CIAO, BELLA
Testata: IL MANIFESTO
Autore: Alessandro Portelli
Data: 28 marzo 2008
A metà anni '60, i braccianti chicanos in sciopero in California
cantavano, oltre ai corridos, una versione in spagnolo di «Bella
Ciao». Un paio d'anni fa, un gruppo di ragazzi turchi incontrati per
strada a Roma ce ne cantò un'altra versione, naturalmente in turco.
La sentii, negli anni '80, in non so più che raduno di gente di
sinistra in Inghilterra. Insomma: se c'è una canzone globale e
alternativa insieme, è «Bella Ciao». E, come ogni cosa davvero
globale, è normale che finisca nel tritatutto globale della
pubblicità. Abbiamo fatto pubblicità con Gandhi e con Cristo, non
c'è da sorprendersi che una bevanda messicana prodotta dalla Coca
Cola si promuova con questo allegro motivetto internazionale.
Infatti, se uno è abbastanza ignorante da non sapere che storia c'è
dentro questa canzone e abbastanza sfacciato da fregarsene, «Bella
Ciao» è un jingle perfetto: con alto tasso di riconoscibilità,
facile da ricordare e ricantarsi distrattamente, carico di ottimismo
amicale con quel «bella» e quel «ciao» così in armonia con la
convivialità giovanilistica della Coca Cola. Persino ludico - ci
insegnava Roberto Leydi che quel ritornello, con l'allegro battito
delle mani, veniva da un gioco di bambini da qualche parte fra il
Veneto e l'Istria.
E poi, a pensarci bene, ai pubblicitari non dev'essere neanche
dispiaciuta quella vaga aura di «libertà» che forse ancora associano
alla canzone.
In fin dei conti, jingle e spot oggi parlano continuamente di
libertà; ma la libertà che ci propongono oggi è una libertà limitata
di consumatori, una bibita invece di un'altra, un'automobile, un
dentifricio, invece di un altro che gli somiglia. Un prodotto
politico invece di un altro, la globale libertà di scelta di noi
popolo delle libertà. Se questo è quello che resta della libertà per
cui è morto (e vissuto) quel partigiano, è normale che il funerale
glielo canti la Coca Cola in Messico.
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