Campagna di boicottaggio Coca-Cola

Materiali REBOC


RAPPORTO DELLA COMMISSIONE INDIPENDENTE D'INCHIESTA DI NEW YORK CITY SULLA COCA-COLA IN COLOMBIA
Il rapporto della Commissione di New York City che ha svolto un'inchiesta in Colombia dall'8 al 18 Gennaio 2004

Autore: Commissione indipendente d'inchiesta di New York City sulla Coca-Cola in Colombia
Data: 2 aprile 2004
Lingua originale: inglese
Traduzione in italiano: COCS - COmitato Cambia lo Sponsor
Numero pagine: 12
Indice: 1. sommario esecutivo - 2. la storia della delegazione, i partecipanti, il mandato - 3. contesto nazionale e internazionale - 4. fonti e acquisizione dati - 5. accertamenti (pratiche di impiego - violenza extra-legale - inazione e complicità della coca-cola - rappresaglie legali) - 6. conclusioni e raccomandazioni

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VERSIONE ORIGINALE (in inglese):
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ALLEGATI (in lingua originale)
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I. SOMMARIO ESECUTIVO

Nel Gennaio del 2004, il Consigliere Comunale di New York City Hiram Monserrate e una delegazione di attivisti dei sindacati, degli studenti e della società civile, si sono recati in Colombia per indagare sulle accuse dei lavoratori della Coca-Cola secondo cui l’azienda è complice delle violazioni dei diritti umani che i lavoratori stessi hanno sofferto.

La delegazione ha incontrato funzionari e lavoratori della Coca-Cola, come pure diverse rappresentanze governative, dei diritti umani e religiose.

Le conclusioni della Delegazione d’inchiesta di New York City sulla Coca-Cola in Colombia confermano le denunce dei lavoratori secondo cui l’azienda è responsabile della crisi relativa ai diritti umani che ha colpito la sua forza-lavoro.

Ad oggi, ci sono state un totale di 179 gravi violazioni dei diritti umani dei lavoratori della Coca-Cola, compresi nove omicidi. I familiari degli attivisti sindacali sono stati rapiti e torturati. I sindacalisti sono stati licenziati per aver partecipato a riunioni sindacali. L’azienda ha fatto pressione sui lavoratori perché rinunciassero a far parte del sindacato e ai loro diritti contrattuali e ha licenziato quelli che si sono rifiutati.

Più preoccupanti per la delegazione sono state le persistenti accuse secondo cui la violenza paramilitare contro i lavoratori è stata portata avanti con la consapevolezza e probabilmente sotto la direzione dei dirigenti aziendali.

L’accesso fisico che i paramilitari hanno avuto negli impianti di imbottigliamento della Coca-Cola è impossibile senza la consapevolezza e/o la tacita approvazione dell’azienda. In modo sconvolgente, i dirigenti dell’azienda hanno dichiarato alla delegazione di non aver mai indagato i rapporti tra i dirigenti degli impianti e i paramilitari. L’inazione dell’azienda ed il suo continuo rifiuto di assumersi alcuna responsabilità per la crisi dei diritti subita dalla sua forza lavoro in Colombia dimostra – nella migliore delle ipotesi – disprezzo per la vita dei suoi dipendenti.

La complicità della Coca-Cola nella situazione è aggravata dal suo reiterato schema di comportamento, nell’accusare di crimini gli attivisti sindacali che avevano denunciato la collusione dell’azienda con i paramilitari. Queste denunce sono state rigettate in quanto prive di fondamento in diverse occasioni.

La conclusione che Coca-Cola è responsabile per la campagna di terrore mirata contro i suoi lavoratori è inevitabile. La delegazione chiede alla compagnia di porre immediatamente rimedio alla situazione e fa appello alla coscienza di tutte le persone perché partecipino alla pressione nei confronti dell’azienda per ottenere questo risultato.

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II. LA STORIA DELLA DELEGAZIONE, I PARTECIPANTI E IL MANDATO

Il Consigliere Comunale di New York City Hiram Monserrate e cinque attivisti dei sindacati e della società civile si sono recati in Colombia dall’8 al 18 gennaio per indagare sulle accuse rivolte dai lavoratori colombiani impiegati presso gli impianti di imbottigliamento della Coca-Cola, secondo cui la Coca-Cola è complice nella campagna di violenze contro i leader e i membri del sindacato. Questo viaggio è stato il risultato di un processo investigativo e di un dialogo con la compagnia iniziato almeno un anno fa (v. Allegato A).

Monserrate, rappresentando la vasta e crescente comunità colombiana presso Jackson Heights ed Elmhurst, distretto di Queens, ha organizzato la delegazione di inchiesta di New York City sulla Coca-Cola in Colombia – una coalizione di studenti, attivisti per i diritti umani, sindacalisti statunitensi e membri della comunità colombiana immigrata e residente a New York – per assicurarsi che uno dei maggiori mercati della Coca-Cola, New York City, non stia sostenendo abusi sul lavoro al di fuori dei nostri confini.

Su richiesta di Monserrate, egli stesso e altri rappresentanti della delegazione hanno incontrato i massimi dirigenti della Coca-Cola nel mese di Luglio del 2003 per discutere la crisi dei diritti umani a danno dei lavoratori della Coca-Cola in Colombia. Durante quell’incontro, i dirigenti dell’azienda hanno dichiarato  che le accuse, secondo cui l’azienda è collegata alle violenze, minacce e intimidazioni dei paramilitari, sono false.

La delegazione ha chiesto alla Coca-Cola di sponsorizzare una commissione d’inchiesta indipendente per indagare e valutare le accuse dei lavoratori circa un coinvolgimento dell’azienda nelle violenze illegali contro di loro (v. Allegato B). In seguito all’incontro del Luglio 2003, Coca-Cola ha risposto per iscritto che “l’azienda non intende supportare in alcun modo alcun tipo di Commissione d’inchiesta indipendente in Colombia” (v. Allegato C) e che le accuse dovrebbero essere esaminate solo localmente. Ritenendo fermamente che la faccenda richiedesse un’indagine, Monserrate e gli altri membri della delegazione hanno allora iniziato ad organizzare il viaggio che ha avuto luogo nel Gennaio del 2004.

I partecipanti alla delegazione in quel viaggio sono stati: Monserrate, rappresentante nel Consiglo Comunale di New York City per il 21mo distretto di Queens; Dorothee Benz, rappresentante del CWA – Communications Workers of America Local 1180; Lenore Palladino, direttore nazionale dell’associazione United Students against Sweatshop (USAS); Segundo Pantoja, rappresentante del  Professional Staff Congress-City University of New York (PSC-CUNY); José Schiffino, rappresentante del Civil Service Empolyees Association (CSEA); e Luis Castro, assistente e addetto stampa del Consigliere Monserrate.

Il mandato della delegazione d’inchiesta sulla Coca-Cola in Colombia per il viaggio del Gennaio 2004 era indagare sulle violenze contro i lavoratori della Coca-Cola, parlare in prima persona con i dirigenti e i lavoratori dell’azienda e valutare le accuse di complicità dell’azienda rispetto alle violenze.

La delegazione ha fatto ritorno il 18 Gennaio e ha realizzato un rapporto preliminare il 29 Gennaio. E’ anche iniziata una corrispondenza di sollecito all’azienda (v. Allegato E). Dopo la realizzazione del rapporto preliminare, i membri della delegazione hanno revisionato la voluminosa documentazione reperita sul caso, e ha sollecitato la documentazione aggiuntiva che alla delegazione era stata promessa dall’azienda.

Il presente rapporto rappresenta una revisione complessiva del materiale a disposizione al momento di questa stesura. La delegazione considera esaustivo il materiale, tuttavia si adopera per trovare documentazione aggiuntiva che possa fare ulteriormente luce sulla situazione.

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III. CONTESTO NAZIONALE E INTERNAZIONALE

La Colombia è uno dei paesi più pericolosi del mondo per un sindacalista. Sono più i sindacalisti assassinati ogni anno in Colombia che nel resto del mondo: 169 nel 2001, 184 nel 2002, 92 nel 2003. In tutto, più di 4000 sindacalisti sono stati assassinati dal 1986, e ad oggi nessuno è stato arrestato, giudicato e condannato per uno solo di questi assassini. In aggiunta agli assassini, i sindacalisti hanno subito altre forme di violenza e terrore, incluso il sequestro di persona, le percosse, le minacce di morte ed altre intimidazioni.

La maggior parte delle violenze sono state commesse dai membri delle unità paramilitari, anche conosciute come “squadre della morte”, ed in primo luogo le Autodefensas Unidas de Colombia (AUC). La collusione tra l’esercito e i paramilitari è un dato assodato in Colombia, e l’impunità totale di coloro che terrorizzano i sindacalisti si limita a sottolineare ulteriormente la connessione tra soggetti legali ed illegali che cercano di sopprimere l’attività sindacale.

La persecuzione nei confronti dei difensori della giustizia sociale sotto  la parvenza di lotta al terrorismo ha anche fornito al governo colombiano una scusa per limitare i diritti e le libertà dei sindacati. I sindacati sono sempre più oggetto di attacchi legali, così come di omicidi illegali e di minacce. Le modifiche nella legge colombiana risalenti al 1990 hanno fornito la cornice legale per eliminare il lavoro a tempo indeterminato e sostituirlo con il lavoro precario, aumentando l’insicurezza sul lavoro e inibendo fortemente la capacità dei sindacati di organizzare i lavoratori temporanei, che ora costituiscono la grande maggioranza della forza lavoro colombiana. Contemporaneamente, una serie di leggi approvate nel Dicembre del 2003, hanno ridotto gli ammortizzatori sociali e hanno limitato i diritti sindacali e le libertà civili. La violazione dei diritti è stata fatta passare come Legge Anti-Terrorismo, con argomentazioni ormai familiari per noi dopo l’11 settembre. I tagli allo stato sociale sono stati in linea con le richieste di austerità derivanti dai Piani di Aggiustamento Strutturale del Fondo Monetario Internazionale, così come i massici sforzi per incrementare le privatizzazioni. Circa 30.000 lavoratori pubblici sono stati licenziati; nei progetti del governo altri 40.000 perderanno il posto di lavoro.

Il risultato di queste tendenze è una disoccupazione ufficiale che si attesta al 20% mentre quella reale è molto più alta, come anche la sottoccupazione. L’adesione al sindacato dal 12% di dieci anni fa è crollata al 3,2%.

Sia la repressione legale che quella illegale dei sindacati in Colombia è largamente percepita come al servizio degli interessi delle multinazionali. Infatti la delegazione ha ascoltato numerosi racconti, durante la sua permanenza in Colombia, sulla collusione tra aziende e paramilitari – storie di campagne di terrore dove in migliaia sono stati uccisi o cacciati dalle loro terre dai paramilitari subito prima dell’ingresso di una multinazionale in una determinata area. Pertanto, le accuse contro Coca-Cola circa il suo ruolo rispetto alle violenze contro i suoi lavoratori, costituiscono un dato normale, piuttosto che eccezionale.

Il Sindacato Nazionale dei Lavoratori delle Industrie alimentari (SINALTRAINAL) è il sindacato nazionale del settore alimentare, che rappresenta i lavoratori colombiani della Coca-Cola. Nel Luglio del 2001 il SINALTRAINAL, in collaborazione con il UNITED STEELWORKERS OF AMERICA (USWA) e con l’INTERNATIONAL LABOR RIGHTS FUND (ILRF) ha intrapreso un procedimento presso la Corte del Distretto Sud-Est degli Stati Uniti in Florida contro la Coca-Cola Company e le sue controllate colombiane.

La denuncia legale, un’azione civile basata sull’ ALIEN CLAIMS TORT ACT (ACTA) registrata presso la Corte Distrettuale Federale del Distretto Sud della Florida con il No 01-03208-CIV in data 21 Luglio 2001, asserisce che le controllate della Coca-Cola in Colombia siano coinvolte in una campagna di terrore e omicidi nei confronti della loro forza-lavoro sindacalizzata attraverso l’utilizzo di truppe paramilitari delle AUC. Poco dopo, la Coca-Cola ha presentato denunce presso una corte colombiana contro coloro che l’hanno querelata negli USA per calunnia e diffamazione, chiedendo 500 milioni di pesos di risarcimento.

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IV. FONTI E ACQUISIZIONE DATI


Durante la permanenza in Colombia, la delegazione ha visitato Bogotà, Barranquilla, Barrancabermeja, Cali e Bugalagrande. Si è incontrata con i lavoratori Coca-Cola che sono stati vittima di violenza, intimidazione, rappresaglia e minacce, e con lavoratori e altre persone che sono stati testimoni di queste azioni. La delegazione si è incontrata anche con organizzazioni e attivisti impegnati per i diritti umani, altri sindacati, organizzazioni sociali e diversi rappresentanti del Governo. Questi incontri ulteriori hanno fornito un quadro generale e in alcuni casi la verifica indipendente delle accuse del sindacato contro l’azienda. La delegazione ha filmato tutte le testimonianze ricevute dai lavoratori della Coca-Cola, e, al suo ritorno negli Stati Uniti, ha visionato l’intera documentazione videoregistrata per la redazione di questo rapporto.

I lavoratori della Coca-Cola e i loro familiari più stretti che sono stati intervistati comprendono:
Anonimo 1, Barranquilla, 11 Gennaio
Limberto Carranza, Barranquilla, 11 Gennaio
Anonimo 2, Barranquilla, 11 Gennaio
Anonimo 3, Barranquilla, 11 Gennaio
Anonimo 4, Barranquilla, 11 Gennaio
Oscar Giraldo, Bogotà. 12 Gennaio
Hernan Manco, Bogotà, 12 Gennaio
William Mendoza, Barrancabermeja, 14 Gennaio
Jose Domingo Flores, Barrancabermeja, 14 Gennaio

Inoltre, la delegazione si è incontrata con i dirigenti nazionali del SINALTRAINAL, in particolare Javier Correa, presidente del sindacato, ed Edgar Paez, segretario per gli Affari Internazionali. In data 12 Gennaio ha ricevuto una presentazione in Power Point intitolata “Accumulazione di capitale e violazione dei diritti umani” che analizza la struttura aziendale di Coca-Cola, le strategie economiche, le pratiche di impiego della forza lavoro e i profitti, ed è stata consegnata una copia per le sue registrazioni documentali. Inoltre, abbiamo acquisito un libro con una storia dettagliata della Coca-Cola in Colombia, “Una delirante ambizione imperiale”, Edizioni Universo Latino, Bogotà, 2003.

Il 13 Gennaio, la delegazione ha incontrato due rappresentanti della Coca-Cola/FEMSA a Bogotà, Juan Manuel Alvarez, direttore dell’Ufficio Risorse Umane, e Juan Carlos Dominguez, manager dell’Ufficio Affari Legali. I membri della delegazione hanno cercato, mentre erano ancora a New York, di organizzare delle visite all’interno degli impianti di imbottigliamento Coca-Cola. Questa richiesta è stata reiterata nel corso dell’incontro del 13 Gennaio (v. Allegato D), e la delegazione a questo punto ha chiesto specificatamente che gli fosse consentito l’accesso all’impianto di Barrancabermeja. I dirigenti dell’azienda hanno rifiutato nettamente. Nel corso dell’incontro con Alvarez e Dominguez, questi hanno promesso che avrebbero inviato l’ampia documentazione a cui hanno fatto riferimento. Ad oggi, nulla di questo materiale è stato ricevuto all’infuori di una lettera dal Quartier generale di Atlanta che conferma che questi materiali saranno forniti (v. Allegato H).

La delegazione ha ricevuto informazioni sulla pratiche di impiego della Coca-Cola e sulla violenza contro i suoi lavoratori da diversi altri soggetti, al fine di inquadrare in maniera più ampia il contesto sociale, economico e politico. A Barrancabermeja, la delegazione ha incontrato in data 14 Gennaio il CREDHOS, una organizzazione locale attiva sul fronte dei diritti umani, e la Organizacion Femenina Popular, un’organizzazione di donne, il 15 Gennaio. A Cali, il 17 Gennaio, c’è stato un colloquio con Diego Escobar Cuellar, rappresentante di ASONAL JUDICIAL, l’associazione di lavoratori del settore giudiziario. Escobar ha fornito un quadro agghiacciante del problema dell’impunità, descrivendo in dettaglio la corruzione interna al sistema giudiziario e la sua crescente alleanza con i paramilitari. “Giustizia colombiana è un ossimoro”, ha dichiarato ai membri della delegazione.

La delegazione si è incontrata anche con numerosi esponenti del Governo e del mondo politico con cui ha discusso del caso Coca-Cola. Questi incontri si sono svolti con: i deputati Wilson Borja e Gustavo Pedro; Daniel Garcia Pena, assistente del sindaco di Bogotà Lucho Garzon; membri dell’Ufficio esecutivo del Frente Social y Politico, formazione politica di sinistra; il Sindaco di Cali Apolinar Salcedo Caicedo; e il Consiglio Comunale di Cali.

All’inizio del viaggio, la delegazione si è incontrata anche con due membri dello staff dell’ambasciata statunitense, Craig Conway e Stuart Tuttle, che all’epoca erano delegati ai Diritti Umani.

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V. ACCERTAMENTI

Le pratiche di impiego della Coca-Cola in Colombia, sia quelle legali che quelle illegali, hanno avuto l’effetto di abbassare notevolmente i salari, gli standard di lavoro e la sicurezza sul lavoro per i dipendenti della Coca-Cola, e simultaneamente di decimare il sindacato SINALTRAINAL. Entrambe queste tendenze sono state rafforzate dalle raccapriccianti violazioni dei diritti umani, che i lavoratori hanno sofferto per mano delle forze paramilitari.

L’azienda respinge ogni coinvolgimento nelle minacce, negli assassini, nei sequestri, e nelle altre tattiche di terrorismo, ma la sua incapacità di proteggere i suoi lavoratori anche all’interno delle proprietà della compagnia, il suo rifiuto di indagare le persistenti accuse di pagamenti ai paramilitari da parte dei capi degli impianti, e la sua riluttanza a condividere la documentazione che potrebbe portare a diverse conclusioni, conduce la delegazione alla conclusione che Coca-Cola è complice nelle violazioni dei diritti umani dei suoi lavoratori in Colombia.



Pratiche di impiego

Durante la scorsa decade, Coca-Cola ha proceduto alla centralizzazione della produzione presso i suoi impianti colombiani allo stesso tempo in cui ha decentralizzato la sua forza lavoro. Così facendo, ha chiuso o ridotto molti dei suoi impianti di imbottigliamento e ha fatto ricorso sempre più a lavoro in subappalto. Come denunciato dal sindacato, tali pratiche violano la legge vigente. Dal Settembre del 2003, Coca-Cola FEMSA ha chiuso le linee di produzione presso 11 dei suoi 16 impianti di imbottigliamento.

Inoltre, la ristrutturazione della forza lavoro ha abbattuto il numero di lavoratori della Coca-Cola. Dal 1992 al 2002 circa 6700 lavoratori della Coca-Cola in Colombia hanno perso il posto. L’88% dei lavoratori dell’azienda ora è costituito da lavoratori a tempo determinato e non sindacalizzati. Negli ultimi dieci anni i salari sono stati ridotti del 35% per questi lavoratori precari, ed essi guadagnano un quarto dei lavoratori sindacalizzati. I precari non hanno tutele sul lavoro, né assistenza sanitaria, né diritto di organizzarsi.

L’azienda ha fatto continuamente pressioni sui lavoratori perché rinunciassero alla loro appartenenza al sindacato e alle loro garanzie contrattuali. Dal Settembre del 2003, ha fatto pressione su 500 lavoratori perché rinunciassero ai loro contratti collettivi in cambio di un pagamento forfettario. A Barranquilla la delegazione ha ascoltato anche la testimonianza di tre lavoratori della Coca-Cola che hanno dichiarato di essere stati licenziati per aver partecipato agli incontri del sindacato. Due di loro hanno affermato che ora loro e le loro famiglie soffrono la fame e non hanno di che coprire le loro necessità vitali.

Molti dei leader sindacali della Coca-Cola hanno resistito a queste pressioni e hanno rifiutato di rassegnare le dimissioni. Da quando la delegazione è rientrata dalla Colombia, l’azienda ha aumentato la pressione su questi leader, richiedendo con successo al Ministero Colombiano per la Protezione Sociale l’autorizzazione per licenziare 91 lavoratori, il 70% dei quali sono dirigenti sindacali. Il SINALTRAINAL lo ha chiamato “lo sforzo finale di Coca-Cola per eliminare il sindacato”.

In risposta il SINALTRAINAL ha intrapreso uno sciopero della fame di 12 giorni il giorno 15 Marzo, in otto città colombiane, per protestare contro la chiusura di 11 fabbriche avvenuta lo scorso anno. Queste chiusure sono il risultato delle dimissioni forzate di 500 lavoratori, malgrado la legge colombiana e nonostante il contratto collettivo gli garantisse il diritto di essere trasferiti da un impianto all’altro. Due scioperanti sono stati ricoverati in ospedale prima che la FEMSA, una sussidiaria della Coca-Cola, accettasse di sedersi al tavolo negoziale con i dirigenti sindacali. L’inizio delle contrattazioni è programmato per lo stesso giorno in cui questo rapporto viene pubblicato, il 2 Aprile.


Violenza extra-legale

La distruzione del sindacato, e con essa la possibilità di abbattere i salari ed eliminare i benefici, è anche lo scopo della campagna di violenza e terrore diretta nei confronti dei membri del sindacato presso gli impianti Coca-Cola. Complessivamente ci sono stati un totale di 179 violazioni dei diritti umani di lavoratori Coca-Cola, compresi 9 omicidi. Sebbene la violenza sia praticata dai paramilitari piuttosto che da soggetti dell’azienda, il sindacato ha documentato la coincidenza temporale tra le trattative sindacali e i periodi di maggiore violenza contro i lavoratori.

La delegazione ha ascoltato testimonianze di dozzine di lavoratori Coca-Cola e loro familiari che sono stati vittime di violenze e terrore o che sono stati testimoni oculari dei fatti. La mole di queste testimonianze è schiacciante, e il quadro che ne emerge è inconfutabile: i lavoratori sindacalizzati e soprattutto i leader e gli attivisti sindacali sono stati ripetutamente bersaglio nello sforzo di ridurre al silenzio il sindacato e di annientare la sua capacità di negoziare condizioni migliori per i suoi membri.

A Barranquilla, la delegazione ha ascoltato il figlio di Adolfo Munera, un lavoratore della Coca-Cola che fu assassinato nell’Agosto del 2002. Egli ha dichiarato alla delegazione:
"Mio padre era una persona onesta e amichevole e un grande lavoratore. Iniziò a lavorare per la Coca-Cola nel 1993. Aderì al sindacato della Coca-Cola ed iniziò a lavorare per i diritti dei suoi colleghi. Proprio per questo, arrivò una denuncia dall’azienda. Loro [le forze di sicurezza del Governo] fecero irruzione in casa il 6 Marzo del 1997; arrivarono, entrarono con la forza e perquisirono dappertutto. Poi lanciarono false accuse contro mio padre. Con l’aiuto del sindacato, mio padre assunse un avvocato e preparò la sua difesa. Quella volta, l’azienda dichiarò mio padre assente dal lavoro. Durante quel periodo, mio padre dovette scappare in esilio e muoversi da un posto all’altro. Lo licenziarono per la sua assenza dal lavoro e a quel punto chiedemmo aiuto. Grazie al sindacato che ci diede quel supporto, approntammo la difesa. Sfortunatamente l’azienda gli fece consegnare una lettera di licenziamento e allora lui andò al confino per cinque anni. Nell’Agosto del 2002 fu assassinato sulla porta della casa di sua madre".


Liberto Carranza, un lavoratore della Coca-Cola e attivista sindacale a Barranquilla, ci ha raccontato il rapimento del suo figlio di 15 anni, Jose David:
"Sto parlando alla Commissione Internazionale come padre. Mio figlio fu preso l’11 Settembre dello scorso anno [2003]. Un paio di uomini incappucciati lo presero mentre tornava a casa dalla scuola in bicicletta. Lo trattennero e lo portarono in giro per la città di Soledad, dove vivevamo all’epoca. Fu malmenato, cioè torturato. In seguito fu lasciato in un fosso tramortito ed in stato di semi-inconscienza. Chiesero a mio figlio di me. Dal momento in cui iniziarono a picchiarlo, gli chiesero dove fossi e in cosa fossi coinvolto. Poi gli dissero che in ogni caso avevano intenzione di uccidere suo padre. Mio figlio è stato picchiato…fino ad oggi…non si è ripreso, non può far finta di niente. Non riesce a superare lo shock psicologico."

"Per quanto ci riguarda la cosa più importante è che il 9 iniziammo quella che può essere ritenuta la battaglia più dura con la dirigenza, quando l’azienda rese pubblica la sua intenzione di chiudere gli impianti di Cartagena, Monteria e Valledupar. Organizzammo la mobilitazione dei lavoratori affinché rifiutassero il piano proposto dall’azienda per il così detto “pre-pensionamento”. Loro iniziarono un gioco di intimidazione, portando i lavoratori in diversi hotel di queste città, per convincerli ad accettare il piano e ad abbandonare i diritti di tutela sul lavoro previsti nei loro contratti. Quale fu la risposta alla nostra mobilitazione? Il giorno successivo sequestrarono mio figlio".

Non è stato questo l’unico caso di violenza nei confronti dei familiari di cui la Commissione ha avuto testimonianza. Si tratta forse della più orribile forma di terrore; si dice che il Cardinale Richelieu, primo ministro di Luigi XIII nel XVII secolo, abbia rimarcato: “un uomo con una famiglia può essere costretto a fare qualsiasi cosa”. Tra le altre storie di minacce contro le famiglie, c’è quella di William Mendoza, presidente della sezione locale del sindacato a Barrancabermeja. Ha raccontato come tre uomini cercarono di sequestrare sua figlia di quattro anni l’8 Giugno del 2002, ma il tentativo fu sventato dalla madre, che si aggrappò tenacemente alla figlia. Gli uomini allora iniziarono a picchiarla, ma le sue urla ripetute attirarono l’attenzione e i tentati sequestratori lasciarono perdere. Dopo questo fatto, Mendoza afferma che un comandante locale dei paramilitari lo chiamò:

Disse: “Ascolta, sei stato fortunato oggi, volevamo rapire tua figlia”. Continuò: “volevamo ucciderla, così avresti finito di raccontare stronzate sui paramilitari e sulla Coca-Cola”. Questo perché qui a Barranca noi abbiamo denunciato il paramilitarismo e le sue probabili connessioni con la Coca-Cola. Dicono che se ricomincio a parlare, se non mi sto zitto, qualcosa succederà ai miei familiari. Ho denunciato il fatto alla polizia e non ho visto nessuna persona arrestata, e l’ufficiale di polizia non mi ha detto a che punto sono le indagini….I miei figli vanno a scuola con l’auto blindata per proteggerli. E’ una situazione veramente difficile.

E non si tratta dell’ultima volta che un familiare di Mendoza è stato minacciato:
Il 17 Gennaio dello scorso anno [2003] ho ricevuto una chiamata a casa per mia figlia Paola. Gli chiesero se sua madre e suo padre fossero lì. Le dissero di avvertirli di stare molto attenti. Le chiesero dove studiava, lei rispose in una certa scuola e loro dissero che lei stava mentendo e che sapevano che lei andava in un’altra scuola, e anche che “proprio in questo momento tuo fratello sta facendo dei lavoretti in cortile”. Ed in quel momento mio figlio di dieci anni stava lì fuori a pulire la facciata della casa. Ovviamente stavano tenendo la nostra casa sotto sorveglianza.

La delegazione ha parlato con due sopravissuti della campagna dei paramilitari per distruggere il sindacato a Carepa, nella regione dell’Urabà, tra il 1995 e il 1996. E’ qui che il leader sindacale Isidro Segundo Gil fu colpito con sette colpi di arma da fuoco dai paramilitari all’interno l’impianto di imbottigliamento della Coca-Cola. Alcune ore dopo, la sede cittadina del sindacato fu data alle fiamme. E due giorni dopo, i paramilitari tornarono all’impianto, misero in fila tutti i lavoratori, diedero loro lettere prestampate di dimissioni dal sindacato e li fecero firmare sotto minaccia di morte. Le lettere furono scritte e stampate con i computer aziendali. Il risultato, non sorprendente, è che il sindacato lì fu annientato e i suoi leader, temendo per la propria vita, fuggirono.

L’assassinio di Gil fu uno dei cinque avvenuti presso l’impianto di Carepa, insieme a molte sparizioni e sequestri. Oscar Giraldo era a quel tempo il vice-presidente del sindacato locale. Prima che Gil venisse assassinato, la prima commissione esecutiva del sindacato era stata cacciata dalla città e lo stesso fratello di Giraldo, Vicente Enrique Giraldo, assassinato. Giraldo ha descritto la completa impunità di cui godettero gli assassini di Gil: “La polizia venne a prelevare il corpo e non fece nessuna indagine. La stessa cosa avvenne con mio fratello, vennero a prelevare il suo corpo e nessuno fece nessuna, nessunissima indagine”.

Ad ogni modo non era solo l’impunità da parte della Procura dello Stato che Giraldo testimoniava. Egli ha osservato anche legami tra l’azienda e i paramilitari. Egli ha dichiarato alla delegazione che “un supervisore mi disse che Mosquera [il direttore dell’impianto] aveva intenzione di stroncarci, e tre giorni dopo ci fu l’assassinio di Isidro Gil.” Ariosto Milan Mosquera ha lasciato la città poco prima dell’assassinio, giusto dopo che il sindacato aveva presentato la sua piattaforma contrattuale all’azienda. Giraldo ha ricordato:

I paramilitari potevano circolare all’interno dell’azienda senza problemi, arrivavano ed entravano senza ostacoli, e il direttore continuava a dire che doveva liberarsi del sindacato. Egli inoltre beveva con i paramilitari e si mostrava in pubblico con loro, tutti ce lo dicevano. E mi fu detto dal supervisore (...) che il piano era di sbarazzarsi del sindacato. Sono sicuro che ai paramilitari fu chiesto dall’azienda di distruggere il sindacato. C’era l’esercito, c’era la polizia in città, i paramilitari vivevano proprio lì, la polizia non ha mai fatto nessun tentativo per fermarli. Alcuni di loro erano nostri concittadini, altri forestieri. E Coca-Cola era un cliente dei paramilitari.

Attacchi e minacce sono continuati. Per esempio Luis Edoardo Garcia e Jose Domingo Flores, attivisti sindacali di Bucaramanga che la delegazione ha intervistato a Barrancabermeja, hanno raccontato alla delegazione di come furono vittime di aggressioni fisiche l’11 settembre 2003. Juan Carlos Galvis è sopravvissuto ad un tentativo di omicidio il 22 Agosto 2003.


Inazione e complicità della Coca-Cola

Le prove circostanziali della complicità di Coca-Cola nella repressione della sua forza lavoro sindacalizzata abbondano. Ad esempio la coincidenza sospetta, riportata alla delegazione da molteplici fonti sindacali, di ondate di violenza anti-sindacale durante le vertenze contrattuali tra sindacato ed azienda. L’analisi del sindacato rivela anche che i picchi nei profitti dell’azienda si sono verificati nei periodi di repressione più intensa.

Oltre a queste correlazioni, ci sono preoccupanti testimonianze oculari secondo cui i paramilitari avrebbero libero accesso agli impianti Coca-Cola e intratterrebbero rapporti con i manager aziendali.

Quando la delegazione si è recata a Barrancabermeja, è stato condotto un test sull’accessibilità fisica degli impianti al fine di comprendere con maggiore precisione che cosa implichi l’accesso dei paramilitari nelle proprietà dell’azienda. L’impianto di Barrancabermeja è circondato da un recinto metallico alto dieci piedi. L’ingresso è controllato da un cancello presidiato, che rimane chiuso. E’ semplicemente impossibile guadagnare l’ingresso all’impianto senza la consapevolezza ed il permesso dell’azienda. E’ impossibile evitare la conclusione che i paramilitari fossero presenti all’interno degli impianti di imbottigliamento con la piena consapevolezza e/o la tacita approvazione dell’azienda.

La delegazione ha anche ascoltato testimonianze da diverse fonti secondo cui ci sarebbero stati pagamenti ai paramilitari da parte dei manager locali della Coca-Cola. Nel corso dell’incontro del 13 Gennaio tra la delegazione e i rappresentanti della Coca-Cola/FEMSA (v. Allegato F) Juan Manuel Alvarez e Juan Carlos Dominguez, queste accuse sono state respinte con vigore. Tuttavia, Alvarez e Dominguez erano a conoscenza del fatto che i funzionari della Coca-Cola non avessero mai disposto alcuna inchiesta interna o esterna rispetto a tali accuse, né rispetto ad alcuna delle centinaia di violazioni dei diritti umani sofferte dai lavoratori della compagnia.

I rappresentanti dell’impresa erano anche consapevoli della possibilità che persone assunte dalla azienda – anche se agendo senza autorizzazione – potessero aver lavorato o avuto contatti con paramilitari. Questa ammissione rende ancor più scioccante la mancanza di indagini sui collegamenti con i paramilitari. Alvarez e Dominguez hanno anche sostenuto che l’azienda assistesse i lavoratori nella presentazione delle denunce alle autorità governative rispetto alla continua persecuzione dei paramilitari contro l’attività sindacale e hanno promesso di mettere a disposizione la relativa documentazione; ad oggi, tuttavia, nessuna documentazione è stata ricevuta dalla delegazione, nonostante le lettere di sollecitazione.

Lo scambio del 13 Gennaio rispecchia l’esperienza della delegazione con Coca-Cola nel corso del suo dialogo con la compagnia. Diverse richieste di documentazione sono rimaste senza risposta o inevase. La Coca-Cola ha mostrato, nella migliore delle ipotesi, disprezzo per le vite dei suoi lavoratori, che sono stati minacciati, picchiati, sequestrati, esiliati e uccisi, mentre l’azienda non ha ritenuto opportuno svolgere indagini su questa grave turbativa che sta affliggendo la sua forza lavoro.


Rappresaglie legali

I sospetti che la risposta dell’azienda alla situazione dei suoi lavoratori oscilli dall’indifferenza all’intimidazione deliberata sono avvalorati dal ripetuto ricorso della Coca-Cola a denunce penali contro gli attivisti sindacali.

Nel 1996 sei membri del sindacato dell’impianto di Bucaramanga furono arrestati dopo che il responsabile della sicurezza della Coca-Cola li accusò di aver messo una bomba nell’impianto. Le denunce penali furono portate avanti nei confronti di tre di loro ed essi furono incarcerati per tre mesi finché le denunce vennero respinte  dalla pubblica accusa perché in quanto prive di fondamento. La delegazione ha ascoltato testimonianze da diversi di questi lavoratori, che hanno raccontato con dettagli raccapriccianti la sofferenza della loro ingiusta detenzione, a volte in condizioni disumane. I lavoratori e le loro famiglie non sono mai stati risarciti per le sofferenze patite e qualcuno riporta problemi e disturbi derivanti da stress post-traumatico a causa della sua esperienza in carcere. Coca-Cola ha omesso di condannare queste incarcerazioni dei lavoratori o le false denunce presentate contro di loro dalle sue stesse società affiliate.

Più recentemente, la compagnia ha presentato denunce penali nei confronti di alcuni di coloro che hanno presentato querela nel processo federale iniziato nel 2001 contro l’azienda presso la Corte Distrettuale Federale del Distretto Sud della Florida in base all’Alien Claims Tort Act (ACTA). Nel corso dell’incontro del 13 Gennaio a Bogotà, Dominguez ha definito queste denunce penali come una conseguenza del processo basato sull’ACTA, alla delegazione ciò è apparso come se l’azienda intendesse le denunce come una rappresaglia diretta. Poco dopo che la delegazione aveva fatto ritorno dalla Colombia, il 26 Gennaio 2004, il procuratore colombiano competente per la causa della Coca-Cola contro i lavoratori che avevano presentato denuncia nel processo negli Stati Uniti, ha respinto le accuse di calunnia e diffamazione perché prive di fondamento. E’ la seconda volta che le denunce della Coca-Cola contro i suoi impiegati sono state respinte dalle Corti Colombiane. Ciononostante la Coca-Cola persiste senza tregua nella sua strategia legale; la compagnia ha infatti presentato denunce simili contro gli impiegati a Valledupar.

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VI. CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

La delegazione ritiene sia la quantità che la qualità delle accuse dei lavoratori della Coca-Cola scioccanti e convincenti. Appare innegabile che i lavoratori della Coca-Cola sono stati sistematicamente perseguitati per la loro attività sindacale. Appare parimenti evidente che la compagnia ha permesso, se non orchestrato direttamente, le violazioni dei diritti umani dei suoi lavoratori, che hanno duramente compromesso il sindacato dei lavoratori ed il loro potere contrattuale.

Di fronte a questa evidenza, è davvero sconcertante la persistente tesi della Coca-Cola secondo cui non è configurabile una qualsiasi responsabilità a suo carico per la campagna di terrore contro i suoi lavoratori, come anche l’assenza assoluta di indagini sui collegamenti tra azienda e paramilitari. La delegazione ha intrapreso un dialogo approfondito con la compagnia su questi fatti ormai quasi da un anno, e deve ancora ricevere una qualsiasi documentazione che supporti le sue smentite rispetto alla complicità in questa situazione. La delegazione continuerà a fare pressione per ottenere gli specifici documenti che sono stati promessi e per esortare l’azienda a prendere urgentemente i provvedimenti necessari per dare soluzione alla crisi relativa ai diritti umani rappresentata dalla sua forza lavoro colombiana.

Nello specifico, la delegazione rinnova le sue richieste per:

(1)   Il ritiro di tutte le denunce criminali in rappresaglia contro i suoi impiegati. La delegazione è preoccupata per gli agghiaccianti effetti dovuti al fatto che una compagnia come la Coca-Cola usi denunce di rappresaglia contro i suoi lavoratori che hanno usato il sistema legale per esprimere il loro malcontento.

(2)   Una dichiarazione pubblica della Coca-Cola a favore del diritto internazionale del lavoro in Colombia, di denuncia della violenza anti-sindacale e di inizio di un’inchiesta, anche se in grave ritardo, sulle accuse dei lavoratori. La delegazione ritiene che l’evidente rifiuto della Coca-Cola di indagare denunce di natura piuttosto grave contro i suoi impiegati dia l’impressione di indebolire il suo supporto ai diritti umani e del lavoro. Almeno una dichiarazione e un’indagine servirebbero a far crescere la fiducia dei consumatori a livello internazionale nella condotta aziendale della compagnia.

(3)   Una commissione indipendente sui diritti umani. Una commissione indipendente sui diritti umani è necessaria per valutare tutte le accuse e  le condizioni degli impianti, per determinare la credibilità delle minacce e identificare i potenziali strumenti per proteggere i diritti dei lavoratori, per verificare la credibilità della Coca-Cola come buon cittadino globale. Al fine di mantenere credibilità e obiettività, la commissione potrebbe essere costituita in egual misura da membri della Coca-Cola, del SINALTRAINAL e da altri rappresentanti sindacali di livello ed esperti internazionalmente riconosciuti in diritti umani.

La delegazione continuerà a prodigarsi per persuadere la Coca-Cola a prendere questi urgenti e necessari provvedimenti e a dimostrare  che non vengono tollerati profitti sovvenzionati dal terrore.

La delegazione richiama inoltre tutte le persone di coscienza a partecipare a questi sforzi. Facciamo appello ai consumatori perché si mettano in contatto con la compagnia  e aggiungano la loro voce all’appello per la responsabilità d’impresa. Facciamo appello agli azionisti perché esercitino il loro potere di proprietà nella compagnia. Facciamo appello alle chiese, alle organizzazioni degli studenti, ai gruppi locali e alle associazioni civiche perché si sentano coinvolte. Inviamo un appello particolare ai sindacati perché dimostrino la loro solidarietà con i loro fratelli e sorelle della Colombia, perseguitati per l’esercizio dei diritti sindacali internazionalmente riconosciuti. E facciamo appello ai membri del governo e a tutti i rappresentanti di questi elettori, perché si battano per i diritti umani e per gli ideali della democrazia americana, che garantisce la libertà di associazione.

Insieme, in quanto stakeholder della Coca-Cola, ognuno di noi deve sfidare questa compagnia, simbolo in tutto il mondo dell’impresa americana, a mettere fine alla sua complicità nella repressione dei lavoratori colombiani.

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