Il prezzo di un hamburger McDonald’s è diventato ormai un parametro di confronto fra le diverse economie del mondo. Cosa c’è dietro la “macchina”
Tessa Gelisio
I fast food sono oramai entrati a pieno titolo nella realtà italiana, spuntando come funghi in ogni angolo della città, di fronte ai monumenti principali ed ai grandi raccordi stradali: Spizzico, Autogrill e ovviamente il più noto McDonald’s, leader della ristorazione veloce, fatta anche di milioni di chioschi e di piccole attività, nate per dar da mangiare nel meno tempo possibile.
Sono passati molti anni da quando gli hamburger si vedevano solo in televisione, ma nonostante la forte cultura alimentare italiana ne abbia notevolmente rallentato la diffusione, oggi, riscuotono notevole successo, un po’ perché il mito americano persiste, ma anche perché lo stile di vita sta notevolmente cambiando. Si passa sempre più tempo fuori casa, si viaggia molto di più e le pause pranzo si stanno accorciando. Ogni giorno, in Italia si spendono più di cinque miliardi di lire per i pasti fuori casa.
Il “fenomeno McDonald’s” inteso come successo della ristorazione veloce, coinvolge sempre più persone, per questo dal mondo ambientalista (non solo), arrivano da anni notevoli allarmi per uno stile di vita non sostenibile.
Mangiare hamburger nei fast food non significa solo mangiare un prodotto che non è tra i più salutari, significa anche produrre una quantità di rifiuti allucinante, pari ai prodotti usa e getta.
Da McDonald’s i tovagliolini sono fatti di carta riciclata, i contenitori per i panini di polietene e poliaccoppiati non riciclabili (i contenitori di mais espanso costano troppo), mentre tutta la restante carta è in percentuale riciclata. I rifiuti buttati negli appositi contenitori non sono riciclati, ma buttati nella spazzatura normale, a differenza dell’ Austria dove il riciclaggio è pratica abituale dato che esistono agevolazioni fiscali.
Con diverse formule si potrebbe e forse si arriverà ad un notevole miglioramento da questo punto di vista, ma il concetto di base non è riciclare i rifiuti, ma com’esprime il Decreto Ronchi bisogna diminuirne la produzione. In una struttura come McDonald’s questo non è possibile, perché per fare un semplice pasto si buttano nella pattumiera: un contenitore di plastica, un contenitore di carta per patatine, un bicchiere di bibita con coperchio, cannuccia con relativa carta coprente, una tovaglietta, un tovagliolo e qualche contenitore di salsine.
Mangiare nei fast food risulta uno stile di vita insostenibile
e inaccettabile che creerà, se continua il suo successo, molti problemi
alle generazioni future.
Il SUCCESSO DI MCDONALD’S
Nell’ambito della comunità finanziaria internazionale, il prezzo dell’hamburger di McDonald’s nelle varie nazioni, è preso quale parametro finanziario di primaria importanza per stabilire la situazione economica di un paese. Questo dato dimostra la potenza della “macchina McDonald’s”, costruita interamente su una metodologia “scientifica”. Le caratteristiche, forse le più importanti, che l’hanno resa così vincente sono la sua calcolabilità, la sua efficacia, la sua previdibilità, e il suo controllo.
Calcolabilità perché sembra che con pochi soldi si riesce ad acquistare molto, le patatine straboccano dai contenitori, il medaglione di carne è sempre più grande (di circonferenza) rispetto al pane, mentre questo essendo così vaporoso fa sembrare il panino più grande di quanto lo sia in realtà e «in fondo nella nostra cultura c’è la tendenza a credere che, in generale, “più Grande è meglio”» come dicono Mitroff e Bennis nel libro The Unrealty Industry. Non a caso, in pochi anni si è passati al raddoppiamento ed addirittura al triplicamento di medaglioni.
G.Ritzer nel libro Il mondo alla McDonald’s è giunto alla conclusione, calcolando prezzi e quantità, che «non è affatto vero che si prenda molto pagando meno...».
McDonald’s offre anche efficienza, perché nel minor tempo possibile dà da mangiare. Oggi mangiare è diventata una perdita di tempo e come recita un depliant di McDonald’s «..è possibile gustare, senza sprecare tempo in inutili attese, un pasto».
Per velocizzare ulteriormente i tempi sono nati i McDonald’s drive, che permettono al cliente di non scendere dalla macchina e ai gestori di diminuire il fabbisogno d’aree parcheggio, di tavolini, e d’addetti al servizio. Inoltre i clienti portano via con se gli scarti alleggerendo notevolmente la necessità di eliminarli.
McDonald’s è anche prevedibile, perché, entrando in un McDonald’s dall’altra parte del mondo, si trova quello che si è abituati ad avere a casa. «Mc non fa scherzi!» e questo crea un grande senso di sicurezza.
Sono molti i sistemi creati da McDonald’s per ottenere questa uniformità in tutto il mondo, dall’Hamburger University nell’Illinois dove sono formati i dirigenti, dalla grande formazione necessaria per diventarne licenziatari e soprattutto dall’incredibile formazione di tutti i dipendenti. Sin dalla fondazione McDonald’s ha avuto regole e procedure interne su cosa gli addetti devono fare e dire.
Abbiamo infine il controllo. I clienti e i dipendenti sono soggetti a controlli molto sottili e poco visibili, ad esempio il menù ridotto, le scarse possibilità di scelta e le sedie tutto sommato poco comode, portano il cliente a esaurire i desideri dei gestori: consumare in fretta ed andarsene. In un fast food non c’è spazio per esigenze particolari è un po’ come diceva H.Ford «Ogni cliente può avere la macchina del colore che preferisce, purché sia nero». I dipendenti, invece, sono controllati dalle macchine, perché grazie a loro l’azienda controlla che le porzioni non siano diverse. Il dosatore per le bibite, la paletta misurata per le patatine, la friggitrice che avverte quando le patatine sono cotte. Sono tutte tecnologie che consentono un maggior controllo e che spingono continuamente McDonald’s a sostituire i dipendenti con le macchine.
Due studiosi in Automatin Work ne hanno ben descritto anche un’altra caratteristica: «Qualche anno fa la catena... McDonald’s tirò fuori lo slogan “si fa tutto per voi”. In realtà, da Mc siamo noi a far tutto per loro. Si sta in fila, si porta il mangiare al tavolo, si buttano via i rifiuti, e si mettono in pila i vassoi. Con l’aumento del costo della manodopera e lo sviluppo delle tecnologie finisce che spesso il cliente fa sempre più lavoro». Incredibili sono anche le capacità comunicative dell’azienda. Ad esempio negli Usa., precisamente nell’Illinois, i punti vendita hanno attivato un programma chiamato “10 per un cheesburger” in pratica agli studenti che prendono un dieci in pagella, viene regalato come premio un panino, stabilendo così una correlazione positiva tra buoni risultati a scuola e premi McDonald’s.
Qualità + servizio + pulizia + valore = McDonald’s. È questa in sintesi l’immagine che McDonald’s vuole trasmette di sé al mondo, tramite grandi campagne pubblicitarie. L’anno scorso, McDonald’s ha lanciato una campagna con l’Istituto nazionale della nutrizione per la realizzazione e la distribuzione nei suoi negozi di un opuscolo Linee guida per una sana alimentazione italiana.
Nell’ opuscolo sono delineate delle regole cui attenersi per una corretta alimentazione, tra le quali quella di variare il più possibile i cibi. Sotto questa dichiarazione dell’autorevole Istituto, appare la dichiarazione di McDonald’s: «La varietà delle scelte offerte da McDonald’s ti consente di rispettare una dieta equilibrata» per un lettore distratto questa potrebbe apparire come una dichiarazione che mangiare da McDonald’s fa bene.
Nel gennaio scorso la rivista Altro consumo ha pubblicato un’interessante inchiesta in collaborazione con l’Unione europea sulla qualità di hamburger, pizze e hot dog nei fast food di 14 paesi europei, coinvolgendo così catene come McDonald’s, Spizzico, negozi indipendenti e chioschi. Com’era prevedibile i dati non sono eccezionali, eccetto che per l’igiene che è risultata impeccabile. I risultati mostrano diverse lacune, sia dal punto di vista qualitativo (presenza d’amido, di carne diversa da quella bovina o di bassa qualità), sia da quello nutrizionale: «l’hamburger è un pasto poco equilibrato e troppo ricco di calorie».
I prodotti analizzati nei fast food variano notevolmente
per quantità e qualità, sono però accomunati da un’eccessivo
uso di sale: è utilizzato per mascherare i reali sapori, o per far
venir sete? In base agli studi dell’Istituto nazionale della nutrizione,
soprattutto per quanto riguarda i giovani, in ogni pasto non si dovrebbero
superare le 800 – 1.000 kcal, hamburger e patatine sono dunque al limite,
troppe per uno spuntino e poco equilibrate per un pasto normale.
Consumo di Carne
McDonald’s Italia acquista la carne di pollo dal gruppo Amadori, definito da Mc «leader nell’allevamento in Italia... in grado di garantire... un prodotto d’altissima qualità...» ma se gli allevamenti in batteria sono chiamati d’altissima qualità, come si dovrebbe definire la carne di pollo avicola, allevata in maniera tradizionale? Cosa dire dei 40 milioni di polli allevati in batteria in Italia, che non vedranno mai la luce del sole?
Lo stesso concetto può essere allargato alle migliaia di mucche che ogni anno forniscono a McDonald’s Europa, 90.000 tonnellate di carne per hamburger. Negli allevamenti intensivi, oltre alla pessima qualità di vita cui gli animali sono sottoposti, bisogna considerare la somministrazione, anche con il consenso della legge, di anabolizzanti, ormoni, estrogeni, ed antibiotici, tutti prodotti che finisco negli organismi dei consumatori e che sicuramente non fanno del bene.
Un consumo eccessivo di carne è estremamente dannoso per la società, perché per ottenere 1 kg di carne bovina sono necessari 7kg di cereali, per farne uno di suino 4, per ottenere 1kg di pollo o di pesce solo 1kg. In un mondo in cui la produzione mondiale pro capite di grano, per colpa dell’erosione, della cattiva gestione, della desertificazione e per altri motivi, sta diminuendo dal 1990, mentre la popolazione mondiale aumenta di 80-90 milioni l’anno, uno stile di vita basato sul consumo eccessivo di carne, significa costruirsi un futuro di scarsità alimentare. Prima conferma di questo processo già in atto, sono le riserve mondiali di cereali, passate per la prima volta sotto i 52 giorni quando ne sono necessari almeno 70 per ammortizzare anche un solo cattivo raccolto. Nei prossimi trent’anni per sfamare tutta la popolazione, la produzione alimentare mondiale dovrà crescere del 75%.
A B C D E F
A = Percentuale di carne sul peso del panino; Valore accettabile = 50%
Commestibilità dell’opera d’arte
Un americano “medio” e un cinese “medio” sono in vacanza all’estero e decidono di pranzare al ristorante: l’americano va in un fast food e ne esce soddisfatto; il cinese entra in un ristorante cinese ed esce disgustato, ha mangiato cose che negli odori, nei sapori, nei colori non hanno altro che una semplice assonanza con i cibi che appartengono alla tradizione del suo paese. La situazione dell’ipotetico signore cinese si potrebbe ripetere per un italiano in un ristorante italiano a Dublino, per un messicano in un “messicano”, e così via. La globalizzazione della ristorazione, che ci permette di “mangiare indiano” anche ai Poli, ha avuto come indubbio effetto un ridursi delle distanze tra i gusti e i profumi dei cibi cucinati, per la necessità di fare uso di cibi surgelati o conservati con sistemi diversi, e soprattutto per non discostarsi troppo dalla cucina locale. È così che quando entro in un ristorante cinese in Italia, il cameriere (molto spesso di Taiwan o delle Filippine) mi offre spaghetti, tortellini, primi e secondi, diversi da quelli che conosco, seguendo una distinzione dei pasti e dei cibi che non è altro che un calco della cucina italiana. Ogni cucina esotica diviene si trasforma così nel surrogato kitsch della cucina locale. La “trasfigurazione” dei cibi è una conseguenza della tendenza a ottimizzare i prodotti sul territorio che deriva dall’invenzione di quella stazione di servizio cittadina che è il “Fast food”. Il fast food opera in “qualità”,una qualità analoga a quella di un qualsiasi altro distributore efficiente 24 ore su 24: “qualità” intesa come Sistema Qualità (le cosidette ISO 9000) ovvero certificazione dei processi produttivi, standardizzazione e ottimizzazione delle materie prime; “qualità” intesa come definizione di un valore capace di permanere identico nel tempo e nello spazio. Tutt’altro rispetto all’idea più naturale della deperibilità del cibo, alla sua biodegradabilità, a cui si lega la cottura, l’elaborazione, la preparazione e le conseguenti varietà di sapore, odore, colore. Nel fast food si consuma la più perfetta
deconnotazione del cibo, che rende ogni pasto standard, riproponibile, immediatamente riconoscibile (non solo nel gusto, ma anche nel colore) in ogni parte del mondo. La conseguenza? È presto detto: se l’appetito è soddisfazione del desiderio e della necessità, che si espleta sostanzialmente nella diversificazione dei cibi (diete alimentari), la catena di ristoranti “veloci” rappresenta la frammentazione di tale desiderio, soddisfazione approssimativa della necessità (con patatine fritte, poltiglie di pollo, croccantini di hamburger) attraverso un inganno tirato al desiderio, a cui regala comodità, convenienza, rapidità, (con prezzi, offerte differenziate di prodotti alimentari e di divertimento, ecc.), tutte icone di concetti che s’impongono nel quotidiano. Abbiamo così raggiunto il climax di quel processo di serializzazione che denunciava, alla fine degli anni ’50, la Pop Art. La Pop Art partiva da una considerazione “metropolitana” della massificazione, riprendeva icone della modernità e ne faceva un doppio dell’identità individuale. Con Warhol, Rauschenberg, Johns, Dine, Rosenquist, Schifano, Festa (...) si instaurava tra i due sistemi, quello artistico e quello massificato, una perfetta identità ad un tempo iconografica, tecnico-formale e comunicativa con l’adozione non solo delle stesse immagini banali e quotidiane e dei medesimi procedimenti formativi, spersonalizzanti, rigorosi e meccanici propri dei media industriali. Dalle scatole di detersivi di Wahrol al fast food generalizzato la tappa è stata d’obbligo. Dal dualismo denunciato con ironia dai pop artisti siamo passati ad un sistema unico polimorfo, che inghiotte ogni realtà relazionale e la trasforma in processo quali-quantitativo: il pranzo, come l’arte, la comunicazione, il sesso.
Dopo la lunga sequela di smentite sull’esistenza dell’arte (da Hegel, a Benjamin a Baudrillard e così via), uscito da un ristorante cinese, credo di ritrovarmela nello stomaco.
Angelo Capasso
Arriva lo slow food
C’è un altro modo di intendere il mangiare in contrapposizione al Fast food: è lo Slow Food.
Si tratta di un movimento internazionale di cultura gastronomica nato proprio per salvaguardare un patrimonio agro alimentare di mille sapori, infiniti profumi; ogni prodotto ha una storia che viene dal passato, una conoscenza che si tramanda, gusti e sapori che rischiano di essere perduti e standardizzati .
Nel 1986 a Brà in provincia di Cuneo nasce l’associazione Arcigola con l’obiettivo di promuovere la convivialità, salvare il gusto e la conoscenza della buona tavola, tutelare il patrimonio artistico e ambientale e il sapere enogastronomico.
La nuova filosofia del gusto raccoglie in breve tempo numerosissimi consensi, non solo gaudenti buongustai, nel giro di pochi anni il movimento cresce ed arrivano adesioni anche da altri paesi. Delegazioni di tutto il mondo si riuniscono a Parigi nel 1989 nasce così Slow Food; il manifesto del movimento declama: Se la Fast Life in nome delle produttività ha modificato la nostra vita e minaccia l’ambiente ed il paesaggio, lo Slow Food è oggi la risposta d’avanguardia. Nel 1990 a Venezia si tiene il congresso mondiale, oggi si contano settantamila soci in cinque continenti con strutture associative di base presenti in trentacinque paesi. In Europa i più rappresentativi sono: Italia, Svizzera, Germania, Francia, Spagna, Slovenia, ma i soci sono anche negli Stati uniti, in Australia, in Sud America. In Italia l’associazione è organizzata nel territorio in condotte, all’estero in convivia; referenti e responsabili di condotte e convivia sono i fiduciari che a loro volta fanno capo ai governatori.
La vita associativa prevede cene a tema, passeggiate enogastronomiche e corsi di degustazione, Convention sui vini, Settimana del gusto, nella quale, per avvicinare i giovani ala ristorazione di qualità, i grandi ristoranti d’Italia offrono menù di degustazione agli under 26 a prezzi ridotti. Poi tanti Laboratori del gusto inventati proprio da Slow Food per far conoscere ai partecipanti , le tecniche di produzione, la storia e le qualità organolettiche di un alimento o/e di un vino. Tra i grandi progetti Slow “L’Arca del Gusto” per salvare le piccole produzioni agroalimentari di qualità, ritrovarle, recensirle e far conoscere sapori spesso dimenticati che rischiano di essere perduti per sempre.
Nel 1996 si svolge a Torino la prima edizione del Salone del gusto una rassegna della qualità enogastronomica mondiale; nel 1998 la seconda edizione al Lingotto di Torino è un’evento straordinario che non ha precedenti e che sorprende gli stessi organizzatori. Alla rassegna enogastronomica partecipano oltre trecento artigiani produttori d’eccellenza, selezionati preventivamente da Slow Food, 2.300 etichette di vini e liquori di tutto il mondo.
Le cifre del Salone del gusto ’98: 122.000 visitatori, 34.000 partecipanti ai 304 Laboratori del gusto, 628 giornalisti accreditati provenienti da ogni parte del mondo.
Al Salone del gusto, che è biennale, si alterna “Cheese”: una grande rassegna mercato dedicata ai formaggi di tutta Europa. I consumatori potranno cercare di ingannare la lunga attesa del prossimo Salone del gusto con la seconda edizione di Cheese che si terrà a Brà dal 17 al 20 settembre 1999.
Questo movimento ha un fatturato annuo di miliardi, ha sessanta dipendenti ed è strutturato in ben quattro entità amministrative : Arcigola Slow Food Promozione S.r.l., Arcigola Slow Food associazione ,che si occupa del tesseramento e delle attività associative in Italia,una casa editrice che pubblica tra l’altro il trimestrale per i soci in cinque lingue, Slow Food internazionale che si occupa del tesseramento e delle attività associative all’estero.
Luana Spernanzoni
fra i siti stranieri anti-McDonald’s