IL
CASO COCA-COLA
Fonte: The Nation
Autore: Michael Blanding
Data: 1 Maggio 2006
Versione
originale in inglese su:
http://www.thenation.com/doc/20060501/blanding
Traduzione: REBOC
Articolo collegato: il
successivo botta e risposta con Coca-Cola
La sala da ballo all’Hotel du Pont di Wilmington, nel Delaware, è l’immagine dell’opulenza. Pitture di divinità greche occhieggiano dai muri, illuminate da due lampadari di cristallo delle dimensioni di una Mini Cooper. E’ qui che in Aprile la Coca-Cola Company terrà la sua assemblea degli azionisti, un rito annuale finalizzato ad incrementare la fiducia degli investitori. Se il meeting sarà come lo scorso anno, tuttavia, potrebbe raggiungere il risultato opposto.
Nel momento in cui gli azionisti entrarono nella sala nell’Aprile del 2005, le notizie non erano buone per Coca-Cola, che aveva costantemente perso quote di mercato a favore dei concorrenti. Gli investitori erano desiderosi di rassicurazioni da parte dell’Amministratore delegato Neville Isdell, un nobile irlandese che aveva recentemente assunto l’alto incarico. Pochi nella sala, tuttavia, erano preparati a quello che sarebbe avvenuto di lì a poco. Appena Isdell raggiunse il podio, due silhuette si materializzarono accanto ai microfoni. Quando aprì il dibattito, il primo a parlare fu Ray Rogers, un veterano dell’organizzazione sindacale e capo della Campagna per fermare la Killer Cola. ‘Voglio sapere cosa sta facendo Coca-Cola per riconquistare la fiducia e la credibilità per fermare il crescente movimento globale…che boicotta i prodotti Coca-Cola’, tuonò il sessantaduenne.
Questo era solo l’inizio di una litania di novanta minuti che il Financial Times dichiarò “apparire più come un raduno studentesco di protesta” che come un’assemblea di azionisti. Uno dopo l’altro, studenti, attivisti sindacali e ambientalisti distrussero la reputazioni internazionale di Coca-Cola rispetto ai diritti umani. Molti si concentrarono sulla Colombia, dove Coca-Cola era stata accusata di cospirare con gli squadroni della morte dei paramilitari per torturare ed assassinare sindacalisti. Altri evidenziarono la situazione dell’India, dove Coca-Cola ha, secondo le accuse, inquinato e impoverito le risorse idriche. Altri ancora hanno chiamato in causa la compagnia perché provoca il diabete attraverso aggressive campagne di marketing nei confronti dei bambini.
Negli scorsi due anni la campagna sulla Coca-Cola è cresciuta fino a diventare il più grande movimento anti-multinazionali dalla campagna contro la Nike per lo sfruttamento dei lavoratori. In tutto il mondo, dozzine di sindacati e più di venti università hanno bandito Coca-Cola dalle loro strutture, mentre gli attivisti hanno infierito sulla compagnia dagli eventi legati alla Coppa del Mondo a Londra alle Olimpiadi Invernali di Torino. Più che solo un riemergere del boicottaggio delle multinazionali, comunque, la lotta contro Coca-Cola è un balzo in avanti verso la cooperazione internazionale. Coca-Cola, con il suo baffo rosso e bianco riconoscibile ovunque da Pechino a Baghdad, è forse la quintessenza e il simbolo dell’economia globale dominata dagli Stati Uniti. La battaglia per responsabilizzarla ha, in cambio, connesso in senso lato questioni che attraversano diversi continenti fino a diventare la radice di un movimento veramente globalizzato.
Coca-Cola bolla le proteste come provenienti da “un piccolo segmento della popolazione studentesca”, afferma Ed Potter, direttore per la compagnia delle relazioni sindacali internazionali. “Ciò che vedo sono in gran parte tentativi in buona fede di puntare un riflettore su alcuni fatti disdicevoli – che però in alcun modo sono legati ai nostri posti di lavoro”.
Tuttavia, Coca-Cola si è difesa con annunci in televisione e nei giornali studenteschi, parte di un elefantiaco budget pubblicitario che è aumentato del 30% negli ultimi due anni, fino a raggiungere i 2,4 miliardi di dollari.
Ad ogni modo, così come i fatti contro la compagnia sono venuti alla ribalta nel corso della sua assemblea degli azionisti di quest’anno, cosi aumenta la pressione nei confronti di Coca-Cola perché si confronti con la sua immagine internazionale, sempre più un’immagine di sfruttamento e brutalità.
Il mattino del 5 Dicembre 1996, il leader sindacale Isidro Segundo Gil si trovava al cancello dell’impianto di imbottigliamento della Coca-Cola di Carepa, in Colombia, quando due paramilitari arrivarono in motocicletta e lo uccisero a colpi d’arma da fuoco. Una settimana dopo, affermano i sindacalisti, i paramilitari allinearono tutti i lavoratori all’interno dell’impianto e li costrinsero a firmare una lettera di dimissioni dal sindacato SINALTRAINAL, determinando la fine del sindacato presso lo stabilimento.
La violenza contro i sindacalisti è un fatto quotidiano in Colombia, dove quasi in 4.000 sono stati uccisi dai paramilitari negli ultimi venti anni. Ma l’omicidio di Gil è differente, dicono i compagni del suo sindacato; due mesi prima, essi videro il manager dlel’impianto che si incontrava con il capo dei paramilitari nella caffetteria della compagnia. E solo una settimana prima che fosse ucciso, Gil stava negoziando con la compagnia il nuovo contratto. I lavoratori vedono questi eventi come prova della collusioni dei dirigenti aziendali con i paramilitari. “Fin dall’inizio, Coca-Cola ha cercato non solo di eliminare il sindacato, ma di distruggere i suoi lavoratori”, ha detto il presidente del SINALTRAINAL Javier Correa in un recente intervento negli Stati Uniti.
L’assassinio di Gil non è stato un evento isolato, afferma Correa. In tutto, 8 sindacalisti ed un dirigente filosindacale sono stati assassinati tra il 1989 e il 2002. Anche oggi, i leader sindacali subiscono normalmente minacce di morte e attentati alle loro vite. Nel 2003 i paramilitari hanno rapito e torturato il figlio quindicenne di un leader sindacale e assassinato il cognato del vicepresidente del SINALTRAINAL. Lo scorso Gennaio, afferma Correa, i manager dell’impianto della Coca-Cola a Bogotà hanno cercato di convincere i lavoratori a firmare una dichiarazione secondo la quale Coca-Cola non ha violato i diritti umani, una settimana dopo il leader del sindacato ha ricevuto minacce di morte su di sé e sulla sua famiglia.
“Coca-Cola ha una lunga storia come azienda violentemente anti-sindacale”, afferma Lesley Gill, professore di antropologia alla American University, che è stato due volte in Colombia per documentare la violenza. “(La violenza, NdT) è stata calcolata e diretta, e avviene solitamente nei periodi di contrattazione.” Un’indagine del 2004 diretta dal consigliere di New York Hiram Monserrate ha documentato 179 “gravi violazioni dei diritti umani” contro i lavoratori della Coca-Cola, insieme a numerose accuse secondo cui “la violenza paramilitare contro i lavoratori è stata attuata con la consapevolezza e probabilmente sotto la direzione dei dirigenti aziendali.” La violenza ha determinato un costo per il sindacato. Nella decade passata, i membri del SINALTRAINAL all’interno della Coca-Cola sono scesi da circa 1.400 a meno di 400.
I rappresentanti della Coca-Cola negano il coinvolgimento della compagnia e dei suoi partner che si occupano dell’imbottigliamento, affermando che gli assassinii sono un prodotto della guerra civile in atto nel paese. In risposta, la compagnia oppone le misure di sicurezza che offre ai leader sindacali, compresi prestiti per sistemi di sicurezza per le abitazioni e la ricollocazione per quelli in pericolo. Comunque, Coca-Cola evidenzia di essere stata assolta in diversi casi nelle corti colombiane. D’altra parte, accusando queste corti di essere inefficaci – solo cinque paramilitari sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio, a fronte di 4000 omicidi – il SINALTRAINAL nel 2001 si è rivolto all’ International Labor rights Fund, un’organizzazione di solidarietà di Washington. Utilizzando una legge statunitense chiamata Alien Tort Claims Acr, l’ILRF e il sindacato metallurgico, sempre nello stesso anno, hanno presentato una denuncia a Miami contro Coca-Cola ed i suoi imbottigliatori. Nel 2003 il giudice ha decretato che la Coca-Cola non può essere ritenuta responsabile per le azioni dei suoi imbottigliatori e l’ha esclusa dal caso, consentendo tuttavia che il procedimento nei confronti degli imbottigliatori andasse avanti. L’avvocato dell’ ILRF Terry Collingsworth ritiene questa decisione ridicola, in quanto Coca-Cola possiede quote azionarie negli imbottigliatori e ha dettagliato profondamente i contratti di imbottigliamento. “Sono sicuro al 100% che se Coca-Cola da Atlanta gli ordinasse di cambiare il colore della loro uniforme da rosso a blu, essi lo farebbero,”, afferma Collingsworth. “Potrebbero fermare queste attività in un minuto”.
Poiché l’ILRF ha proposto appello contro la decisione, le regole procedurali richiedono di attendere che sia esaurito il procedimento contro gli imbottigliatori prima che quello contro Coca-Cola possa essere riassunto – un processo che potrebbe durare anni. “Dobbiamo prefigurare un percorso in base al quale Coca-Cola si renda conto che il ritardo è negativo”, dichiara Collingsworth. Nel 2003 il SINALTRAINAL ha chiamato al boicottaggio internazionale dei prodotti Coca-Cola. Allo stesso tempo, l’ILRF ha contattato Ray Rogers, leader di Corporate Campaign, Inc, un’organizzazione che collabora con i sindacati per ottenere contratti attraverso metodi non ortodossi. Negli ultimi 30 anni, Rogers ha imposto concessioni ad una dozzina di compagnie – comprese American Airlines, Campbell's Soup e New York's Metropolitan Transportation Authority – non attraverso scioperi o trattative, ma attraverso una aggressiva strategia per mettere pubblicamente in imbarazzo chi era associato ai suoi obiettivi.
Rogers ha immediatamente individuate il punto debole della Coca-Cola, il suo marchio. “Sono proprio al top delle peggiori compagnie nel mondo, e finora hanno creato un’immagine di sé come di una torta americana”, dichiara. “Quando la gente pensa a Coca-Cola, dovrebbero pensare alle difficoltà e alla disperazione per le persone e le comunità in tutto il mondo.” Dall’inizio, Rogers si è appropriato della scritta rossa del marchio registrato della Coca-Cola per creare il logo Killer Coke, e ha imitato la sua campagna pubblicitaria con slogan come “The Drink That Represses” e “Murder--It's the Real Thing”. (Rogers, NdT) ha fatto la sua prima drammatica apparizione all’assemblea annuale della Coca-Cola due anni or sono, quando la polizia l’ha prelevato dal microfono e la buttato fuori dalla sala con la forza.
Sin dall'inizio, Rogers ha respinto l’appello del SINALTRAINAL ad un boicottaggio dei consumatori nei confronti dei prodotti Coca-Cola, temendo che sarebbe stato ineffiace e avrebbe potuto allontanare i sindacati che lavorano con Coca-Cola. Si è concentrato sull'attacco
ad alcuni mercati, rivolgendosi ai maggiori legami istituzionali. Ha convinto diversi sindacati, compresi l’American Postal workers, diverse grandi sezioni del Service Employees International, e l’UNISON, il maggior sindacato inglese, ad escludere la Coca-Cola dai propri uffici e dalle proprie cerimonie, e ha indotto i manager dei fondi pensione, compreso quello della Città di New York, ad approvare risoluzioni per ritirare centinaia di milioni in investimenti in titoli finché la Coca-Cola non indagasse gli abusi in Colombia. Ha persuaso non solo il SEIU ma anche il maggior sindacato statunitense di dipendenti della Coca-Cola, il Teamsters, ad approvare una risoluzione in appoggio alla Campagna per fermare la Killer Cola e a prendere la parola alla scorsa assemblea annuale (il Teamsters ha interrotto il boicottaggio della Coca-Cola nei loro stessi uffici). “E’ orrendo ciò che stiamo sentendo”, dichiara David Laughton, segretario-tesoriere della divisione sindacale delle bevande. ‘L’inazione della compagnia sta avendo un effetto a catena nelle scuole e nei college di tutto il paese, e questo comporta riduzioni di personale per noi. E’ tempo che si sveglino ed ammettano i loro errori”.
I maggiori successi della campagna provengono da college e università. Rogers ha pubblicato un sito web con una guida passo per passo perché gli studenti cerchino di convincere le loro istituzioni a tagliare i contratti multimilionari con Coca-Cola, e ha girato per le scuole per radunare e consigliare gli studenti. Una per una, più di una dozzina di scuole negli Stati Uniti, così come una manciata in Irlanda, Italia e Canada, hanno deciso di tagliare contratti remunerativi o in alternativa di bandire la Coca-Cola dai campus. Lo sforzo ha subito una accelerazione dopo l’adesione da parte di United Students Against Sweatshops – uno dei principali gruppi che portarono avanti il boicottaggio della Nike negli anni 90 – che ha aiutato le proprie sezioni ad organizzarsi. Le campagne anti Coca-Cola sono oggi attive in circa 130 campus in tutto il mondo. “Questa campagna contro Coca-Cola ha politicizzato una nuova generazione di studenti,” dichiara Camilo Romero, uno dei coordinatori nazionali dell’USAS. “Si tratta di qualcosa a cui gli studenti si sentono personalmente legati, perché è qualcosa che possono tenere in mano”, dice Aviva Chomsky, professore al Salem State College in Massachusetts, che ha tagliato i legami due anni fa. “E’
così facile da spiegare, ‘Ci sono così tante cose negative nel mondo, voglio concentrarmi solo sulla mia vita.’ E’ questa concretezza che attira”.
Mentre le campagne studentesche sono principalmente concentrate sugli abusi in Colombia, alcune hanno incluso
denunce anche da altri paesi. Poche compagnie hanno una diffusione globale come Coca-Cola, che ha organizzato una rete di imbottigliatori in tutto il mondo che gli consente di massimizzare i profitti contenendo i costi di produzione e sfruttando le normative estere più permissive in tema di ambiente e lavoro. I primi brontolii provengono dall’India, dove coloro che vivono nelle vicinanze di diversi impianti di imbottigliamento della Coca-Cola hanno riportato che i loro pozzi stanno calando, a volte di più di 50 piedi; nel frattempo, l’acqua che erano in
grado di raggiungere veniva contaminata da prodotti chimici maleodoranti. Dal 2002 i residenti vicino Plachimada, nello Stato meridionale del Kerala, hanno iniziato una veglia permanente all’entrata dello stabilimento locale. Alla fine hanno ottenuto una chiusura per un periodo indefinito nel Marzo del 2004, sebbene il caso sia ancora all’attenzione dell’Alta Corte del Kerala.
Lo scorso mese di Marzo, gli abitanti hanno iniziato un’altra veglia a Mehdiganj, nell’India centrale. Le crescenti proteste in questo e in un terzo impianto, nello stato desertico del Rajasthan, sono culminate in attacchi della Polizia contro i residenti che utilizzano le tattiche gandhiane della nonviolenza, che Amit Srivastava dell’India Resource Center (IRC) porta ai piedi della Coca-Cola. “Sappiamo che la compagnia ha il potere di fermare il ricorso alla violenza da parte della polizia,” dichiara “ma ha lasciato che facessero senza dire una parola.”
L’IRC è stato appoggiato nella sua missione dal Corporate Accountability International (CAI), che ha attaccato la Coca-Cola sulla sua aggressiva campagna per vendere acqua imbottigliata. “Se l’acqua diventa un prodotto a marchio, è chiara l’intenzione di minare la domanda ed il sostegno a sistemi idrici gestiti dal pubblico,” afferma il direttore esecutivo del CAI Kathryn Mulvey. ‘Le persone che vanno a rimetterci sono quelle che non hanno i mezzi per pagare per la loro acqua.” Come attivista veterana delle campagne contro le multinazionali, Mulvey vede la campagna sulla Coca-Cola come un nuovo modello. “La gente sta prendendo questi abusi che stanno avvenendo in tutto il mondo e li sta portando al quartier generale della Coca-Cola,” dichiara. Le imprese transnazionali stanno davvero superando gli stati-nazione come istituzioni economiche e politiche dominanti. I movimenti per le lotte sociali hanno bisogno di trovare strade per marciare insieme e stabilire strategie che superino i confini”.
L’attacco generale contro la compagnia è stato un punto di forza per la campagna, permettendo a gruppi diversi di condividere informazioni e di arruolare numeri più grandi alla protesta, in modo da divenire un obiettivo più difficile per eventuali contrattacchi. ‘La compagnia non può controllarla,’ dice Rogers. ‘Sanno che non possono sbarazzarsi di una persona o di un gruppo e sperare che la cosa morirà.” Allo stesso tempo, il gran numero di accuse contro Coca-Cola solleva la questione di come e quando la campagna potrà dichiarare vittoria. Da questo punto di vista, i diversi gruppi sono chiari rispetto ai loro specifici obiettivi. La Campagna per fermare la Killer Cola, ad esempio, ha adottato dal SINALTRAINAL sette richieste, che comprendono una politica sui diritti umani per le compagnie di imbottigliamento e il risarcimento per le famiglie dei lavoratori uccisi. La campagna indiana chiede la chiusura di alcuni stabilimenti, la bonifica di altri e risarcimenti per i residenti danneggiati.
Molte campagne studentesche hanno scelto come richiesta principale un’indagine indipendente sugli abusi in Colombia. Durante l’assemblea annuale dello scorso anno, la Coca-Cola cercò di ammorbidire le critiche pubblicando i risultati di uno studio finanziato dalla compagnia, che venne respinto dagli studenti come
disgraziatamente parziale. Ancora di fronte alla prospettiva di boicottaggi in diverse Università – tra cui la Rutgers, la New York University e quella del Michigan – Coca-Cola
ha messo insieme una commissione di studenti, dirigenti scolastici e leader sindacali per giungere ad un protocollo per un’inchiesta indipendente. ‘Ero onestamente speranzoso, in modo forse un po’ naif”, dichiara Romero dell’USAS. “Sembrava come se volessero fare questo nuovo investimento per far funzionare le cose”. Dall’inizio, invece, la compagnia insistette per far parte della Commissione, e dopo che venne esclusa dagli studenti, iniziò a mettere ostacoli all’inchiesta, come una moratoria sull’indagine relativa ad abusi passati. La goccia che fece traboccare il vaso fu l’insistenza della Coca-Cola perché ogni cosa scoperta fosse inammissibile nel processo di Miami, cosa che secondo Collingsworth è contraria all’etica legale. “Non possiamo danneggiare i nostri clienti acconsentendo a coprire prove che supporterebbero le loro denunce”, scrisse in una furibonda lettera a Ed Potter della Coca-Cola.
Più o meno nello stesso periodo, nuove prove delle tattiche antisindacali della Coca-Cola sono emerse in Indonesia, dove, secondo l’USAS, I lavoratori hanno subito intimidazioni quando hanno cercato di formare un sindacato; e in Turchia, dove più di 100 sindacalisti sono stati licenziati e successivamente fatti oggetto di cariche e gas lacrimogeni da parte della polizia durante una protesta. Lo scorso novembre l’ILRF ha presentato un’altra querela contro Coca-Cola, basata sulle denunce dei lavoratori turchi. Da quel punto in poi gli studenti ne hanno avuto abbastanza, e hanno lasciato in blocco la commissione.
Con il fallimento della commissione sull’inchiesta, gli amministratori di alcune scuole non avevano più scuse per mantenere i contratti con Coca-Cola. Sia l’ università di New York che quella del Michigan hanno sospeso i contratti a Dicembre. Il fatto che la New York University sia la maggiore università privata del paese ha permesso alla campagna di guadagnarsi le pagine della stampa nazionale e internazionale. “Sapevamo che se avessimo bandito la Coca-Cola, la nostra decisione avrebbe fatto il giro del mondo”, afferma Crystal Yakacki, una neolaureata della New York University che durante gli studi ha contribuito alla campagna.
Come conferma il meeting annuale di quest’anno, Coca-Cola è passata alla controffensiva, annunciando un piano per abbozzare un nuovo set di standard per i posti di lavoro. Allo stesso tempo, la compagnia ha chiesto all’Organizzazione Internazionale del Lavoro dell’ ONU di realizzare una valutazione dei posti di lavoro presso gli impianti di imbottigliamento colombiani. Rogers e Collingsworth l’hanno già giudicato negativamente, evidenziando che Potter è stato il rappresentante dei datori di lavoro statunitensi nell’ILO negli ultimi 15 anni. “O loro sanno qualcosa che noi non sappiamo,” afferma Collingsworth, “oppure ritengono che l’ILO si muoverà in maniera talmente lenta e burocratica da permettergli di temporeggiare.” In risposta, Potter fa notare che l’organizzazione è talmente vasta che una sola persona non può influenzarla. Comunque, il
primo passo sta già ottenendo qualche risultato: ad Aprile
l'Università del Michigan, citando “la reputazione e la storia dell’ILO”, ha smesso il boicottaggio.
|