In vista dei mondiali di calcio, sponsorizzati dalla compagnia di Atlanta
ISPETTORI
AMICI PER LA COCA-COLA
Per smorzare le campagne di boicottaggio l'azienda vuol far visitare dall'Ilo le sue fabbriche in Colombia, in modo da smentire le accuse di violazione dei diritti umani
Testata: IL MANIFESTO
Autore: Marina Zenobio
Data: 1 Aprile 2006
Versione originale: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/01-Aprile-2006/art37.html
Cartellino rosso per la Coca Cola, sponsor dei Mondiali di calcio che si terranno in Germania a giugno. Ad alzarlo per primi gli attivisti dell'associazione inglese waronwant.org, che in occasione del tour propagandistico londinese della Coppa del mondo, hanno accolto il trofeo al grido: «E' ora che la Coca Cola giochi pulito». Anche in Italia la Reboc continua la sua campagna di boicottaggio contro la Company, accusata dal Sinaltrainal (sindacato dei lavoratori dell'agroindustria colombiani) di violare i diritti umani e sindacali negli stabilimenti che imbottigliano il prodotto in Colombia.
Otto sindacalisti e quattro loro familiari assassinati, 48 costretti a fuggire e vivere sotto falsa identità, 65 minacciati di morte, sei arrestati in base a false denunce della multinazionale e poi rilasciati per non aver commesso il fatto; salari al di sotto dei minimi legali, inquinamento ambientale e delle falde acquifere causato dalla lavorazione del prodotto. Denunce simili cominciano ad arrivare anche da India, Turchia, Pakistan e Centroamerica.
Un benvenuto a Roma
Il 9 e 10 aprile il tour della Coppa del mondo attraverserà Roma e gli attivisti della Reboc, come avvenuto per le fiamma olimpica, si preparano a dare il «benvenuto» all'ennesimo evento sponsorizzato Coke. Le contestazioni minacciate dalla Reboc - che potrebbero coinvolgere anche le fonti dell'acqua minerale di Rionero in Vulture, recente acquisto di Coca Cola - sarebbero la risposta alla diserzione di un accordo che prevedeva entro marzo l'invio di una delegazione italiana in Colombia.
Un accordo è stato sottoscritto nel settembre scorso dal sindaco di Roma Walter Veltroni e da Nicola Raffa, responsabile Coca Cola per l'area del Mediterraneo, insieme all'assessore regionale Luigi Nieri e ai presidenti dei municipi XI e X Massimiliano Smeriglio e Sandro Medici. L'intesa - che aveva fatto rientrare la minaccia di non permettere al tedoforo di attraversare i due municipi romani - ribadiva la necessità di verificare direttamente, con una delegazione inter-istituzionale e con rappresentanti della società civile, le condizioni di lavoro e di rispetto dei diritti umani e sindacali negli impianti colombiani. Ma la lista dei partecipanti proposta da Nieri al portavoce della Coca Cola in Italia è stata rispedita al mittente perché, secondo Raffa, le sue modalità non corrispondono all'accordo sottoscritto.
Intanto dagli Usa arriva la notizia che potrebbe essere l'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) a condurre in Colombia un «sopralluogo» negli impianti che nel paese andino imbottigliano i prodotti Coca Cola. A richiederlo è Ed Potter, attuale responsabile delle relazioni internazionali con i sindacati per la company di Atlanta e l'Unione internazionale dei lavoratori dell'agroindustria (Iuf). Ed Potter è la stessa persona che da 15 anni, e contemporaneamente all'incarico in Coke, ricopre all'Ilo la carica di rappresentante dei datori di lavoro in Usa.
Probabilmente i vertici della multinazionale sono preoccupati per l'avanzata della campagna di boicottaggio che negli Usa - dopo il ritorno da Bogotà di Hiram Monserrate, consigliere comunale di New York, con un elenco di 179 violazioni dei diritti umani riscontrate all'interno degli stabilimenti in questione - ha coinvolto 23 università, tra cui quelle di New York e del Michigan, che hanno annullato con Coke contratti per milioni di dollari. In questo senso una missione in Colombia di un'organizzazione internazionale ritenuta «autorevole ed imparziale», potrebbe sembrare un passo avanti verso un'indagine indipendente.
Ma per l'International labor rights fund (Ilrf) - che da Washington fornisce assistenza legale al Sinaltrainal nel processo che vede alla sbarra, in Florida, le imprese del paese andino affiliate alla multinazionale - si tratta di «un'altra mossa della Coca Cola per negare e rinviare l'assunzione di responsabilità per le violazione dei diritti umani in Colombia».
Terry Collingsworth, direttore esecutivo dell'Ilrf , non ha dubbi: «Coca Cola non permetterà nessun processo che essa stessa non possa controllare», e lo esplicita chiaramente in un documento, redatto insieme all'avvocato del Sinaltrainal, Dan Kavalik, e pubblicato sul sito dell'organizzazione (www.laborrights.org).
Passato alle dipendenze della Coca Cola, senza abbandonare l'incarico all'Ilo, uno dei primi impegni di Potter è stato quello di formare una commissione che indagasse in Colombia sulla complicità tra Coca Cola e paramilitari dopo l'assassinio di otto sindacalisti, tra cui quello di Isidro Gil, avvenuto all'interno dello stabilimento di Carepa. Della commissione dovevano far parte rappresentanti delle maggiori università e delle organizzazioni dei diritti umani tra cui l'United students against sweatshops e il Worker rights consortium. Ma anche Potter stesso pretendeva di farne parte così, quando la commissione, per dimostrare di essere realmente indipendente, lo ha escluso dal gruppo, la commissione stessa è saltata.
Dopo l'assassinio di Gil per mano di paramilitari «assoldati dalla dirigenza della Coca Cola», la company creò il Sintrainagro, un «sindacato giallo affiliato allo Iuf», molto attivo nell'«invitare» i lavoratori alle manifestazioni pro-Coca Cola.
Ed Potter adesso riparte alla carica coinvolgendo lo Iuf, che l'Ilrf considera alleato della Coca Cola, e insieme chiedono l'intervento dell'Ilo. «L'International labour organization - precisano Collingsworth e Kavalik - ha rifiutato per anni la creazione di una commissione di inchiesta che esaminasse la situazione in Colombia, grazie anche alle pressioni di Potter e del governo colombiano per bloccarla». L'improvvisa propensione della company a chiedere all'Ilo una cosa che non ha mai voluto fare prima, secondo i redattori del documento, non può significare altro che Coca Cola è molto fiduciosa sui risultati dell'inchiesta, ancor prima che parta.
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