PIANETA LAVORO
Tutto
è lecito con Coca-Cola
VITTORIO LONGHI
Continuano a piovere denunce e multe sulla Coca-Cola per
comportamento antisindacale e violazione delle leggi sulla
concorrenza. Quanti vedono nelle campagne di boicottaggio
alla multinazionale di Atlanta solo una miope forma di
antiamericanismo, forse ignorano che Coke raccoglie con una
frequenza impressionante non solo accuse, ma vere proprie
condanne da ogni parte del pianeta, a cominciare dagli Usa.
Questa settimana è stata incolpata di antisindacalismo da
un gruppo di lavoratori turchi licenziati, minacciati e
aggrediti perché rivendicavano diritti elementari e poi
sanzionata dai giudici messicani per il modo in cui manipola
il mercato locale delle bibite. Nel primo caso, si è
rivolto direttamente ai tribunali americani Terry
Collingsworth, leader dell'International labor fund,
l'organizzazione che qualche anno fa denunciò la storia dei
sindacalisti colombiani uccisi dai gruppi paramilitari,
assoldati da società affiliate alla Coca-Cola.
Collingsworth ha raccolto le testimonianze di alcuni ex
dipendenti dell'imbottigliatrice turca, sempre controllata
da Atlanta, addetti al trasporto. A luglio centinaia di
questi lavoratori avevano indetto una manifestazione per
rivendicare il diritto di associarsi e chiedere condizioni
migliori, ma anziché trattare i dirigenti hanno preferito
chiamare i reparti speciali della polizia turca,
la Cevik Kuveet. La
dimostrazione pacifica è stata presto repressa con brutalità
e i poliziotti non hanno esitato a caricare con manganelli e
gas lacrimogeni, arrestando oltre 90 persone, compresi i
sindacalisti e gli avvocati, ancora in carcere. Le
rivendicazioni erano iniziate dopo che l'azienda
distributrice Trakya Nakliyat ve Ticaret aveva licenziato
cinque impiegati nella sede di Dudullu perché cercavano di
costituirsi in sindacato. A maggio sono stati liquidati
altri cinquanta lavoratori iscritti alla sigla degli
alimentaristi Disk nell'impianto di distribuzione di
Yenidosna, col pretesto delle scarse commesse da parte della
Coca-Cola Turchia. Ovviamente la direzione americana nega
ogni responsabilità, anzi rigira agli avvocati come
Collingsworth le accuse di persecuzione e di diffamazione,
scaricando sui fornitori e sui distributori locali ogni
eventuale colpa. Diversamente è andata a Città del
Messico, dove la multinazionale non ha potuto fare molto
contro il tribunale che l'ha appena condannata, insieme a
imbottigliatori e distributori, al pagamento di oltre 58
milioni di euro per la violazione delle leggi nazionali. Il
caso è partito dal quartiere periferico di Iztapalapa, dove
una piccola commerciante, Even Chavez, ha denunciato alla
Commissione federale sulla concorrenza le pressioni che
subiva da anni dai distributori Coke. Minacciando di
toglierle i frigoriferi dati in comodato, varie attrezzature
e anche l'insegna, questi tentavano di imporre i prodotti
americani vietandole di comprare e rivendere ogni altra
bibita, soprattutto quelle che stanno crescendo nel mercato
latinoamericano dei soft-drinks, come
la Big Cola
di produzione peruviana.
La storia di Iztapalapa si è aggiunta a quella di molti
altri commercianti che avevano subito le stesse
intimidazioni. Così tra luglio e agosto la Commissione ha
accusato formalmente la Coca-cola, 15 società
imbottigliatrici e 54 distributori di violazione della legge
anti-monopolio, con sanzioni altissime. Il denaro, tuttavia,
non andrà ai commercianti vessati, come risarcimento, ma
direttamente allo stato. «L'importante è avere
riacquistato la libertà di vendere ciò che vogliamo - ha
detto Even Chavez all'agenzia Associated press -,
anche se è stato duro resistere, più volte ho pensato di
chiudere il negozio per i continui boicottaggi». La
vittoria dei commercianti messicani è particolarmente
significativa se si considera che la multinazionale già
controlla oltre il 70% del mercato delle bibite analcoliche
nel paese e che per la prima volta, nel paese, una grande
compagnia americana viene limitata in modo così deciso
nelle sue pratiche commerciali illegali.
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