FUORI
COCA-COLA DALLE FONTI DEL VULTURE: PER LA RIPUBBLICIZZAZIONE
DELL'ACQUA
Autore: Gruppo Consiliare PRC alla Regione Basilicata - Dipartimento
Regionale Territorio PRC
Data: 23 febbraio 2006
Articolo collegato: http://www.nococacola.info/killamulti/cocacola/news/2006_02_14_acqua_traficante.html
23 febbraio 2006.
La Coca-Cola, nuova proprietaria della Traficante rilancerebbe
l’immagine delle nostre acque minerali e garantirebbe
l’incremento dell’occupazione.
Il Gruppo di Rifondazione Comunista presenta oggi un disegno di
legge per restituire alla Regione la titolarità del rilascio delle
concessioni estrattive e per adeguare canoni concessori e royalties.
Quello dell’acqua minerale è uno dei grandi business degli ultimi
anni.
Alla base c’è un prodotto, l’acqua, che è un bene demaniale,
naturale. Imbottigliato, distribuito e pubblicizzato arriva a
costare dalle 500 alle 1000 volte in più rispetto all’acqua di
rubinetto, che nessuno pubblicizza (nel caso della Traficante,
abbiamo calcolato che costa circa 700 volte in più) .
In Basilicata si producono (dati ufficiali 2003) oltre un miliardo
di litri di acqua minerale imbottigliati da quattro aziende che
utilizzano le sorgenti e vantano diverse etichette. All’ingrosso,
l’acqua minerale lucana costa 0,10 centesimi di euro/litro, pari a
euro 113.300.000 complessive. Al dettaglio – si paga 0,27
centesimi di euro, complessivamente pari a circa 283.000.000 di
euro. Le royalties incassate dalla Regione per il 2003 ammontano
appena a 305.000 euro.
Con una leggina di fine legislatura (L.R. 21/2005) – riteniamo per
spianare la strada all’impresa Coca-Cola – sono state apportate
modifiche al testo normativo del 1996 (L.R. 43) al fine di:
1 - ‘superare’ lo scoglio del divieto di trasferimento della
concessione di sfruttamento della concessione senza l’apposita
autorizzazione regionale (art. 7);
2 - trasformare ‘l’esoso’ canone annuo della concessione da
lire in euro, conservandone l’effettivo importo in 5,16 per ogni
ettaro oggetto del permesso;
3 - conseguire un ulteriore ricavo per la Regione, pari a 0,003 euro
per litro (art. 42). Con l’art. 46-bis – così come modificato
dalla LR 21/2005 – il contributo non viene più riferito all’emunto
(la quantità prelevata e risultante dal contatore), ma alla quantità
‘imbottigliata’, vale a dire, inferiore di circa nove volte il
prelevato. Il contributo è pari 0,00025 euro per litro.
E’un mercato quello della minerale che gli esperti definiscono
saturo (con sei imprese in Italia che controllano il 70% del
business) e le nostre lucane (che non hanno mai voluto associarsi)
schiacciate dal peso degli ingenti investimenti pubblicitari dei
grandi gruppi).
Un mercato straricco, con un costo per le aziende che utilizzano le
sorgenti demaniali che può definirsi ridicolo.
Lo sfruttamento delle fonti avviene con il sistema delle concessioni
pubbliche, da cui lo Stato, in base a un vecchio Regio Decreto del
1927, ricava pochi spiccioli (meno di circa 500 mila euro a livello
nazionale).
Tanto che per molte Regioni, compresa la nostra, il ricavato è
inferiore alle spese sostenute per la contabilità delle
concessioni, oltre che per lo smaltimento – a carico della Regione
- delle bottiglie di plastica.
Purtroppo, l’origine sotterranea dell’acqua, non garantisce per
la sua purezza, stante la possibilità che agenti inquinanti, siano
essi di origine industriale o agricola o dovuti alle piogge acide,
penetrino nel sottosuolo con effetti devastanti. La legislazione
italiana in materia è insufficiente sotto vari profili, e
inadempiente rispetto agli obblighi imposti dalla normativa europea.
In sostanza, si potrebbe acquistare acqua minerale contenente
arsenico, cadmio, piombo, nitrati o idrocarburi in una quantità
tale da certificare come non potabile l’acqua del rubinetto. La
legge italiana considera le acque minerali come acque medicinali, in
considerazione delle sostanze disciolte che “sono dotate di
particolari virtù terapeutiche”, e non impone – contravvenendo
alle Direttive europee – che sulle etichette vengano specificate
tutte le sostanze presenti, soprattutto quelle che costituiscono un
rischio per la salute.
Che sia un grande affare per le grandi imprese lo si ricava - ancor
in queste settimane - dal rilevamento della Traficante da parte
della Coca-Cola (35 milioni di euro il prezzo pagato per il
passaggio di titolarità dell’azienda), che contribuisce
attivamente al processo di forte concentrazione del settore.
Eppure, la migliore acqua da bere non si trova necessariamente in
una bottiglia. Se vogliamo bere acqua pura dobbiamo porre maggiori
sforzi nel proteggere fiumi, laghi e falde idriche, e poi investire
in modo che tale acqua arrivi in modo sicuro al consumatore
attraverso i rubinetti. E non è certamente migliore solamente perché
costa 700 volte più di un litro di acqua potabile.
Il successo di mercato delle acque minerali è scandaloso: un
fenomeno di sfruttamento a fine di lucro di un bene demaniale
pubblico, che avviene col beneplacito formale ed esplicito delle
autorità pubbliche, com’è il caso della Regione Basilicata che
ha addirittura peggiorato – con una leggina di fine legislatura
nel 2005 – il prezzo già ridicolo della concessione e stabilendo
che le royalty siano calcolate sull’imbottigliato anziché sull’emunto.
(Che fine fanno le altre centinaia e centinaia di migliaia di litri
estratti?).
Ma, a questo punto della mercificazione dell’acqua attraverso il
potente stimolo della pubblicizzazione delle ‘miracolose’ acque
minerali, bisogna fare i conti con una domanda che si fanno
finanzieri e consumatori: perché impedire di vendere e acquistare
l’acqua potabile come qualsiasi altra merce? Che differenza c’è
tra l’acqua minerale e l’acqua potabile? Attirata dagli alti
livelli di profitto e da allettanti promesse future del business
acqua, un’impresa come Coca-Cola entra prepotentemente nel
settore, introducendo – tra l’altro - un nuovo tipo di “acqua
da bere”, l’acqua “purificata” – ricavata dall’acqua
d’acquedotto demineralizzata e declorizzata.
E così, il legislatore sta autorizzando anche in Italia la vendita
in bottiglia dell’acqua di rubinetto.
L’acqua, il più fondamentale dei beni pubblici, la res pubblica
nel senso pieno, nel business diventa l’oro blu del futuro, il
petrolio del 2000, equivalente quasi alla metà dell’economia
legata al petrolio.
Ciò che ha decretato il successo della minerale e del recente
ingresso nel settore della Coca-Cola, sicuramente dipende dalla
crescente sfiducia degli italiani nell’acqua del rubinetto, ma è
legato soprattutto all’abile strategia di comunicazione e
all’infinità di risorse investite nella pubblicità. In grado di
comprare il favore e il silenzio di troppi.
La Basilicata – e questo è un fatto riconosciuto da tutti – ha
una buona acqua potabile e potrebbe gestire pubblicisticamente anche
le sue acque minerali. Perché un simile regalo alla Coca-Cola?
Possibile che i Comuni della zona del Vulture, associandosi non
trovino la convenienza dell’intrapresa? E che la regione – che
pure l’ha previsto nella sua legge del 1996 – non trovi utile un
investimento per la rilevazione e l’ammodernamento degli impianti
e la loro gestione pubblicistica?
Si è ancora in tempo per bloccare la conclusione della vendita
della Traficante alla Coca-Cola.
Il nostro partito – con l’interrogazione della nostra
consigliera Emilia Simonetti – ha chiesto di restituire in testa
alla regione e alla mano pubblica la gestione di una così delicata
e importante risorsa, e per garantire veramente adeguati livelli
occupazionali e uno sfruttamento non selvaggio delle riserve
idriche. Al Presidente della Giunta Regionale chiede, infine quali
interventi intende adottare per tutelare il territorio e gli attuali
livelli occupzionali in tutta l’area del Vulture nel setore dell
acque minerali. Ancora, per iniziativa del nostro partito, proprio
oggi è stato presentato un disegno di legge per restituire alla
Regione la titolarità del rilascio delle concessioni estrattive e
per adeguare canoni concessori e royalties a valori decenti e
minimamente significativi.
|