelli agricoli e territoriali, richiede un forte protagonismo delle popolazioni locali che si ottiene solo se a queste vengono garantiti quei diritti necessari alla loro autorganizzazione. Molti dei governi del Sud, ma non solo quelli, di fatto rendono impraticabile autonome forme di organizzazione politica, sociale e sindacale dei contadini, dei pescatori e, più in generale, delle popolazioni rurali. Questo poi raggiunge livelli assolutamente drammatici nel caso dei Popoli Nativi che sono ancora molto lontani da veder effettivamente riconosciuti i loro diritti collettivi sulle risorse naturali che hanno mantenuto e gestito per millenni. La miniera di Free Port in Indonesia è li a ricordarcelo.

Di Popoli Nativi si parla solo un paio di volte nei documenti del Vertice; una volta per ricordarci che questi "considerano pesci e animali selvatici cibo"! Non se ne parla neanche per ricordare i diritti che già gli sono stati riconosciuti nel tempo dalle stesse Nazioni Unite.

Sarà difficile valutare l’impatto di quello che si firmerà a Roma in Novembre poiché in quei documenti non ci sono impegni certi da misurare, azioni concrete da intraprendere ma solo buone e ragionevoli intensioni che - comunque - si fermano alla soglia degli impegni GATT e OMC. Allora il Mercato senza regole sarà il riferimento unico a cui adattare eventuali politiche nazionali di sicurezza alimentare . Come già si fa ora, senza passare attraverso un Vertice Mondiale. Oppure si può scegliere una via diversa, quella di porre la circolazione degli alimenti fuori degli accordi GATT e OMC, dentro una Convenzione Globale che fissi norme internazionali obligatorie su cui regolare la circolazione di questi beni che merci non sono. Con qualche speranza di veder riabilitato qualche sistema produttivo locale, base irrinunciabile di ogni strategia di sicurezza.

ONG Forum on food security

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