da Liberazione del 23 Luglio 2006
Venticinque anni di lotte contro la multinazionale svizzera/x-tad-bigger>/bigger>/bigger>/fontfamily>
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/bigger>/bigger>/fontfamily>Dall'infrazione
del Codice sul latte materno alle morti dei sindacalisti, dallo sfruttamento
delle sorgenti d'acqua alla beffa del caffè con l'etichetta "equo-solidale"
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/bigger>/bigger>/fontfamily>Da
Nestlè ci aspettiamo una forte assunzione di responsabilità, sociale innanzi
tutto; e la ricerca di un profitto che non sia a scapito dell’etica./bigger>/color>/fontfamily>
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Vincenzo Puggioni - A Vevey, in Svizzera, c’è la sede di una delle più potenti
multinazionali del pianeta: la Nestlè. Nel 2004 risultava essere proprietaria di
500 stabilimenti in 83 diversi Paesi, con 247.000 addetti ed un fatturato di
86.769 milioni di franchi svizzeri, con un utile di 6.717 milioni di franchi (8%
in più rispetto all'anno precedente). Nel 1997 l'utile era di 4.182 milioni,
dunque in solo sette anni un incremento del 60% (Rapporto Finanziario Nestlé
2004).
Nestlè dunque protagonista del “grande mercato globale”?
Non certo dal punto di vista dell’etica.
E non a caso oggetto di pesanti
critiche e di un duro boicottaggio internazionale che dura da molti
anni.
Tutto parte dal mancato rispetto del Codice Internazionale sulla
commercializzazione dei sostituti del latte materno, promulgato nel 1981
dall’Oms e dall’Unicef e sottoscritto da molte imprese del settore, Nestlè
inclusa. Venticinque anni di promesse andate a vuoto, se è vero come è vero che
ancora oggi la multinazionale elvetica continua a violare il codice (vd. “Codice
Violato”, edizioni 2001 e 2004 - www.ibfanitalia.org) e a negarsi a qualsiasi,
serio confronto pubblico, che vada oltre pubblicazioni patinate che
intenderebbero dimostrarne la serietà e l’impegno a favore di neonati e madri.
Non è l’unica impresa che vìola il Codice; ma questo non significa che
non lo debba rispettare, anzi a maggior ragione, essendo leader di mercato anche
in questo settore. Che mette sul contraltare del profitto la vita di un milione
e mezzo di neonati (dato Unicef), vittime delle conseguenze dell’allattamento
artificiale. E la salute di tanti altri neonati ai quali viene a mancare il
nutrimento migliore, il diritto delle loro madri a poterli alimentare come
vorrebbero, come quasi sempre potrebbero.
Ma Nestlè non è soltanto latte
in polvere. Così veniamo a sapere che in Colombia i lavoratori della
multinazionale raggiungono l’obiettivo di un nuovo contratto di lavoro, siglato
dal Sinaltrainal (sindacato degli alimentaristi) dopo una estenuante lotta, che
garantirà per un periodo di tre anni alcuni - pochi - diritti fondamentali. Un
contratto che è stato ottenuto anche con il sangue, grazie al sacrificio di
sindacalisti come Luciano Enrique Romero Molina, dirigente sindacale, massacrato
(badate bene non ucciso, prova ne siano le 40 coltellate inferte da misteriosi
assassini i cui nomi resteranno per sempre ignoti) il 9 settembre 2005 a
Valledupar. In un Paese dove lottare per il rispetto dei diritti significa
mettersi contro ogni potere e doverne subire le conseguenze.
Come
Diosdado Fortuna, altro sindacalista (Uniòn de Empleados Filipìnos) di un altro
Paese terra di conquista delle multinazionali, le Filippine. Viene assassinato
dopo essere uscito dallo stabilimento Nestlè di Cabuyao, cinquanta chilometri da
Manila, mentre sulla sua moto faceva ritorno a casa; due colpi precisi lo
colpiscono alle spalle, ovviamente ignoti gli assassini, impuniti, è storia di
ogni giorno.
Ma chi ricorderà Molina e Fortuna, se non le mogli ed i
figli che li piangono e ai quali è veramente difficile spiegare perché si viene
massacrati soltanto perché si osa difendere i propri diritti? Sono state
presentate due interrogazioni nella precedente legislatura, molto dettagliate;
la banale risposta di un sottosegretario non riuscirà a rendere loro
giustizia.
Nestlè, sempre lei, che grazie alla “complicità” dei
certificatori inglesi lo scorso anno riesce persino a lanciare un suo caffè
“equo e solidale”….. quasi bastassero un paio di piantagioni nelle quali si
rispettano alcuni dei basilari criteri etici di comportamento per diventare
equosolidali! Cosa ne è di tutte le altre piantagioni della multinazionale,
siano esse di caffè o cacao, ce lo può spiegare la multinazionale? Ce lo possono
spiegare quelli di Transfair UK, spiegarcelo non con lunghe lettere ma con la
ragione etica che dovrebbe guidare la loro condotta e che dovrebbe far capire
loro quanto è pericoloso consegnare il commercio equo nelle mani delle
multinazionali? Alle quali non pare vero potercisi tuffare dentro e
trasformarlo, a propria (sbiadita) immagine e somiglianza.
Avremmo ancora
tanto da dire su Nestlè, tanto da chiedere a Nestlè; qualcosa faremmo chiedere
loro dalla popolazione di Sao Lourenço, in Brasile, laddove il movimento
cittadino per la salvaguardia del “bene acqua” denuncia lo sfruttamento
eccessivo di una sorgente sita in mezzo ad un parco naturale, a 150 metri di
profondità, situazione che sta creando gravi problemi di approvvigionamento
idrico e peggiorando l’ecosistema dell’intera regione; o dai lavoratori italiani
di San Sisto (Perugina) e di Sansepolcro (Buitoni), che stanno lottando per
difendersi dai programmi di ristrutturazione della multinazionale milionaria,
che deve “ottimizzare i costi strutturali dell’impresa e incrementare l’utile”
(Rapporto Finanziario Nestlè 2004).
Da Nestlè ci aspettiamo una forte
assunzione di responsabilità, sociale innanzi tutto; e la ricerca di un profitto
che non sia a scapito dell’etica. Insieme ad una rinnovata capacità di sapersi
aprire al confronto e al dialogo, essenziali per rispondere ad istanze sempre
più pressanti che provengono da consumatori ogni giorno più consapevoli delle
proprie scelte.
(Segreteria Rete Italiana Boicottaggio Nestlè)