LA REBOC RISPONDE ALLA POSIZIONE
UFFICIALE DELLA COCA-COLA COMPANY
- LA POSIZIONE UFFICIALE DELLA
COCA-COLA IN PDF
- LA RISPOSTA DELLA REBOC IN PDF E
IN HTML
Roma 10/08/2005
Da: REBOC
– Rete Boicottaggio Coca-Cola
c/o
Casale Podere Rosa, via Diego Fabbri snc
00137
Roma
e-mail:
no_cocacola_it@yahoo.it
Oggetto : Risposta alle dichiarazioni della The
Coca-Cola Company relative alle accuse di violazione dei diritti
umani in Colombia
Il 22 Luglio 2003 è stata lanciata dal SINALTRAINAL,
sindacato colombiano del settore agro-alimentare, una campagna di
boicottaggio internazionale della Coca-Cola.
Coca-Cola
è accusata di essere mandante di una campagna volta ad annientare
il sindacato, per mezzo dei paramilitari delle Autodefensas Unidas
de Colombia, che ha portato all'assassinio di 8 dirigenti sindacali
e di 4 loro familiari, e a decine di sequestri, torture, minacce e
montature giudiziarie nei confronti di dirigenti e iscritti al
SINALTRAINAL.
Nell’ambito della campagna internazionale di boicottaggio
della Coca-Cola, rilanciata a livello mondiale dal Forum Sociale
Mondiale di Porto Alegre e raccolta in Italia dalla REBOC, sono
state attuate nel nostro paese diverse iniziative.
Alcune di queste hanno riguardato le istituzioni e gli enti
locali, a cui è stato chiesto di sostenere la campagna in varie
forme, dalle dichiarazioni di solidarietà alla denuncia della
situazione colombiana, fino ad una reale adesione alla campagna di
boicottaggio, interrompendo i contratti di fornitura in essere con
la Coca-Cola.
Fino ad oggi, hanno aderito al boicottaggio due Municipi di
Roma (il IV e l’XI), la città di Empoli, 7 Comuni dell’empolese-valdelsa,
il Comune di Fiano Romano, la Rete del Nuovo Municipio, che riunisce
300 tra associazioni ed enti pubblici, e la Regione Lazio ha messo
all’ordine del giorno una mozione con cui esprime solidarietà al
SINALTRAINAL e chiede al Governo Italiano di promuovere una
commissione d’inchiesta indipendente internazionale che verifichi
la situazione dei lavoratori Coca-Cola in Colombia
Dopo questa mobilitazione, da alcuni mesi, ogni volta che
un ente locale mette all’ordine del giorno la discussione di un
impegno per il rispetto dei diritti umani da parte della Coca-Cola
in Colombia, puntuale viene spedita dalla Coca-Cola Italia srl una
lettera standard, che dichiara l’innocenza della Coca-Cola e la
falsità delle accuse con diverse argomentazioni.
Pur non essendo sostenuti dai capitali miliardari che la
Coca-Cola investe nella sua immagine sempre più compromessa, ma
solo dal nostro impegno volontario, gratuito e disinteressato e
soprattutto dalla forza dei fatti, desideriamo rispondere punto per
punto alle affermazioni della Coca-Cola.
- Coca-Cola
afferma di aver pubblicamente condannato qualsiasi forma di
violenza o di violazione dei diritti umani
Purtroppo le parole, quando non sono seguite dai fatti,
contano poco.
E quando sono seguite da fatti che vanno nella direzione
opposta, sono evidente sintomo di ipocrisia.
Nei fatti il Tribunale di Miami ha ritenuto
sufficientemente provati i rapporti tra i manager degli impianti di
imbottigliamento e riconosciuti capi paramilitari delle Autodefensas
Unidas de Colombia, che sono ritenute un’organizzazione terrorista
dallo stesso Dipartimento di Stato Americano.
La Coca-Cola pubblicamente condanna la violenza a parole, ma di fatto
non fa nulla per fermarla.
Peggio ancora, da una parte dichiara solidarietà ai
sindacalisti vittime della violenza, ma poi, invece di adoperarsi
per assicurare mandanti ed esecutori alla giustizia, si impegna per
far incarcerare, licenziare e umiliare ulteriormente i sindacalisti
stessi e i lavoratori, cerca di far dichiarare illegale il sindacato
e rinchiude i lavoratori in stanze di albergo, esercitando pressioni
psicologiche perché rinuncino alla loro affiliazione al
SINALTRAINAL.
E’ necessario che Coca-Cola passi dalle parole ai fatti,
migliorando le condizioni dei lavoratori e l’agibilità sindacale
presso gli impianti delle imprese di imbottigliamento della
Coca-Cola in Colombia.
La Coca-Cola ha il dovere morale e giuridico di attivarsi, sia perché
è oggettivamente responsabile delle condizioni dei lavoratori e dei
sindacalisti presso le sue imprese imbottigliatrici in Colombia, sia
perché è proprietaria del 40% della Coca-Cola FEMSA, proprietaria
a sua volta delle stesse imbottigliatrici, sia, infine, perché, al
di là della partecipazione azionaria formalizzata, ne costituisce
l’unico committente e beneficiario e ne ha perciò di fatto il
pieno controllo.
La Coca-Cola ha le possibilità di mettere fine alla violazione dei
diritti umani, come dimostra un caso avvenuto a metà degli anni
’80 in Guatemala e riportato nel libro di Miguel Angel Reyes e
Mike Gatehouse ‘Soft Drink – Hard labour: Guatemalan Workers
Take on Coca-Cola’ (Londra: Latin America Bureau, 1987), la cui
somiglianza con l’odierno caso colombiano non può non
impressionare.
Nel 1976 la Coca-Cola cercò di
ostacolare la nascita del sindacato STEGAC in Guatemala, dapprima
con 160 licenziamenti, rientrati dopo 16 giorni di occupazione, poi
proponendo condizioni più favorevoli per i lavoratori non iscritti
al sindacato e con intimidazioni ai sindacalisti per mezzo della
Polizia locale. Dal 1978 l’azienda iniziò a servirsi degli
squadroni della morte.
Nel lasso di tempo tra il 1978 e il
1980, 3 segretari generali del sindacato vennero assassinati, mentre
le loro famiglie, gli amici e i loro assistenti legali venivano
minacciati, arrestati, rapiti, picchiati, torturati, costretti
all’esilio.
Coca-Cola
inizialmente cercò di declinare le proprie responsabilità, ma, nel
1985, dopo una lunga battaglia, col supporto di campagne
internazionali di solidarietà e di boicottaggio, mise fine agli
omicidi, scelse una diversa azienda di imbottigliamento a cui
concedere il franchising e risarcì le vittime.
Perché il boicottaggio abbia fine, è necessario che
Coca-Cola soddisfi le giuste richieste a cui è condizionata la fine
della campagna, ovvero:
- fermare
la violenza, attuata dai paramilitari delle AUC, che fino ad
oggi ha portato all’ omicidio di 8 leader sindacali e di 4
loro familiari e ad innumerevoli rapimenti, torture e minacce;
- provvedere
al risarcimento integrale dei danni morali e materiali nei
confronti delle vittime della campagna repressiva che va
avanti dal 1989 nei confronti del SINALTRAINAL;
- rispettare
i diritti dei lavoratori alla libera associazione sindacale, a
salari e a condizioni di lavoro eque.
- Coca-Cola
afferma che è l’ambiente colombiano ad essere violento e non
la sua politica di gestione del personale e di relazioni
sindacali
E’ certo che in Colombia esiste una guerra civile ormai
da quarant’anni e di conseguenza un clima di violenza diffusa.
Tuttavia, come confermato dall’Alto Commissariato
dell’ONU sui Diritti Umani, questa violenza si rivolge per lo più
alle diverse forme di opposizione sociale, dalle Organizzazioni che
si occupano dei Diritti Umani ai Movimenti di Contadini e ai
Sindacalisti, per tutelare gli interessi economici del Governo
intrecciati a quelli delle multinazionali, con la guerra sporca
laddove la legge non può arrivare.
In generale le violenze sono rivolte o a liberare dalle
comunità residenti i territori interessati da mega-progetti o a
annientare qualsiasi forma di lotta che si frapponga al
perseguimento del massimo profitto da parte delle aziende
multinazionali.
Nello specifico del caso Coca-Cola è ampiamente
documentata la coincidenza, rilevata anche da Amnesty International,
tra i periodi di maggiore violenza e i periodi di trattativa
sindacale.
Così come ampiamente documentati sono i rapporti tra i
capi paramilitari e i manager degli impianti di imbottigliamento, e
su questa documentazione si basa la decisione del Tribunale di Miami
di procedere nei confronti di questi ultimi.
- Coca-Cola
afferma di aver implementato misure per proteggere la sicurezza
dei propri lavoratori.
Questa dichiarazione della Coca-Cola è stata smentita dal
SINALTRAINAL già nel Maggio del 2003.
Secondo quanto affermato allora da Javier Correa,
presidente del SINALTRAINAL, ‘la Coca-Cola non ha fatto nulla né
per predisporre né per finanziare alcuna misura di sicurezza’.
‘Abbiamo ricevuto qualche aiuto come risultato dei casi
giudiziari che abbiamo promosso contro l’azienda. In un caso, il
Ministro degli Interni ha promesso di fornire un’auto blindata, ma
ancora non ce l’ha data, così PANAMCO (all’epoca dei fatti
proprietaria degli impianti di imbottigliamento e oggi acquisita
dalla Coca-Cola FEMSA) ce ne ha data una in prestito. In un altro
caso isolato, ad un lavoratore è stato consentito di prendere un
permesso di pochi giorni per andare fuori dalla città in cui aveva
ricevuto minacce di morte. Coca-Cola vuole che il mondo creda che le
cose che il Ministero dell’Interno ha predisposto siano state date
perché Coca-Cola le ha chieste. Questo è completamente falso! Si
tratta di cose che abbiamo ottenuto con la CUT (la confederazione
sindacale nazionale) attraverso proteste e richieste di
protezione’.
Ecco quello che ha dichiarato William Mendoza Gomez,
presidente della sezione di Barrancabermeja del SINALTRAINAL:
‘Sono nel programma che prevede protezione per i leader sindacali
e per i difensori dei diritti umani. E’ un programma creato dal
Governo colombiano, dietro pressione della Commissione
Interamericana dei Diritti Umani dell’OAS. La Commissione ha
costretto il Governo a darmi protezione e questo è avvenuto grazie
alla CUT e grazie a Domingo Tovar (del Dipartimento Diritti Umani
della CUT), che ha intrapreso i passi necessari per ottenerla.
Coca-Cola non ha niente a che fare con questo processo’.
‘Coca-Cola afferma anche di avermi dato dei soldi per
acquistare un’arma’ - ha aggiunto Mendoza – ‘E’ una bugia.
Ho comprato un’arma con i miei soldi. L’ho detto direttamente
all’avvocato della compagnia Deval Patrick, nel corso
dell’assemblea degli azionisti, e gli ho detto che non poteva
mentire. Mi ha risposto di aver ricevuto informazioni errate dalla
PANAMCO’.
Inoltre i dati dimostrano che queste misure non bastano.
65 membri del SINALTRAINAL sono stati minacciati di morte
dai paramilitari; in tutto otto lavoratori sono stati assassinati;
tre leader locali del SINALTRAINAL presso l’impianto di
imbottigliamento di Bucaramanga sono stati incarcerati per 6 mesi
sotto false accuse di terrorismo da parte della stessa Coca-Cola;
sindacalisti dell’impianto di Cucuta hanno subito una serie di
sparatorie, percosse, rapimenti e intimidazioni, e i dirigenti
locali di Barrancabermeja sono stati bersaglio di minacce e
attentati da parte delle AUC, il principale gruppo paramilitare;
Juan Carlos Galvis è scampato ad un attentato il 20 Agosto del
2003.
Le vittime sono sempre più spesso i familiari, più facili
da colpire e che non rientrano nelle statistiche dei sindacalisti
assassinati, sotto costante controllo degli organismi
internazionali, come nel tentato rapimento della figlia di 4 anni di
un sindacalista e nel rapimento del figlio quindicenne di un altro.
Il 20 Aprile del 2004, sono stati assassinati padre, madre
e uno dei tre figli di una famiglia imparentata con un leader
sindacale che aveva appena organizzato uno sciopero della fame
contro Coca-Cola, iniziativa che era riuscita a catturare
l’attenzione dei media a livello globale.
Nel 2005 sono ulteriormente aumentate le minacce di morte
ai sindacalisti del SINALTRAINAL, culminati nel comunicato ufficiale
con cui i paramilitari delle Autodefensas Unidas de Colombia
lanciano la cosiddetta “operazione finale”, dichiarando
obiettivi militari diversi dirigenti sindacali.
- Coca-Cola
afferma di essere stata assolta dal Tribunale di Miami per
mancanza di ogni evidenza legale o fattuale
Ciò che Coca-Cola omette di dire, è che il Tribunale di
Miami l’ ha esclusa dal processo non perché ritiene che i fatti
non siano avvenuti o che non ci siano collegamenti tra Coca-Cola e
paramilitari.
Al contrario il Tribunale ha ritenuto che il processo possa
andare avanti nei confronti delle imprese colombiane della
Coca-Cola, perché sono stati ritenuti sufficientemente provati i
rapporti tra i manager di queste imprese e i capi paramilitari.
Quindi la questione è se Coca-Cola Company possa o meno
essere ritenuta responsabile degli atti compiuti dai suoi
“partner” che si occupano dell’imbottigliamento e della
distribuzione delle bevande in Colombia.
Il giudice statunitense ha escluso la casa madre dal
processo, perché ritiene che il legame tra Coca-Cola Company e
imbottigliatori, formalizzato in un contratto di franchising, non
sia sufficiente a rendere la prima responsabile degli atti compiuti
dalle seconde.
Il SINALTRAINAL è ricorso in appello contro questa parte
della decisione del Tribunale di Miami, con le seguenti motivazioni.
Gli imbottigliatori accusati dal Tribunale di Miami sono
tutti di proprietà della Coca-Cola FEMSA, società messicana.
La casa madre di Atlanta possiede direttamente il 39,6% del
capitale azionario della FEMSA, e quindi di tutti gli
imbottigliatori colombiani, ed il 46% delle sue azioni con diritto
di voto, oltre ad essere rappresentata nel Consiglio di
Amministrazione da dirigenti di alto livello, incluso il Direttore
dell’Ufficio Finanziario della Coca-Cola Gary Fayard e il
Direttore Operativo Steven Heyer. Anche Charles McTier, direttore
della SunTrust Bank, proprietaria del 5% della Coca-Cola Company,
partecipa al Consiglio d’Amministrazione della Coca-Cola FEMSA.
Come fa con tutte le aziende del Coca-Cola System, la
Coca-Cola Company, come
riporta un articolo pubblicato nel 2003 su Forbes, “in realtà
controlla gli imbottigliatori mantenendo ingenti pacchetti azionari
e una forte presenza nei loro consigli d’amministrazione, e
fornendo loro la maggiore fonte di lavoro. Mantiene infatti i suoi
interessi negli imbottigliatori sotto il 50%, evitando così di
scontrarsi coi loro mucchi di debiti o con qualsiasi legame
scomodo”.
Del resto è la stessa Coca-Cola Company che, nel suo
Codice di Condotta Internazionale, assume volontariamente la piena
responsabilità per i comportamenti tenuti da tutte le aziende,
dipendenti o indipendenti, del Coca-Cola System, compresi ovviamente
gli imbottigliatori colombiani.
- Coca-Cola
afferma di essere stata assolta dalle accuse in due differenti
giudizi della magistratura colombiana.
Come tutti sanno e come affermano concordemente tutti i
principali organismi internazionali, in Colombia l’impunità è la
regola, soprattutto quando si tratta di violazione dei diritti umani
e sindacali.
Come riportato il 20 Giugno 2005 da El Tiempo, il
principale quotidiano colombiano, l’Organizzazione Internazionale
del Lavoro ha chiesto al Governo colombiano di mettere fine a quella
che ha definito come una “intollerabile
situazione di impunità”, con riferimento alle diffusissime
pratiche anti-sindacali, che pongono la Colombia tra i 5 paesi del
mondo con le peggiori condizioni sindacali, accanto a Myanmar (ex
Birmania), Zimbabwe, Cambogia e Iran.
Già nel
Febbraio del 2000, la stessa Organizzazione Internazionale del
Lavoro, a seguito della sua Informativa sulla visita in Colombia,
affermava “Malgrado la
Colombia sia membro della OIT dal 1919 e malgrado abbia ratificato i
Convegni n° 87 e 98 dal 1976 attraverso le leggi 26 e 27, gli
attentati contro la vita e l’incolumità dei sindacalisti e dei
dirigenti non è cessata dal 1987, come non sono cessate le
sparizioni forzate di persone vincolate all’attività sindacale.
L’impunità copre, come regola generale, gli autori di questi
crimini”.
Anche il
Dipartimento di Stato USA, nel suo rapporto sui diritti umani del 31
Marzo 2003, ha concluso che l’impunità rispetto alla lesione di
diritti umani rimane il più grave problema relativo ai diritti
umani in Colombia.
Nello
stesso rapporto, il Dipartimento nota che, su più di 4000 casi di
omicidi di sindacalisti in Colombia, solamente una manciata sono
stati perseguiti con successo dalle autorità di governo, molte
delle quali sono invece state ridotte al silenzio dai gruppi
paramilitari che hanno commesso quegli assassini.
Secondo
il Rapporto dell’Ufficio per i Diritti Umani dell’ONU del 2002 “È
preoccupazione dell’Ufficio anche l’impunità che continua a
circondare gli autori degli omicidi dei sindacalisti. La Procura ha
riportato l’esistenza di 606 processi in corso per violazione dei
diritti umani contro lavoratori e sindacalisti, dei quali 421 sono
in indagine preliminare, 34 in stato di istruzione e 17 sono
arrivati alla fase di giudizio, registrando 6 condanne”.
Secondo i dati del Ministero della Protezione Sociale
forniti dall’Osservatorio sui Diritti Umani della Presidenza della
Repubblica, dal 1992 si trovano in fase di giudizio solo 40 casi sui
1981 omicidi contro lavoratori sindacalizzati registrati dalla Banca
Dati della Escuela Nacional Sindacal, progetto finanziato dalla
Unione Europea.
Per chiarire ulteriormente gli intrecci tra multinazionali,
stato e parastato, basti dire che Jaime Bernal Cuellar, l’avvocato
della Coca-Cola che nel 2003 ha chiesto l’incriminazione per
calunnia e diffamazione in Colombia dei leader del SINALTRAINAL che
hanno querelato la Coca-Cola negli Stati Uniti (denuncia da cui i
sindacalisti sono stati assolti dalla Fiscalia General de la Nacion
per non aver commesso il fatto in data 10 Febbraio del 2004), era
Procuratore Generale della Repubblica all’epoca del genocidio di
Carepa, quando giacevano in un cassetto della sua scrivania le
denunce del SINALTRAINAL per gli omicidi, i cui esecutori e mandanti
non sono mai stati assicurati alla giustizia.
- Coca-Cola
afferma di aver compiuto una indagine sulle accuse e di non aver
trovato niente
La Commissione d’inchiesta di New York, come
riportato nel Rapporto Ufficiale che si allega, ha
incontrato in data 13 Gennaio 2004 Juan Manuel Alvarez e Juan Carlos
Dominguez, rappresentanti della Coca-Cola FEMSA, unica licenziataria
della Coca-Cola Company in Colombia, i quali hanno affermato che a
quella data non era stata disposta dalla Coca-Cola alcuna inchiesta
interna o esterna sulle violazioni dei diritti umani denunciate dai
lavoratori della compagnia.
Risalendo il primo caso di omicidio al 1989, ciò significa
che per 15 anni la multinazionale non ha sentito il bisogno di
verificare le accuse, provvedendo invece a querelare a sua volta i
rappresentanti del SINALTRAINAL, che avevano sporto denuncia al
Tribunale di Miami, per calunnia e diffamazione.
Solo nel 2005, dietro l’accresciuta pressione della
campagna di boicottaggio internazionale, la Coca-Cola ha
commissionato un’indagine alla CSCC – Cal-Safety Compliance
Corporation, un’agenzia profit appositamente pagata dalla
multinazionale.
E’ evidente che non si possa parlare di inchiesta
indipendente quando il “controllore” viene pagato dal
“controllato”.
Inoltre l’associazione United Students against Sweatshop,
organizzazione studentesca molto attiva in generale nella promozione
dei diritti umani e in particolare nella campagna di pressione nei
confronti di Coca-Cola, ha spiegato, in
una nota dell’11 Aprile 2005 che si allega, i motivi per cui
la CSCC – Cal-Safety Compliance Corporation non può essere
ritenuta un organismo di controllo credibile.
- Coca-Cola
afferma di avere normali relazioni con 12 organizzazioni
sindacali colombiane.
Oggi Coca-Cola ha in Colombia circa 10.000 lavoratori.
Il 94% di questi sono esternalizzati e subcontrattati, con
contratti stagionali che impediscono di fatto e di diritto
l’affiliazione al sindacato.
Questi lavoratori precari non hanno tutele sul lavoro, né
assistenza sanitaria, né diritto di organizzarsi in Sindacato. Essi
percepiscono un salario pari a circa 80 euro al mese (un quarto di
quanto percepisce un lavoratore a tempo indeterminato), inferiore al
minimo legale previsto in Colombia, per turni che superano le 12
ore.
Secondo la Commissione d’inchiesta indipendente di New
York, “l’azienda ha fatto continuamente pressioni sui lavoratori
perché rinunciassero alla loro appartenenza al sindacato e alle
loro garanzie contrattuali. Dal Settembre 2003, all’atto della
chiusura di 11 su 16 impianti esistenti in Colombia, ha fatto
pressione su 500 lavoratori perché rinunciassero ai loro contratti
collettivi in cambio di un pagamento forfetario. A Barranquilla la
delegazione ha ascoltato anche la testimonianza di tre lavoratori
della Coca-Cola che hanno dichiarato di essere stati licenziati per
aver partecipato agli incontri del sindacato”.
Chiediamo a Coca-Cola se ritiene normale che solo il 6% dei
lavoratori abbia la possibilità, almeno sulla carta e solo a
condizione di accettare di essere costantemente in pericolo di vita,
di iscriversi al sindacato.
Chiediamo a Coca-Cola se quando parla di “normali
relazioni sindacali”, si riferisce alle pratiche qui descritte,
forse ai limiti della legalità ma comunque chiaramente
anti-sindacali, o alle pratiche che arrivano a configurare
violazione di diritti umani, come gli omicidi, le minacce di morte,
le pressioni psicologiche, gli sfollamenti forzati, i rapimenti e le
montature giudiziarie.
Chiediamo a Coca-Cola se ritiene normale non avere
“normali relazioni sindacali” con il SINALTRAINAL, che
rappresenta il 70% dei lavoratori sindacalizzati della Coca-Cola.
- Coca-Cola
afferma che il 31% dei suoi lavoratori in Colombia è iscritto
al Sindacato, contro una media nazionale del 4%.
Coca-Cola Company afferma il falso.
Oggi, su 10.000 persone che lavorano negli impianti di
imbottigliamento, solo 600 – cioè il 6% - sono sindacalizzati, e
questo come risultato della strategia antisindacale portata avanti
dall’azienda (la Commissione di Inchiesta di New York riporta 179
violazioni dei diritti umani contro i membri del SINALTRAINAL tra il
1990 e il 2003).
I
dati dimostrano che le minacce, le percosse e gli omicidi contro i
rappresentanti locali del sindacato ricorrono maggiormente nei
periodi immediatamente prima o durante le trattative
sindacali.
Nel
1993 il SINALTRAINAL aveva 1440 membri negli impianti Coca-Cola, dal
2004 il dato degli iscritti è sceso ad appena 389 membri.
Pur con il calo chiaramente dovuto alla repressione di cui
è stato oggetto, SINALTRAINAL risulta di gran lunga il sindacato
maggioritario (70% dei lavoratori sindacalizzati) in un’ azienda
in cui il tasso di sindacalizzazione è pari al 6%.
- Coca-Cola
afferma che SINALTRAINBEC, uno dei più importanti sindacati
colombiani, ha scagionato Coca-Cola Company rispetto agli atti
di violenza o di violazione dei diritti umani in Colombia
Rispetto a questo punto, non desideriamo entrare nelle
dinamiche dei rapporti tra i diversi sindacati in Colombia e ci
limitiamo a riportare alcuni fatti e notizie che consentiranno al
lettore di farsi una propria opinione sulla reale consistenza del
sindacato citato.
Come riportato nel nostro Dossier
d’informazione e denuncia sulla Coca-Cola in Colombia, che si
allega, il SINALTRAINAL nasce nel 1982 ed inizia ad
operare nel settore delle bibite gasate alla fine degli anni
’80.
Il 27 febbraio 1993, grazie alla fusione con il
Sintradingascol, il SINALTRAINAL raggiunge il massimo degli iscritti
(oltre 5.000) e affilia tutti i 1440 lavoratori organizzati della
Coca-Cola Company.
E’ a questo punto che il settore filo-padronale del
Sintradingascol esce dal sindacato unito e, con l’aiuto della
Coca-Cola, fonda il Sinaltrainbec, portando con sé il 20% dei
lavoratori.
Oggi il Sinaltrainbec è stato quasi annientato con la
chiusura da parte di Coca-Cola delle linee di produzione nell’
impianto di Monteria, in cui era principalmente localizzato, e conta
tra le sue file poche decine di iscritti, mentre il Sinaltrainal
rappresenta da sempre la maggioranza assoluta dei lavoratori
sindacalizzati della Coca-Cola (417 su 810 alla fine del 2002; 389
su 550 alla fine del 2004).
Inoltre la nota ‘assolutoria’ del Sinaltrainbec non è
riferita, come afferma Coca-Cola, alla generalità degli atti di
violenza o di violazione dei diritti umani in Colombia, ma
esclusivamente all’assassinio di Oscar Dario Soto Polo, e,
rispetto a questo singolo fatto, non afferma che non esiste alcuna
responsabilità del sistema Coca-Cola, ma si limita a dichiarare che
Sinaltrainbec non ha elementi che lo portino a ritenere veri i
rapporti tra le imprese di imbottigliamento e i paramilitari,
elemento tuttavia ritenuto comprovato dalla Sentenza del Tribunale
Distrettuale di Miami.
- Coca-Cola
riporta un comunicato ufficiale diffuso dalla FLAI CGIL, in cui
si afferma che UITA ed EFFAT, rispettivamente federazione
sindacale internazionale ed europea del settore alimentare,
hanno confermato la propria contrarietà a qualunque forma di
boicottaggio
Il seminario europeo a cui si fa riferimento, tenutosi a
Grottaferrata dall’11 al 13 Novembre, fu organizzato dalla
FLAI-CGIL, in collaborazione con FAI-UILA, proprio per la grande
preoccupazione in ambito sindacale internazionale sulla violazione
dei diritti umani in Colombia da parte di Coca-Cola (vedi
l’Agenzia Flai Cgil n° 201 allegata).
E’ vero, come afferma Coca-Cola, che la sua posizione su
questi fatti è stata ampiamente analizzata. Ed è vero anche che,
alla luce dell’analisi svolta, le preoccupazioni sono state
interamente confermate.
Infatti il Comunicato riportato non mette in discussione le
accuse a Coca-Cola, al contrario afferma che “Coca-Cola e tutte le
altre aziende possono e devono fare di più per la tutela dei propri
dipendenti, specie se sindacalisti in quanto maggiormente
esposti”.
Proprio
per questo, nel corso di quella riunione europea, la Federazione
Europea del Settore Agricolo, Alimentare e Turismo (EFFAT) e
l’Unione internazionale lavoratori settore agroalimentare e
turismo (UITA) hanno chiesto la istituzione di una Commissione
internazionale di inchiesta per accertare le violazioni dei diritti
umani di cui sarebbe responsabile la “The Coca-Cola Company”.
Questa
richiesta è già stata rivolta diverse volte alla Coca-Cola sia
negli Stati Uniti (da istituzioni politiche, università, sindacati)
che in Italia (dalla Rete del Nuovo Municipio, dal Municipio Roma XI
e da alti rappresentanti della Regione Lazio, del Comune e della
Provincia di Roma), e la Coca-Cola ha sempre risposto negativamente.
In
particolare, a seguito dell’incontro del Luglio 2003 con il
Consigliere comunale di New york Hiram Monserrat, la Coca-Cola, in
una nota che si allega, ha affermato al punto 5. che
“l’azienda non intende supportare in alcun modo alcun tipo di
Commissione d’inchiesta indipendente in Colombia”.
Va inoltre ricordato che proprio la citata FLAI-CGIL,
preoccupata per la sorte del Sinaltrainal, in un incontro pubblico
tenutosi a Roma nel dicembre 2003 (di cui è disponibile la
registrazione audio-video), alla presenza del rappresentante della
Coca-Cola Italia e di Edgar Paez del SINALTRAINAL, ha dichiarato,
per mezzo del suo rappresentante Marco Gentile, di aver affiliato lo
stesso Paez alla sezione romana della stessa FLAI, proprio per
meglio tutelarne l’incolumità.
Ciò che il comunicato mette in discussione è lo strumento
del boicottaggio, ed è risaputo che si tratti di una discussione
aperta da decenni in ambito sindacale, con posizioni a favore e
posizioni contro.
Tuttavia questa campagna è stata lanciata proprio dal
Sindacato coinvolto, che riteniamo sia il più titolato a valutare
le forme di lotta opportune in base alla situazione in cui si trova.
Inoltre la campagna è appoggiata a livello internazionale
da numerose organizzazioni sindacali.
Tra esse ci limitiamo a ricordare:
- il
maggior sindacato a livello mondiale (il tedesco VERDI, che ha
3 milioni di iscritti);
- il
maggior sindacato inglese (UNISON, del pubblico impiego, con
1,3 milioni di iscritti);
- la
principale federazione sindacale colombiana (CUT – Central
Unitaria de trabajadores);
- numerosi
sindacati USA, tra cui il famoso sindacato dei camionisti
TEAMSTERS, che rappresenta più di 15.000 lavoratori
statunitensi della Coca-Cola, e il sindacato metalmeccanico
UNITED STEELWORKERS OF AMERICA, che sta supportando il
Sinaltrainal anche nel processo di Miami;
- in
Italia la FIM-CISL, oltre a diversi Sindacati di Base tra cui
i COBAS.
- Coca-Cola
afferma che i lavoratori rischiano di essere colpiti dal
boicottaggio
Non è vero che il boicottaggio mette a rischio i posti di
lavoro.
Perché un boicottaggio abbia successo deve procurare
all’impresa un danno sufficiente da farle perdere la convenienza a
comportarsi nella maniera contestata.
Le imprese fanno come sempre un calcolo economico: se la
diminuzione di guadagno dovuta al boicottaggio è inferiore
all’aumento di guadagno dovuto allo sfruttamento dei lavoratori o
al mancato rispetto dell’ambiente, l’impresa continuerà a
comportarsi come prima.
Nel momento in cui il rapporto si inverte, per l’impresa
è economicamente conveniente cedere alle richieste dei ‘boicottatori’,
e ciò avviene normalmente quando si riesce ad ottenere un calo
delle vendite intorno al 2-5% del fatturato o quando il danno
d’immagine è tale da ridurre la fiducia degli azionisti nel
titolo quotato.
La perdita di posti di lavoro in seguito a boicottaggio è
un caso più unico che raro.
Perché l’azienda arrivi a licenziare, significa che il
boicottaggio ha messo a rischio non solo i suoi profitti, ma anche
la sua sopravvivenza, e d’altra parte lo stesso discorso si
potrebbe fare anche sullo sciopero.
Quindi si tratta per lo più di una strategia padronale
basata sulla minaccia, il classico ‘divide et impera’ destinato
a mettere gli uni contro gli altri consumatori e lavoratori.
Ma c’è di più.
Un tabù sul boicottaggio è anti-storico, perché non solo
si tratta di uno strumento di lotta non violento e profondamente
democratico, ma soprattutto di uno strumento molto efficace
nell’epoca della globalizzazione, in cui le imprese possono
produrre dove vogliono, ma sono costrette ad allargare continuamente
il loro mercato e a vendere in ogni angolo del pianeta.
Se c’è il sindacato, se si sciopera per vedere
riconosciuti i propri diritti, oggi, nell’epoca della
globalizzazione, le imprese possono fare le valigie in cinque minuti
e decidere di spostare la produzione dove ci sono condizioni più
favorevoli, dove i sindacati sono vietati, dove i salari sono da
fame, dove non esistono leggi sulla sicurezza del lavoro e sulla
tutela dell’ambiente.
Questa facilità di delocalizzazione sta producendo una
‘corsa verso il basso’ nei confronti di diritti e tutele, con i
vari Stati che sono in concorrenza tra di loro per attrarre
investimenti, offrendo alle imprese il terreno migliore per macinare
mega-profitti, riducendo le tasse, e quindi uno strumento con cui la
ricchezza prodotta nell’impresa si ridistribuisce sul territorio
in cui essa produce, e gli standard sociali e ambientali che
rappresentano per le imprese solo costi di produzione aggiuntivi.
Nell’epoca della globalizzazione anche la solidarietà
tra lavoratori deve essere necessariamente globale, perché il
destino dei lavoratori colombiani è lo stesso dei lavoratori
italiani. Il boicottaggio, tutelando i lavoratori colombiani, tutela
anche i lavoratori italiani.
Se lasciamo che le imprese violino i diritti umani e non
rispettino l’ambiente in una qualsiasi parte del mondo, non si
capisce perché esse non dovrebbero spostare la loro produzione dove
questo gli viene permesso con conseguente risparmio di costi.
Una cosa da cui le multinazionali non possono sfuggire è
il giudizio di consumatori attenti (privati o pubbliche
amministrazioni non importa) che ovunque nel mondo le premiano o le
puniscono a seconda dei loro comportamenti attuati in qualsiasi
angolo della Terra.
- Alcune
cose Coca-Cola non le afferma, ma ve le raccontiamo noi.
Dopo aver risposto punto per punto ai rilievi di Coca-Cola,
ci sia consentito aggiungere qualche altro elemento, che, a titolo
esemplificativo e non esaustivo, mette ulteriormente in evidenza i
collegamenti tra il management Coca-Cola e i paramilitari.
In primo luogo va ricordato che gli impianti di
imbottigliamento in Colombia sono tutti recintati, con alte mura o
filo spinato e con sorveglianza armata all’ingresso. E’
impossibile per uno sconosciuto entrare, a meno che non abbia il
permesso di farlo.
L’assassinio del sindacalista del SINALTRAINAL Isidro
Segundo Gil è avvenuto all’interno dell’impianto. I
paramilitari sono tornati il giorno dopo e hanno riunito gli altri
lavoratori iscritti al sindacato, per fargli firmare, sotto minaccia
di morte, lettere di dimissioni prestampate con i computer
dell’azienda. Dopo aver dato alle fiamme la sezione locale del
SINALTRAINAL e fatto fuggire tutti i sindacalisti che non avevano
firmato le dimissioni, i paramilitari sono rimasti diverse settimane
a gestire direttamente l’impianto.
La presenza all’interno degli impianti di graffiti e
messaggi contro i sindacalisti firmati dai paramilitari costituisce
la normalità.
Altri
avvenimenti pur essendo meno conosciuti, vanno ricordati:
·
come riportato dalla prestigiosa rivista Cambio (a cui collabora il
premio nobel Gabriel Garcia Marquez), quando la principale
imbottigliatrice di Coca-Cola in Colombia, PANAMCO, stava avendo
problemi con un’attività criminosa dei paramilitari volta ad
imporle tasse per permetterle di trasportare il prodotto, PANAMCO fu
in grado di risolvere il problema molto velocemente. Come?
Gli
alti dirigenti dell’azienda si incontrarono con Carlos Castano,
fondatore e capo del maggior gruppo paramilitare, l’AUC –
indicato come "organizzazione terrorista" dal Dipartimento
di Stato USA – per chiedergli di ordinare al gruppo criminale dei
paramilitari di fermare il racket delle estorsioni. Castano
prevedibilmente si adeguò, spiegando al gruppo che il compito dei
paramilitari era proteggere il capitale e non interferire con esso.
L’estorsione fu fermata.
·
In accordo con lo scopo dichiarato dei paramilitari di proteggere
gli interessi delle multinazionali in Colombia, i leader dei
paramilitari, nell’Agosto del 2002, dichiararono tranquillamente a
Steven Dudley, reporter di National Public Radio, che mantenevano
basi in tutti gli impianti di imbottigliamento della Coca-Cola in
Colombia al fine di "proteggerli".
·
Molti dipendenti sono stati testimoni di incontri all’interno
degli impianti di imbottigliamento tra la direzione del personale e
noti leader paramilitari.
Ad
esempio, nell’Ottobre del 2002, gli impiegati furono testimoni di
un incontro tra la dirigenza dell’impianto PANAMCO di
Barrancabermeja e i paramilitari.
Il
2 Ottobre 2002 Saul Rincon, notissimo paramilitare, e un altro uomo
sono stati visti tenere sotto controllo una protesta sindacale
all’entrata dell’impianto di Barrancabermeja; i due sono poi
entrati e hanno parlato con i manager dell’impianto, Reynaldo
Gonzalez e Martha Yaneth Orduz.
Secondo
un testimone del sindacato, quando Gonzalez fu incrociato e gli si
chiese di confermare se gli individui con cui si stava incontrando
fossero davvero paramilitari, egli rispose "Sì, sono
paramilitari, e membri di un’associazione. Perché non lo chiedete
a loro?".
Rincon
successivamente si presentò all’azienda e disse ad un leader
sindacale che Gonzalez, funzionario aziendale, aveva chiesto di lui.
Il
5 Ottobre Rincon ha avvertito che il leader del SINALTRAINAL locale
Juan Carlos Galvis era un obiettivo da assassinare, e l’8 Ottobre
è stato scoperto mentre sorvegliava le vicinanze della casa di
Galvis.
Fino
a Marzo 2003 noti leader paramilitari sono stati visti circolare
liberamente all’interno dell’impianto di Barrancabermeja.
Galvis
è stato vittima di spari da parte di diversi assalitori
paramilitari il 22 Agosto 2003, ma è riuscito a sopravvivere.
Rincon è uno dei pochi paramilitari che si trova in carcere,
essendo stato arrestato per un altro caso di omicidio il 22 Giugno
2004.
·
Le
AUC hanno fatto pubblicare minacce di morte nei confronti di William
Mendoza e Luis Alberto Diaz sul quotidiano di Barrancabermeja La
Notizia, il 12 Agosto 2001. Quando questi due sindacalisti sono
arrivati per il loro turno di lavoro della vigilia di Natale, hanno
trovato biglietti d’auguri da parte delle AUC nei loro armadietti
all’interno dell’impianto;
·
Secondo
diverse testimonianze, il funzionario della PANAMCO John Ordonez
effettua pagamenti a favore di capi paramilitari a Cucuta il 28 di
ogni mese.
·
Il
13 Gennaio 2003, le forze paramilitari hanno annunciato che, su
istruzioni del management, “hanno intenzione di uccidere i membri
del SINALTRAINAL perché stanno interferendo con gli affari
dell’imbottigliatore Coca-Cola presso l’impianto di Barranquilla”.
Questi sono solo alcuni dei fatti che hanno convinto il
Tribunale di Miami a mandare avanti il processo nei confronti delle
imprese di imbottigliamento della Coca-Cola.
Per tutti questi motivi e per ottenere giustizia per i
sindacalisti che in Colombia rischiano la vita ogni giorno per fare
la stessa attività sindacale che i nostri sindacati svolgono ogni
giorno in Italia, vi rinnoviamo l’invito ad appoggiare la Campagna
di Boicottaggio della Coca-Cola, e a farlo come istituzioni, come
partiti politici, come consumatori, come lavoratori, come cittadini
del mondo.
Rete
Boicottaggio Coca Cola
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