Autoscatto, antiglobal in viaggio
I rullini arrivano al "manifesto". Stampati, rivelano il viaggio attraverso l'Europa di un ragazzo e una ragazza, forse canadesi, fino
all'appuntamento con i manganelli di Genova
MARCO D'ERAMO - GIOVANNI GARRONI


Un sacchetto di tela nera con 15 rollini, abbandonato in cima a un armadietto della scuola Diaz di Genova, ecco tutto quel che di voi abbiamo in mano. Ora, dopo averli sviluppati, ci sono anche 23 cd-rom e i provini a colori che avete scattato con una macchinetta automatica, forse una Kodak da quattro soldi su pellicola 400 asa. Da queste immagini cerchiamo di dedurre chi siete, che percorso avete seguito, quando avete cominciato a viaggiare. Questi rollini costituiscono per noi un messaggio in codice sigillato in una bottiglia che la risacca ha depositato al quinto piano del manifesto, all'ufficio grafici, una sequenza che cerchiamo di decifrare per restituirvi una traiettoria, una vita. Lo sappiamo che è arbitrario decidere l'ordine delle foto, ma un po' ci aiuta il colore delle stagioni che passano e ci sembra che il primo rollino sia quello che vi ritrae in un paesaggio nordico, una specie di campeggio di una comune, dove arde un fuoco, con giovani stazzonati che battono tamburi con disegni pellirossa: dai colori dell'erba, dagli alberi ancora semispogli, è inizio primavera; sembra la festa per la partenza di due membri del gruppo. Dietro, c'è una bandiera canadese con la foglia rossa di acero su campo bianco. Ci sono molti bambini. C'è anche un grande arco di trionfo in mezzo al parco: "figli di una madre comune", è scritto sulla campata. Quindi siete canadesi (forse). Ma dalla volta dell'arco pende uno striscione su cui, in trasparenza, si legge capovolto "Free Peletier", che è un condannato a morte negli Usa: forse allora siete statunitensi e lì vi trovate al confine. Nel primo rollino non vi riconosciamo, ma poi impareremo a distinguervi, tu un ragazzo magro, volto allungato mascelle strette, a volte rasato, a volte con barbetta rada, con una felpa a cappuccio, da warm-up. Tu invece, una ragazza un po' più paffuta, sorridente. Vi vedremo in tante situazioni diverse, fino a conoscervi un po', molto cuccioli. In ogni caso il rollino prosegue con una foto di san Pietro scattata a Roma. E poi - in una sequenza del tutto incongrua - al Laurentino 38. E poi ancora al Forte Prenestino. Cominciamo a intravedere un po' di voi. Come tutti i bravi turisti, subito in visita al Vaticano, ma poi scartate, niente Colosseo, niente Fontana di Trevi: un sottopasso di Laurentino 38, un centro sociale dove con ogni probabilità alloggiate, e dove fate amicizia con giovani che ritraete. Comincia a delinearsi quella rete di contatti, di indirizzi, numeri di telefono, che vi ha permesso di percorrere il Mediterraneo, i Balcani, l'Austria, fino a quella sanguinosa notte di Genova, da una casa occupata a un ostello, da un alloggio di fortuna a un cimitero. Già, perché i rollini sono scanditi da immagini di tombe affollate, così diverse dai quieti cimiteri del Nord America dissolti nella natura verde che li accoglie. Poi una notturna di san Lorenzo, in cui si distingue il poster murale di una manifestazione no-global del 15-17 marzo, il primo indizio cronologico sicuro. Le immagini saltano: mai che voi fotografiate il treno, l'auto, l'aereo, la nave che vi trasportano. Da un luogo balzate direttamente all'altro, come per teletrasporto, o come se aveste pudore a fotografare le persone che vi danno un passaggio: da Roma, zac, a Palermo e poi da Palermo, zac, alla Grecia, poi, zac, in Turchia, quasi di certo Efeso, la Cappadocia, la foce di un fiume anatolico. Poi la Romania e infine l'Austria. Di Palermo troviamo un'immagine della Calsa. Quindi una manifestazione alla Favorita, con poliziotti in tenuta antisommossa. La cripta dei Cappuccini con gli scheletri e le mummie. Una casa dismessa in cui sembrate alloggiare. Un rullino in b/n segnala un passaggio a Napoli (trascurato dalla macchina a colori) con foto dei Quartieri spagnoli e delle manifestazioni per il global forum. Della Grecia, alcune chiese bizantine, case dal tetto ionico: le tipiche targhe delle strade a fondo azzurro e scritta bianca. La primavera è più avanzata e il sole comincia a delineare ombre crudeli, nere come il lutto delle vedove. Ma di Atene c'è solo un'immagine ripresa dall'alto dell'Acropoli, verso il Teseion. Una foto sembra di Salonicco. Il vostro comincia a prendere l'andamento da grand tour post-moderno in versione povera: non più i rampolli dell'aristocrazia britannica venuti e liricheggiare sulle rovine di Missolungi, ma ragazzotti e-connessi incerti su cosa guardare e annotare con la loro Kodak usata con parsimonia. Un curioso misto di intraprendenza e passività: in fondo viaggiate lungo strade solitarie, dormite in luoghi sconosciuti, vi affidate alle relazioni più indirette, ma nello stesso tempo vi muovete come lasciandovi fluire nella corrente, senza opporre resistenza agli incontri fortuiti, alle deviazioni impreviste, ai suggerimenti più repentini ("avete visto Efeso? dovreste proprio andarci"). In Turchia, alcune tombe Licie, poi quello che pare proprio un teatro di Efeso. Ogni tanto voi ragazzi fate gli scemotti. Tu ti metti una kefiah in testa sulla barbetta, tu invece leggi al sole di una spiaggia. Chiese sotterranee, scavate nelle roccia, come in Cappadocia, ma non fotografate i pinnacoli, così tipici. Poi capre in pianure riarse cosparse di ruderi e ponti diroccati. E poi, curiosamente, la Romania, anzi proprio Timisoara. E' stata saltata Istanbul (con quale criterio?). Ma da lì potevate dirigersi verso la Macedonia, o verso la Bulgaria; perché proprio la Romania? cosa c'era a incuriosirvi? Certo è che eccoti tu maschietto quasi a fare la linguaccia davanti a due casermoni popolari dell'era Ceausescu. Una lupa che allatta i gemelli. Altre enormi sculture di omoni muscolosissimi stile socialismo reale a cui tu ragazzotta fai finta di fare un pompino. Ancora cimiteri. Strade non asfaltate che si allontano verso il nulla e che probabilmente state seguendo a piedi. Certo è che vi piacciono molto i ghirigori, i ricami, come le trapunte e i merletti, anche se tipo graffiti e taggers: un'estetica da vecchia zia, con souvenir di teiere di rame ottomane, solo aggiornata al XXI secolo. Non si riesce a dedurre in filigrana nessuna trama di una cultura, di letture, ma una curiosità vorace, pigra e casuale. Infine troviamo una targa austriaca, visi germanici. Un nostro amico riconosce in una di queste foto un gruppo di 14 teatranti austriaci arrestati a Genova. Si vede una di loro alla frontiera con due birilli. Magari voi due ragazzi avete seguito la troupe, o forse siete arrivati nel capoluogo ligure per conto vostro. Non sappiamo. Certo è che siete a Genova, nella scuola trasformata in dormitorio, nello stadio Carlini, nelle piazze, nelle strade, davanti a porcellini rosa e, una volta, ad auto carbonizzate. Poi nulla, solo la sacca nera sfuggita al sanguinoso blitz della polizia italiana. Voi due sembrate come quei viandanti che, nel romanzo di Thorton Wilder, percorrendo gli itinerari più impensati nelle circostanze più improbabili, si sarebbero trovati insieme, nello stesso momento, sul ponte di San Luis Rey quando questo sarebbe crollato portandoli con sé. Come quei viandanti, così anche voi siete giunti puntuali all'appuntamento, con i giovani di tutto il mondo. Siete solo due tra le migliaia, centinaia di migliaia di persone che formano il "popolo di Genova". Quel che colpisce in voi è la vostra assoluta, medietà, una strampalata, innocua normalità, con la maglietta no global. Avete vagato per i Balcani e il Mediterraneo per trovarvi all'appuntamento con la Celere, i carabinieri, i manganelli. Forse ora siete in Canada, o forse siete ancora in un carcere italiano. Forse non leggerete mai queste parole. Ma se qualcuno ve le tradurrà, quando tornerete, o quando sarete liberi, venite a riprendervi le vostre foto e darci la vostra amicizia.


David e Kara, al sicuro
Sono in Canada i proprietari dei 16 rullini ritrovati alla Diaz
BENEDETTO VECCHI - ENKIDU*


Li abbiamo trovati. Si chiamano David e Kara gli autori di quei 16 rullini fortunosamente ritrovati all'interno della Diaz dopo il bliz di sabato 21 e portati da una fotografa free lance, Germana, qui al manifesto. Sono canadesi della British Columbia. Giovanissimi. In viaggio per mesi sulle sponde del Mediterraneo. Quattro, cinque, sei telefonate, e scopriamo che a Roma c'è qualcuno che li ha conosciuti. Le foto prendono vita dai racconti raccolti. Dicono che li hanno accompagnati a visitare la Roma meno turistica, quella degli squat e di Porta Portese. Volti e voci amiche narrano di due giovani che visitano le mense della Caritas per conoscere i volontari e i sopravvissuti negli interstizi della metropoli. Sono stati nei centri sociali Forte Prenestino, Corto Circuito, Laurentino38 dove li hanno anche ospitati. La prima persona a cui abbiamo chiesto se li conosceva non sapeva il loro cognome né tantomeno la città d'origine: "Sono i canadesi pestati a Genova - ci dice -. Li abbiamo visti gonfi e malridotti in tv... Però almeno loro sono usciti con le proprie gambe da quell'orrore". Altre telefonate. In meno di un'ora troviamo un indirizzo di posta elettronica. E' quello di Kara. Ci risponde quasi subito. Ora, sta bene. La e-mail è però da brivido: "Eravamo stanchi, abbiamo avuto la brutta idea di andare a dormire alla Diaz. Mentre dormivamo entra la polizia, ci pestano, ci arrestano e ci portano in carcere. Lì abbiamo subito una pesantissima tortura psicologica. Per quattro interminabili giorni. Poi ci hanno detto che non potevamo più tornare in Italia per cinque anni accusandoci di essere membri di una organizzazione criminale chiamata black bloc e di aver disturbato la tranquillità del vostro paese". Questi due globetrotter avevano fatto amicizia su Internet visitando il sito di Tactical media crew - www.tmcrew.org - che ha molti documenti in lingua inglese sulla globalizzazione e le news sulle proteste noglobal in varie lingue. "Se vuoi è un aspetto positivo della globalizzazione - ci dice la voce amica -. Con Internet "incontri" uno che sta dall'altra parte dell'Oceano e scopri interessi in comune". Apprendiamo anche che "in Canada, David e Kara organizzano assieme ad altri la distribuzione di cibo ai poveri che vivono in strada. Anche questo è un effetto della globalizzazione". Che strani criminali, questi due giovani. In giro per il mondo a cercare di capire cosa non va, magari considerati black bloc e espulsi solo perché ne vogliono un altro.

*Enkidu è il nickname
di un hacker romano

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