La nostra
organizzazione sindacale è stata dimezzata dalla intimidazione,
dal sequestro, dalla detenzione, dalla tortura e dall'omicidio di
numerosi leader da parte delle forze paramilitari che hanno agito
nell'interesse delle grandi imprese che operano in Colombia, come
la Coca Cola e la Panamerican Beverages-Panamco". Si apre cosí
la denuncia presentata negli Stati Uniti dal sindacato colombiano
Sinaltrainal, contro il colosso mondiale delle soft drinks e la loro
maggiore società imbottigliatrice in America Latina. "I
manager degli impianti di imbottigliamento della Coca Cola in Colombia
hanno contrattato gruppi paramilitari per reprimere l'attività
dei leader sindacali. Non ci sono dubbi che la transnazionale di Atlanta
ha tratto vantaggio dalla repressione sistematica dei diritti sindacali
e che non ha protetto debitamente i lavoratori colombiani dagli atti
di persecuzione", prosegue il testo della denuncia depositata
lo scorso 20 luglio dai legali della Sinaltrainal e dalla centrale
sindacale Usa United steelworkers of America presso la Corte distrettuale
della Florida.
Sinaltrainal,
struttura a cui aderiscono oltre 4.000 dipendenti dei maggiori complessi
industriali del settore alimentare, punta il dito oltre che sulla
Coca Cola e la Panamco, anche su altre importanti multinazionali,
come la Nestlé e la Cicolac. Nelle aziende di proprietà
di questi gruppi si è verificata nell'ultimo decennio un'impressionante
sequela di omicidi selettivi, sequestri e sparizioni di sindacalisti
e operai, eseguiti dagli squadroni della morte di estrema destra,
crimini rimasti del tutto impuniti grazie alle coperture e alla
collaborazione di ampi settori delle forze di sicurezza statali.
Undici
i dirigenti e gli attivisti assassinati (5 quelli dipendenti dalle
societá imbottigliatrici della Coca Cola), 6 quelli miracolosamente
sopravvissuti ad attentati dinamitardi, 5 i leader sindacali che
a seguito delle gravi minacce subite dai paramilitari sono stati
costretti a dimettersi dalla Panamco e a rifugiarsi all'estero.
Numerosi
i dipendenti colombiani della Coca Cola vittima di persecuzioni
da parte di organi giudiziari e di polizia dello Stato colombiano,
ingiustamente accusati di legami con il terrorismo o con le organizzazioni
della guerriglia; tra essi 12 leader sindacali sono stati detenuti
illegalmente per periodi piú o meno lunghi a partire dal
1984. A seguito delle campagne di repressione eseguite dalle forze
armate nella regione settentrionale dell'Urabá (dipartimento
di Antioquia), nel 1985, 17 operai dell'impianto di imbottigliamento
della Coca Cola del comune di Canepa, hanno dovuto abbandonare il
lavoro per sfollare insieme ai propri familiari verso altre cittadine
della regione. Nel 1996, un gruppo paramilitare ha fatto irruzione
nello stesso impianto di Canepa, costringendo 70 operai a rassegnare
le proprie dimissioni dal sindacato. Successivamente due lavoratori
sono stati assassinati, altri due dipendenti sono stati vittime
di attentati e l'ufficio locale di Sinaltrainal é stato devastato
e incendiato durante un blitz paramilitare.
A
Bucaramanga (capoluogo del dipartimento di Santander), sempre nel
1996, la sede della cooperativa dei lavoratori della Coca Cola,
Cooincoproco, è stata oggetto di due raid da parte dei corpi
speciali della polizia, alla ricerca - inutile - di armi ed esplosivi.
Nel 1997 la Cooincoproco e l'abitazione del leader sindacale e dipendente
della Coca Cola, Alfredo Porras, sono stati devastati da un nuovo
raid degli uomini della 5^ brigata dell'esercito colombiano. Sinaltrainal
ha denunciato altresí come i propri attivisti siano costantemente
oggetto di pedinamenti e intercettazioni telefoniche illegali, e
come le imprese imbottigliatrici della Coca Cola abbiano ripetutamente
violato accordi collettivi e diritti sindacali, chiudendo arbitrariamente
i propri impianti e licenziando i lavoratori senza giusta causa.
"Le
imprese transnazionali come la Coca Cola e la Nestlé, impediscono
in Colombia il libero esercizio sindacale" aggiunge Sinaltrainal.
"All'interno delle fabbriche gli operai vivono in un clima
di repressione, controllati a vista da videocamere e personale armato.
E' sufficiente partecipare a una riunione sindacale per ricevere
la notifica di licenziamento e, se il lavoratore la impugna, è
costretto a fare i conti direttamente con le minacce dei capi della
sicurezza, pagati dall'impresa". Il gravissimo clima d'intimidazione
vissuto nelle fabbriche ha avuto come effetto l'indebolimento della
centrale sindacale, che ha visto negli ultimi due anni il dimezzamento
dei propri iscritti, in un paese, dove appena il 3% dei lavoratori
esercita il proprio diritto di affiliazione sindacale e dove negli
ultimi 15 anni sono stati assassinati oltre 3.800 tra dirigenti
e iscritti della Cut, la Centrale unitaria dei lavoratori della
Colombia.
"Neghiamo
ogni tipo di vincolo con qualsiasi violazione dei diritti umani"
ha immediatamente commentato l'Ufficio degli affari internazionali
della Coca Cola di Atlanta, respingendo le accuse delle centrali
sindacali colombo-statunitense. "Le imbottigliatrici in Colombia
sono compagnie del tutto indipendenti dalla Coca Cola e per tanto
la Compagnia non ha a che vedere con i suoi dipendenti o sindacati".
Una smentita che non trova riscontri oggettivi nell'organigramma
societario. La transnazionale infatti, concede dal 1951 il monopolio
della produzione e della distribuzione dei propri prodotti alla
Panamco Indega Colombia, filiale della Panamerican Beverages-Panamco
di Miami (Florida), di cui proprio la Coca Cola Company possiede
il 24% del capitale azionario e conta su due rappresentanti nel
consiglio di amministrazione. L'88% del fatturato della Panamco
è generato appunto dalla produzione, dall'imbottigliamento
e dalla commercializzazione in tutta l'America Latina dei prodotti
del marchio Coca Cola, mentre il resto deriva dalla distribuzione
sul mercato sudamericano delle note birre euopee Kaiser e Heineken.
|