Mucca pazza, confermato il contagio animale-uomo
di Claudia Di Giorgio
Fino adesso non c'erano riscontri scientifici certi ma ora si sa che sono gli stessi prioni a causare il male
La Ue mantiene l'export della carne britannica
A rischio parte della popolazione ingleseROMA - Questa volta non ci sono dubbi: sono stati gli stessi prioni, le enigmatiche proteine anomale responsabili della BSE, la malattia dei bovini meglio nota come "mucca pazza", ad infettare degli esseri umani, provocando una nuova forma della sindrome di Creutzfeldt-Jakob (vCJD). Lo dimostra un nuovo studio, apparso sul numero di oggi dei Proceedings of the National Academy of Sciences, che porta prove "most compelling", più che convincenti, scrive la prestigiosissima rivista, del passaggio della patologia dagli animali agli uomini. Aggiungendo che "ampi settori della popolazione britannica" rischierebbero di essere stati contagiati.
Secondo i risultati della ricerca, effettuata congiuntamente all'università di California a San Francisco e al Western General Hospital di Edinburgo, il ceppo di prioni che ha scatenato "mucca pazza" è lo stesso della malattia umana. L'agente patogeno, insomma, ha saltato la barriera tra specie, come ha dimostrato una lunga sperimentazione con topi transgenici, ad alcuni dei quali sono stati inoculati tessuti cerebrali umani colpiti da vCJD. Una volta trapiantati, i prioni della malattia umana hanno assunto un'identità "indistinguibile dai prioni della BSE", l'encefalopatia bovina spongiforme che verso la fine degli anni Ottanta cominciò a colpire centinaia di migliaia di capi nel Regno Unito. Le due malattie, insomma, sarebbero intercambiabili, e la controprova è che i topi infettati con tessuti colpiti dalla scrapie, un'altra patologia cerebrale causata dai prioni, hanno sviluppato una malattia completamente diversa.
Tra i primi firmatari dello studio c'è l'americano Stanley Prusiner, che nel 1997 ha ottenuto il premio Nobel per la medicina proprio per la scoperta dei prioni, e che in passato si era detto dubbioso del legame tra la malattia bovina e quella degli esseri umani. Ma oggi, per la prima volta, la scienza riesce a dare una risposta precisa agli interrogativi posti dall'epidemia di "mucca pazza". E non è una risposta confortante.
Da quando, nel 1996, emersero improvvisamente i primi casi della nuova sindrome umana (fino ad oggi, sono 48 le persone decedute in Inghilterra a causa della vCJD), le autorità sanitarie inglesi ed internazionali hanno agito sulla base della presunzione che l'infezione fosse possibile. Ma le incertezze che circondano la malattia sono ancora molte, e forse ci vorranno molti anni per sapere se l'epidemia rimarrà limitata a qualche centinaio di casi, oppure assumerà proporzioni più ampie. Il numero dei morti per aver mangiato carni infette potrebbe quindi essere "solo la punta dell'iceberg", ha commentato il responsabile britannico dell'inchiesta sulla crisi della BSE.
Alla base delle due patologie, e forse anche della capacità dell'infezione di saltare da una specie all'altra, ci sono gli elusivi prioni, una forma anomala delle proteine che si trovano normalmente nelle cellule dei tessuti del cervello. Pur non possedendo acido nucleico (non hanno né RNA né DNA), i prioni riescono ad alterare le loro controparti normali, modificandone la struttura. La mutazione provoca la lenta ma inesorabile distruzione del tessuto cerebrale, che si trasforma a poco a poco in una sorta di spugna. Negli animali, la malattia da prioni più nota è la scrapie, che colpisce le pecore. E proprio dalle pecore si sarebbe trasmessa ai bovini, nutriti con supplementi proteici derivati dalle carcasse di pecore malate.
Con lo studio di oggi, i prioni confermano la loro natura enigmatica, che da anni tiene in scacco gli scienziati. Nel 1998, ad esempio, uno studio americano dimostrò che in animali resistenti alla malattia i prioni sono capaci di rimanere "in letargo" anche per anni. Ma poi, se inoculati in una specie soggetta al morbo, si risvegliano e contagiano l'organismo a dispetto del lungo periodo di latenza. E i ricercatori non riuscirono a spiegare cosa li rendesse tanto resistenti.
A fronte della nuova scoperta scientifica, l'Ue ha deciso comunque di non modificare le disposizione che consentono l'export della carne inglese sui mercati comunitari (solo la Francia mantiene l'embargo). Beate Gminder, portavoce del commissario europeo alla Sanità David Byrne, ha detto che "la Commissione prende in considerazione con interesse i risultati dello studio, ma per l'export e per la vendita di carne bovina inglese sono già in vigore nell'Ue delle misure di salvaguardia per evitare rischi alla salute pubblica".
Bruxelles ha ricordato che due comitati scientifici europei seguono regolarmente l'evoluzione della malattia. La portavoce ha poi ricordato che la Francia ha tempo fino alle ore 24 di giovedì, per rispondere alla procedura d'infrazione lanciata nei suoi confronti per non aver ancora revocato l'embargo sulla carne britannica, in vigore nell'Ue dallo scorso primo agosto. Decisione che anche la Germania non ha ancora applicato.
(21 dicembre 1999)