#11 - 24 marzo 2003 | senza prezzo |
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Mangiamo almeno tre volte giorno, ci nutriamo per vivere, tra noi e il cibo c'è un contatto continuo. Ecco perché la nutrizione e la cultura, il business, le tradizioni che ci ruotano attorno sono aspetti importanti della nostra vita. Spesso non ci facciamo caso, non facciamo caso a quello che mangiamo (se non al gusto o alla quantità), e non ci rendiamo conto quanto sia importante per noi il rapporto che abbiamo con l'alimentazione. Ma anche se non ce ne accorgiamo noi, se ne accorge senz'altro chi fa dell'alimentazione il suo business principale e, di conseguenza, il suo strumento di potere.
Ben se ne accorsero infatti molte religioni, e chi le predicava. Attraverso i pregiudizi, mitizzazioni e gli accanimenti, le religioni imposero e impongono, anche per mezzo della tavola, un'obbedienza ai propri valori. Sacrificio, ritualismo, devozione e fede cieca si sono diffusi anche forzando, giorno dopo giorno e per secoli, le abitudini e gli usi alimentari degli uomini e delle donne.
Se si riesce a comandare e a gestire l'alimentazione di una persona (un individuo mangia mediamente e necessariamente più volte al giorno), facilmente se ne possono poi comandare gli altri momenti della vita. Un po' come avviene per la sessualità, tutti i Poteri cercano di reprimerne e controllarne la forza, perché, come l'alimentazione, è un impulso primario e una volta domato, si gestiscono molto più facilmente anche gli altri. Cristianesimo, Giudaismo, Islamismo hanno fatto, dell'alimentazione, una cultura sacra e ossequiosa di principi metafisici, cioè irrazionali, che non sempre hanno molto a che vedere con il normale equilibrio e sviluppo fisico dell'uomo.
Resta il fatto che quindi uno studio analitico sulle abitudini alimentari di una società, ne svela comunque un'interessante chiave di lettura: "Dimmi come mangi e ti dirò chi sei" non è in fondo una formula troppo lontana dalla realtà.
E allora come mangiamo, di che ci nutriamo, in questa sfavillante e plastificata società a capitalismo avanzato? Ci nutriamo dell'unica schifezza compatibile con i ritmi delle giornate veloci e stressanti del cittadino occidentale medio: roba altrettanto scadente, di facile consumo e, quindi, largamente vendibile.
Viviamo in un sistema sociale che ci propone continuamente un modello di "sveltezza", di velocità, di iperattivismo, incompatibile con i tempi e gli equilibri di ogni singolo uomo e donna. I ritmi di produzione, lavoro, scuola, shopping e via dicendo annullano i nostri diversi cicli di sviluppo, riposo, pensiero e anche nutrimento. Quindi la cucina, l'alimentazione, il mangiare vengono vissuti con lo stesso criterio del "non c'è tempo", di consumo rapido, usa e getta. Surgelati, pre-preparati, inscatolati, cotti e quasi già masticati sono i prodotti più diffusi sulle nostre tavole.
Un'omologazione terrificante di questo sistema "obbliga" tutti i suoi succubi ipnotizzati dal consumismo, a comprare roba finta tipo "4 salti in padella Findus". Con un surgelato praticamente mangi un cibo saporito in 8 minuti netti, sporcando solo una padella e un piatto di Ikea (con il suo nome deficiente) mentre guardi una trasmissione idiota in TV (perché non hai tempo, perché c'era traffico sulla tangenziale, perché ancora devi fare la cacca da stamattina ecc. ecc.); oppure ti rifila cibi hi-tech: ipocal, isocal , con il 666% di... ecc.; per il freddo, per il caldo, come se noi vivessimo su un iceberg, dentro un vulcano o direttamente sull'Apollo 13.
Tutto questo ha un senso non perché è necessario andare veloci (questa è una conseguenza del capitalismo), ma perché è necessario vendere (questa è la causa!). E per vendere, e soprattutto per vendere immondizia, e farsela pagare cara, si deve fare un buon lavaggio del cervello collettivo e perpetuare (e inventare) culture alimentari totalmente insostenibili da ogni punto di vista (ambientale, fisico, psicologico e sociale).
La deriva della qualità alimentare dei prodotti di cui ci cibiamo è cosa nota e diffusa, non occorre essere dietologi per saperlo; è quasi un luogo comune. Ovunque si sente dire "la cucina della nonna era più buona", "non ci sono più i sapori di una volta!". Per venire incontro a queste esigenze (cioè il mangiar sano, dovrebbe essere un diritto di tutti) è nata una linea di prodotti specifica, un settore a se, l'alimentazione "biologica". Ora, quasi tutte le grandi multinazionali del cibo hanno questa nuova gamma di prodotti "Naturali e senza (alcuni) pesticidi". Questo significa che tutti gli altri prodotti, quelli non-bio, sono praticamente delle schifezze. Significa pure che per anni, cioè finché gran parte della gente comune non ha preso coscienza di questo problema, hanno coltivato, prodotto e venduto solo roba scadente e chimica. Ma la linea "biologica" (al di là della lunga discussione sulle certificazioni "bio" e su come vengono rilasciate) deve avere un prezzo: quello delle tasche dei benestanti, e di chi si prende cura dei propri delicati pancini. Un nuovo business quindi è nato e si sta fiorentemente sviluppando.
Ma per il settore "consumer", cioè la grande massa dei consumatori di ceto medio-basso, ci saranno sempre i soliti sottoprodotti di pessima qualità, fortemente integrati, colorati e gonfiati di sostanze chimiche. Allo stesso modo esistono anche diverse fasce di acquisto per gli utensili come pentole e padelle indispensabili per cotture ottimali e salubri, altrimenti cancerogene come nel caso di quelle teflonate e a basso costo, che per altro spopolano nelle cucine del cittadino medio.
La manipolazione (o integrazione) tecnologica avviene per TUTTI i prodotti, basta leggere gli ingredienti di quasi qualsiasi cibo compriamo. Ovunque sono presenti additivi alimentari chimici o tossici; per esempio: anidride solforosa (nei vini), nitrito di sodio (per fare più rosse le carni), nisina (antibiotico), gallato di ottile cioè il E311 e il E320, elementi artificiali non metabolizzabili dal nostro organismo (presenti nelle patatine fritte e oli di semi). E la lista continua ancora: gli emulsionanti, esaltatori di sapidità, gelificanti, stabilizzanti, aromatizzanti, mono e digliceridi degli acidi grassi, cioè tutti quei dannosi componenti chimici usati per insaporire prodotti alimentari altrimenti di per se pessimi e insapori.
Questa manipolazione, questi additivi seguono il solo e solito criterio di vendibilità del prodotto finale. Servono a minimizzare la materia prima (gonfiando il prodotto), a renderla più a lungo conservabile (quindi per più tempo vendibile), a esaltarne i gusti originali ormai persi con le aggiunte di sali e grassi tali da rendere più appetitoso il "cibo" finale. Con la stessa logica di mercato infine si tende a rendere i cibi stessi attraenti dal punto di vista estetico, quasi che un cibo più bello sia anche in qualche modo più salutare. Le insalate prelevate, cerate e imbustate, le mele lucide e perfette, sono cibi perfezionati in accordo con le esigenze di rapidità, risparmio di fatica, bellezza estetica.
Anche se questo discorso è molto ampio possiamo appuntare che spesso l'assalto alla qualità di un prodotto parte dall'origine, con gli OGM (Organismi Geneticamente Modificati).Alimenti e derivati di largo uso e consumo (soia, mais, tabacco e barbabietola da zucchero in particolare), sia italiani che non, sono esperimenti genetici di cui noi siamo la cavie consenzienti e paganti. Negli USA e nei paesi africani e asiatici queste monocolture transgeniche attentano alla biodiversità locale legando gli agricoltori a una doppia catena con le compagnie multinazionali. I contadini sono costretti a piantare i semi OGM sterili che venduti dalle multinazionali (che i contadini non sono quindi in grado di riprodurre); si ritrovano poi a rivendere il raccolto alla multinazionale stessa (o a un'altra multi) che ricommercializzerà il prodotto altrove. Un nuovo servaggio (come nel medioevo) globale, tutto a discapito della multi-coltura, della biodiversità, dell'economia rurale e locale, e senza alcuna garanzia qualitativa della sua salubrità, per chi se ne nutre e per l'ambiente circostante. Questi stessi OGM, già intrisi dell'ingiustizia che li ha partoriti, sono poi quelli che finiscono fra il mangime, già ricco di ormoni e chimicamente alterato, che nutre i miliardi di bovini, suini, polli e ovini che ogni anno vengono uccisi e venduti a trance, con siringate di additivi e gli esaltatori di sapidità di cui sopra. Sono sempre gli stessi OGM che i politici dichiarano di voler "controllare" e sui quali legiferano, mentre dal 1996 al 2001 gli ettari di OGM coltivati sono passati da 1,7 milioni a 48 milioni. Senza contare che la mancanza di provvedimenti e controlli o tutele ha favorito la gemmazione di singole piante OGM che fuori dai raccolti, non saranno, bene o male, mai più individuabili e che prolifereranno senza alcuna possibilità di fermare il processo... un viaggio senza ritorno!
Inoltre non è un caso che molti brevetti degli OGM, molti cibi transegenici che acquistiamo, sono prodotti delle stesse multinazionali farmaceutiche (o delle loro società) che poi rivendono le "cure", le diete, le medicine attraverso il loro marchio originale [Esempio: Monsanto (sementi) - Cereal (alimenti) - Novartis (farmaci)]. Ci dovrebbe far riflettere insomma il fatto che la stessa compagnia (o lo stesso trust) crea un seme, fa con quel seme dei prodotti di massa insalubri e poi vende "il rimedio" a quella insalubrità.
Il bombardamento mediatico punta massicciamente su diete ricche di grassi e povere di vitamine e fibre. Nelle famiglie, a scuola e tra i bambini ad esempio vige una totale diseducazione alimentare che privilegia merendine e prodotti industriali alla frutta fresca e ai cibi vitaminici. Perché è più facile e proficuo vendere carne, patatine, dolciumi e poi, in separata sede, rintascare soldi da integratori vitaminici sintetizzati, palestre, diete e fitness, prodotti mediatici di una visione dell'uomo e della donna totalmente squilibrata.
Grazie all'ipnosi mediatica non compri più il cibo, compri il marchio, il gadget, e l'idea complessiva del prodotto. Non a caso la Nestlè oggi è più famosa per i suoi pupazzi (tipo quelli del formaggino MIO) che per i cibi che vende. La McDonald's allega ai suoi paninacci da sempre giocattoli-esca. In Italia, le industrie che hanno avuto più successo sono state quelle come la Mulino Bianco che organizzano il proprio mercato di vendita più sulla sorpresa ed il bombardamento pubblicitario, che sul prodotto. L'ovetto Kinder è stato poi il picco di questa strategia, in realtà l'ovetto è ormai solo la confezione di una sorpresa! Non è che compri la cioccolata, compri la sorpresa, compri il marchio Kinder!
Diciamo che il
parametro di giudizio medio è la tv: lo dicono in tv, quindi è
verità. Per esempio, prima fanno il lavaggio del cervello sui cenoni
del natale... mangiati questo, mangiati quest'altro, cotechino, zampone con
le lenticchie, salmone affumicato, fettuccine ai funghi, rigatoni con la pajata,
panettone con i canditi, senza canditi, con uvetta, senza uvetta, profiterole,
pandori Bauli, non Bauli e torroni a volontà, il tutto condito con ricchi
premi e cotillon a chi compra di più e trova il tagliandino HAI VINTO
UNA FERRARI (ma tanto ce ne uno su 2 milioni di pezzi venduti)!!! Poi ti dicono:
"Ehi tu ciccione/a, non lo vedi quanto fai schifo??? Non rimorchierai mai
ridott@ così!! Sei brutissim@, non hai bella presenza!! Che ti sei mangiat@?!
L'impossibile!?" E vai con i sensi di colpa per aver fatto del male al
proprio corpo (ma soprattutto per non essere belli e belle come i modelli della
TV). Allora vai con diete di tutti i tipi, dieta punti, dieta del panino, dieta
dissociata, dieta macrobiotica, palestre a volontà dove fare tutto tranne
che sport, essendo solo luoghi sterili dove sfogare e riaffermare le proprie
frustrazioni. Luoghi dove competere con le persone intorno, dove sfoggiare,
dove rimorchiare, dove apparire.
Tutto è molto lontano dall'idea di una attività fisica sana, quelle
palestre dove prendere, ancora!, anabolizzanti, creatina, anfetamina, etc...
E' un cane che si morde la coda che produce però una vertigine di soldi per chi vive di questo business. Il nostro appetito, dato che la fame non è solo un bisogno fisico ma anche e soprattutto un impulso psicologico, è continuamente stimolato per strada, nei cartelloni pubblicitari, in tv, a casa, con immagini e richiami ossessionanti al consumo continuo di cibo, al rapido appagamento con patatine, gelati confezionati, merendine, fast-food, supermarket. Così ingurgitiamo grassi e sali, facciamo lavori (spesso) sedentari, ci spostiamo continuamente in macchina, utilizziamo tutte le comodità tecnologiche (fino addirittura allo spazzolino da denti elettrico!!!). Accumuliamo un surplus calorico tale che, fra l'altro, ci fa sentire così ciccioni (ma il problema persiste pure se si è magrissimi) di fronte alla statuaria bellezza (spesso plastificata) del modello televiso-pubblicitario che serve solo a imporre altri consumi, altre spese, altri soldi che girano.
Ma lo scontro fra l'alimentazione quotidiana e l'immaginario capitalista non crea solo scompensi psicologici, crea anche gravi malanni fisici. L'obesità, i problemi cardiovascolari, i molti tumori, l'ipertensione e le altre malattie simili sono l'inevitabile conseguenza, sul nostro corpo di queste diete dissennate e della sovralimentazione, tanto che un italiano su tre è in sovrappeso. Questo porta anche grosse ripercussioni economiche sul debito pubblico, basti pensare che in Usa, Francia e Olanda è stato calcolato che i costi relativi alla cura delle complicanze mediche dipese dall'obesità oscillano tra il 2% e il 5% della spesa sanitaria nazionale. Una bella quantità di euro! E pensare che è molto più facile prevenire questi disturbi piuttosto che curarli.
I danni dell'industria
agroalimentare comunque non si fermano solo ai nostri problemi fisici o legati
all'uomo, ma coinvolgono principalmente e soprattutto il pianeta. Infatti se
il consumo di carne nel 1950 era di 20 kg annui per persona e oggi è
di 80(inutili)kg per persona, questo ha significato non pochi traumi ambientali.
La deforestazione di aree boscose per farne pascoli dei bovini coinvolge circa
300.000 km quadrati di terra l'anno (e con gli alberi scompaiono centinaia di
specie animali), un'area pari all'estensione dell'Italia. Il 70% delle derrate
alimentari di cereali vengono usate per sfamare i 15 miliardi di animali allevati
(e quasi tutti uccisi) nel mondo dall'uomo, quando con una corretta ridistribuzione
della stessa quantità di cereali si potrebbe sfamare abbondantemente
tutta la popolazione umana mondiale.
Non è da poco inoltre considerare l'impatto ambientale, cioè la
montagna di rifiuti che creano gli incarti, gli scatolami, le confezioni e,
infine, gli scarti chimici usati per abbellire, presentare e rifilarci i vari
cibi. Allo stesso modo un semplice impacchettamento (per esempio un salume al
banco supermercato: primo incarto plastificato trasparente, secondo velo, incarto
con carta spessa, busta di carta e bustina di plastica e scontrino adesivo che
chiude) è uno spreco di energie e un processo di industrializzazione
inutile, inquinante, disboscante ed evitabile. Proviamo quindi a immaginare
quanto surplus inutile di materiali, cibi, prodotti vengono immessi sul mercato,
sprecati, consumati buttati ma comunque creati e lasciati sparsi a inquinare
città, terre, boschi, mari.
Una soluzione rapida e sbrigativa non c'è, mentre risulta evidente che il capitalismo è totalmente inconciliabile con uno sviluppo fisico-psicologico e anche alimentare equilibrato allo stesso modo la lotta contro il business mediatico e industriale del settore agroalimentare non è uno scontro secondario, ma è la reale necessità di aver diritto a cibi sani, in un mondo che assecondi i ritmi della natura e che non passi per l'inquinamento e il massacro ingiustificato di miliardi di essere viventi. L'autoproduzione agricola (vedi A4newsbot#1) nei limiti delle proprie possibilità, anche in pochissimi metri quadrati di terra, può essere un modo per anteporre la genuinità dei propri prodotti ai cibi scadenti in vendita. E' anche un modo per riscoprire un minimo contatto con la terra, soprattutto laddove la metropoli ha annientato questo legame; riscoprire quindi le stagioni, i frutti che ne nascono, la pioggia, il sole. Gettare semi al vento, ovunque, nei parchi, prati, nelle piazze, nelle siepi, può essere un modo simpatico e creativo di diffondere con il "giardinaggio guerrigliero" una coscienza ecologica. Ridurre il consumo di carne (o eliminarla totalmente dalla propria dieta), boicottare le maggiori multinazionali e i loro pessimi cibi tecnologici, prendersi più tempo per cucinare, spegnere la tv e girare anche a piedi o in bici, possono essere dei piccoli passi che TUTTI/E possiamo facilmente fare, per la nostra salute, per il nostro fisico, per la nostra mente e per il pianeta su cui viviamo.
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